Drink To Me - Telefonica, 29-03-2008

(I Drink To Me - Foto da internet)

I Drink To Me hanno fatto il grande passo del primo album sulla lunga distanza. Dopo una manciata di Ep autoprodotti sono stati accolti sotto l'ala protettiva della Midfinger e sono volati a Londra per registrare "Don't Panic, Go Organic!” con la supervisione di Andy Savours (già al lavoro con Blonde Redhead, Yeah Yeah Yeahs, The Killers). Un album interessante, che spazia dal pop mainstream, al post-punk, fino all'alt-country. Sandro Giorello ha intervistato telefonicamente Marco Bianchi.



Tempo fa viaggiavo in macchina ascoltando “Don't Panic, Go Organic!”. Un amico che era con me, appena finito il disco, vi ha definito come il miglior gruppo di cialtroni mai ascoltato finora. Si riferiva alla vostra capacità di inserire così tanti generi tutti in un solo album. Come rispondete?
(ride, NdA) Mi piace… Siamo cialtroni? Si, concordo. Di carattere siamo abbastanza cazzoni e non ci siamo mai imposti un’unità stilistica. Ci abbiamo provato, devo dirti la verità, ma abbiamo capito che era inutile, impossibile. Non c’è mai stata un’unica direzione che abbia prevalso sulle altre. Forse adesso sta arrivando… La definizione mi piace perché c’è molta ironia nei Drink To Me.

E’ solo una questione di esperienza o credi che anche in futuro rimarrà questo pasticcio di stili?
Secondo me in futuro continuerà ad esserci questo tipo di varietà, ma la si noterà da disco a disco. Credo che, in futuro, riusciremo a scrivere degli album con una loro coerenza interna. “Dont’ Panic…” non è stato scritto in due mesi, arriva alla fine di un percorso durato degli anni.

Qui troviamo parecchie canzoni dei vecchi Ep…
Si, in qualche modo volevamo pubblicare “seriamente” quelle canzoni.

Si percepisce la voglia di far uscire un disco “serio” dopo tanti Ep meno importanti…
Esatto, negli Ep ci sono dei pezzi che per noi meritano di essere ascoltati, è stato un compromesso tra passato e presente.

Di cosa parlano queste canzoni?
(ride, NdA) Ehh… dipende dalla canzone: alcune dicono solo stronzate, accennano un po’ agli eventi politici ma sempre in maniera ironica, lontana. Altre raccontano storie inventate. Ad esempio “Frozen George” è un pezzo molto romantico e molto triste, parla di questo tipo che si piglia male e va a schiantarsi contro il sole con la sua astronave. E’ tutto molto nostalgico. “Camposanto”, invece, è la storia dell’amicizia tra un topo e un albero in un cimitero.

Questo immaginario fantastico è fortemente voluto o, semplicemente, essendo obbligati a scrivere i testi, vi trovate più a vostro agio nel raccontare storie surreali?
Il testo non ha la priorità assoluta nella nostra musica. La ricerca è sostanzialmente sulla linea vocale. I testi vengono con l’ispirazione del momento, anche se non sono importantissimi non sono nemmeno un riempimento di parole a caso. Noi siamo molto soddisfatti dei testi di questo disco.

Ovviamente un motivo d’interesse per “Don’t Panic…” è il come è stato registrato e il come è stato prodotto. Da quanto ne so tutti i vostri vecchi lavori erano autoproduzioni. La Stuprobrucio (etichetta che ha pubblicato i precendenti Ep, NdR)…
…si la Stuprobrucio siamo noi. Era un gioco. Abbiamo iniziato a far uscire i nostri demo autoprodotti e poi ci siamo sbattuti per fa uscire anche altri dischi. L’hai sentito quello di Gioacchino Turù?

Si, certo… E dopo un passato segnato esclusivamente dal fai da te, vi sentivate pronti per andare a Londra – se non sbaglio era la prima volta che ci andavate – e registrare con un nome di lusso come Andy Savours?
In realtà è stato tutto “a basso pofilo”. Midfinger ci aveva individuato come il gruppo che poteva fare una cosa del genere. Il disco è stato registrato a Londra da Giorgio e Gigi di Midfinger… ci hanno proprio studiati, anche a livello umano (ride, NdA). Hanno cercato di tirare fuori l’anima più… più marcia. E’ stata una situazione molto tranquilla e per niente professionale: abbiamo registrato le tastiere di “Camposanto” alle sei del mattino in stati pietosi. “Drunk-On's” l’ho registrata alle tre del mattino, mi stavo addormentando nella sala di ripresa, ero ubriachissimo.

Il risultato è più che professionale…
Si perché Andy ci ha poi messo il suo tocco nel mixaggio… E poi ci siamo comportati molto bene. Eravamo preparati e, per alcune cose, siamo anche stati pronti a cambiare le carte in tavola all’ultimo momento.

E cosa ne pensava Andy della varietà stilistica del disco?
Gli è piaciuta! Si è illuminato quando ha scoperto che ci piacciono gli Wire, sono uno dei suoi gruppi preferiti e gli sembrava strano che un gruppo italiano li seguisse. Poi i pezzi gli piacevano… Non solo a lui... quando siamo andati a Londra, la prima volta a maggio, avevamo incontrato Paul Tipler, che tra l’altro ha mixato “Emperor Tomato Ketchup” degli Stereolab, e gli avevamo fatto ascoltare i pezzi. Era entusiasta e voleva mixare tutto il disco.

Ovviamente la cosa non è andata in porto…
No, il prezzo era esagerato. Il budget di Midfinger era buono ma non illimitato. Siamo riusciti a fare il disco con Andy proprio perché lui ci è venuto incontro facendoci un grande sconto. Aveva voglia di farlo.

E il concerto che avete fatto a Londra come è andato?
Marcissimo. Siamo stati bravi. Abbiamo suonato con cinque gruppi londinesi dei quali se ne salvava uno mentre gli altri ripetevano tutti quello standard anni ’80, hai presente?

Forse…
Noi invece abbiamo espresso una cosa che quella sera sembrava essere stata dimenticata… la nostra attitudine era davvero diversa, energica. E’ uscito uno spettacolo folle, la gente era scioccata.

Per voi suonare all’estero era una tappa prefissata e non ci sareste mai finiti senza questo disco?
Non ci saremmo mai finiti, assolutamente. Noi siamo molto realisti.

Ci sono gruppi, anche con meno esperienza di voi, che si lanciano fin da subito in date fuori dall’Italia.
Ehm… Sai cosa, non vogliamo finirci sotto con i soldi. Non abbiamo voglia di rimetterci. Apprezziamo molto i Disco Drive che hanno fatto, fin da subito, dei tour all’estero ma non penso che abbiano mai guadagnato molto.

Loro hanno sempre inteso la musica come un lavoro, quelle “perdite” le puoi considerare come degli investimenti…
Certo… Noi non ci crediamo. Vogliamo fare musica per tutta la vita, finché c’è energia e voglia di farlo, ma non siamo i “musicisti contabili”.

E vi interessa essere “vendibili” all’estero?
Si, ma tutte queste cose ce l’ha in mano Midfinger. Noi siamo davvero degli sprovveduti in quel senso. Si sa che all’estero è meglio. Ma ad esempio: in Inghilterra non puoi uscire con un album, esci con un singolo. Forse Midfinger si sta sbattendo per fare qualcosa.

Senza offesa, mi sembrate davvero dei cazzoni pigri, senza aspirazioni e troppo coccolati dalla vostra etichetta.
(ride, NdA) Non siamo dei cazzoni, io penso che in questo disco si senta quanto sia importante, per noi, la musica. Siamo disillusi. Siamo realisti, non siamo dei cazzoni. Sappiamo che è difficilissimo vivere di musica, soprattutto se fai un genere come il nostro. Non abbiamo neanche voglia di chiuderci in un unico genere.

Cosa è cambiato da quando siete passati dal fare dischi autoprodotti ad avere un etichetta alle spalle?
A livello artistico quasi nulla, ci hanno lasciati liberi. Ci hanno giusto chiesto di modificare la struttura di un paio di pezzi. In più grazie all’etichetta abbiamo avuto l’opportunità di registrare un disco in maniera professionale. E poi ci sei tu che adesso mi stai parlando, mi stai intervistando…

Il disco è buono, vi avrei intervistato anche se rimanevate sotto Stuprobucio
Si, lo so che Rockit non segue quella logica. Certamente senza il lavoro di Andy il disco non suonerebbe così bene e non avremmo raccolto così tanto interesse da parte della stampa.

Siete di Ivrea ma studiate – o avete studiato – a Torino. Conoscete un po’ la scena musicale torinese?
Si, seguiamo gli eventi, andiamo sempre al Traffic (il festival gratuito che ogni anno ospita nomi prestigiosi, per la prossima edizione in cartellone i Sex Pistols, NdR). Però non conosciamo molto la scena musicale.

Nel periodo che ci ho vissuto, ti parlo di ormai cinque anni fa, frequentavo spesso i concerti. Mi ero fatto l’idea che fosse una scena piuttosto chiusa dove facilmente si divideva tutto in “modaiolo” e “non modaiolo”. Un gruppo come il vostro, davvero poco classificabile, non so come possa introdursi. Magari mi sbaglio.
Si è vero. E’ strano. Noi, ad esempio, non abbiamo mai suonato allo Spazio 211 (uno dei locali torinesi che da parecchi anni dà ampio spazio ai gruppi indipendenti, NdR). C’è stata l’occasione, dovevamo aprire ai Disco Drive, ma poi il nostro batterista si è rotto il femore e la cosa è saltata. Trovo sia difficile entrare nei giri che “contano”. Forse a maggio apriremo ai Disco Drive all’Hiroshima (altro storico locale di Torino, NdR). Un gruppo che conosciamo e che ci piace molto sono i Farmer Sea. Ma per il resto non siamo molto introdotti nei vari circuiti, non conosciamo molta gente.

Fino a qualche anno fa Myspace era riconosciuto come il mezzo privilegiato per farsi notare e trovare concerti. Ormai, essendo così diffuso, penso stia diventando meno utile su questo fronte. Quali sono le nuove strategie per far conoscere un gruppo indipendente?
E’ saturo. Infatti noi non facciamo le strategie tipo Add a tappeto. A volte non rispondiamo nemmeno alle richieste di amicizia più casuali. Lo usiamo per essere contattati e non molto di più. Per me vale la solita regola del suonare il più possibile, di entrare in contatto con delle realtà che sono affini alla tua. Ad esempio, abbiamo organizzato un concerto ad Ivrea e abbiamo legato con molti gruppi della scena romagnola, a partire dalla Tafuzzy records che abbiamo conosciuto grazie ai Cosmetic, con cui abbiamo suonato recentemente. Si è creata una rete di persone che hanno in comune una certa predisposizione, c’è una sorta di affinità. Se tu crei degli scambi, fai nascere una condivisione… credo sia la cosa migliore. Per me la conoscenza deve essere diretta.

Oggi gli Yuppie Flu hanno messo disponibile il loro nuovo disco lasciando la possibilità a chiunque lo volesse acquistare di scegliere quanto pagarlo, praticamente la stessa cosa che hanno fatto i Radiohead lo scorso ottobre. Voi cosa ne pensate?
Si l’ho visto… A me piace, mi piace lo spirito, ti mette di fronte ad una responsabilità. Io ti metto a disposizione tutto il mio disco, tu dammi un’offerta, non fare lo stronzo (ride, NdA).

Come sarà il prossimo disco?
Per darti qualche indicazione: minimalismo, kraut rock, Battles e pop. Vorremmo farlo uscire all’inizio del 2009. Vorremmo che fosse un po’ più uniforme di “Don’t Panic…” ci siamo resi conto che questo era troppo vario.

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L'articolo Drink To Me - Telefonica, 29-03-2008 di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2008-03-31 00:00:00

COMMENTI (5)

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  • drinktome 16 anni fa Rispondi

    assolutamente d'accordo.

    citiamo Pessoa?

    dai:

    "Sii plurale come l'universo"

    noi crediamo in una cosa simile. c'è poi l'ovvio spaesamento di chi ascolta. e anche quello è nei nostri obiettivi. forse vorremmo solo cercare di distribuire meglio da disco a disco la varietà.
    forse.

  • manfredi 16 anni fa Rispondi

    secondo me la varietà stilistica è un pregio che va coltivato, non un difetto da cancellare

  • frenchfries 16 anni fa Rispondi

    è amore!

  • drinktome 16 anni fa Rispondi

    che dolce!

    m

  • fake 16 anni fa Rispondi

    Frozen George è bellisima :)

    complimenti!