Garbo - telefonica, 08-10-2008

Garbo ha completato la trilogia dedicata ai colori con un "non colore": la trasparenza del vetro. In quest'opera l'artista milanese si svela attraverso le raffinate musiche e testi del disco. Cerchiamo di approfondire il messaggio del nostro "nevroromantico" anche attraverso qualche domanda.



"Come il vetro" completa la trilogia iniziata con "Blu" e proseguita con "Gialloelettrico". Nel primo capitolo dominava la notte, i tratti più scuri, mentre nel secondo c'era più solarità, rappresentata dal giorno e dai suoi colori vivi. In questo terzo lavoro c'è trasparenza, fragilità, E' "ciò che è", senza filtri. E' così?
Mi sembrava una simbologia interessante perchè volevo riuscire a trovare il modo di esprimere il superamento dei colori, l'annullamento. Il vetro permette di guardare attraverso e di vedere quello che tu vuoi vedere in relazione a quello che accade, a quello che tu vedi realmente o a quello che vorresti vedere.

Come fa il vetro a far vedere ciò che tu vuoi vedere? Come può cambiare ciò che c'è dall'altra parte?
Era una battuta per dire che non sempre noi vediamo ciò che realmente è, ma vediamo ciò che forse realmente ci interessa vedere. Questo può essere un limite ma può essere anche uno stimolo a fissare l'attenzione sulla propria dimensione, su quello che si vuole raggiungere, su quello che si vuole descrivere. Mi sembrava interessante, questo tipo di approccio, con ciò che sto facendo, ossia fissare l'attenzione su delle cose, su un modo mio di comunicare, di emozionarmi (spero anche di emozionare...). C'è anche un aspetto ludico e autoironico, oltre alla sintesi di un percorso fatto a chiusura appunto della trilogia. Tieni conto che per me questa trilogia ha un valore nel momento in cui dentro c'è tutto il mio percorso in riferimento al passato e al presente, alcune intuizioni che mi possono permettere di vedere cosa posso fare domani, in futuro.

E la scelta della trasparenza spiazza alquanto: dopo due colori ne si aspettava un terzo e invece tu arrivi con l'annullamento di tutti i colori...
Questa era l'intenzione, poi, quanto io ci sia riuscito per chi ascolta, per chi vede, ecc. ecc., non so. Però ne sono soddisfatto, anche con la consapevolezza che un disco non racchiude la mia vita, ma solo dei tratti, delle intenzioni, delle sensazioni e delle emozioni. Fortunatamente un disco non è tutto.

Uno dei titoli più forti è "Voglio morire giovane". Apparentemente pessimista, ma mi sembra che alla fine tu riesca a trovare l'antidoto al concetto simile a quello lanciato dagli Who, quel "spero di morire prima di diventare vecchio" che non accoglieva proprio con entusiasmo il fatto di invecchiare...
L'idea condivisa con l'autore, Tao, era che fosse un inno all'amore, in realtà. Se pensi al sogno di un artista, che è quello di rimanere per sempre, attraverso quello che fa. Il "Voglio morire giovane" è inteso come "Beh, non importa la mia fisicità, importa quello che lascio, la potenza di quello che posso lasciare, anche da un punto di vista personale, privato, attraverso la persone a me care, che mi sono vicine. In questo senso, lo sento positivo, un inno d'amore. Certo, poi, c'è anche una velata considerazione di quello che spesso accade oggi alle nuove generazioni, di questa diffusa idea del suicidio. Ed è una realtà che va secondo me analizzata perchè evidentemente c'è una profonda insoddisfazione esistenziale, già in giovane età: quando il concetto di famiglia è frantumato, quando non hai prospettive per la tua vita, per il lavoro, per gli affetti, quando c'è diffidenza, quando ti senti inutile, anche a vent'anni. Accade spesso che qualcuno arriva al fatto estremo: per incoscienza, per coraggio, per assoluta delusione e vuoto? Non lo so, questa è una considerazione…
Io ho orientato la mia vita su una certa creatività che mi ha sollevato da certi tormenti che avevo. Un anno fa ho avuto un problema di salute, per cui ho rischiato anche molto e ho pensato molto alla fragilità della vita nel momento in cui cessa. Questo si riflette un po' in tutto l'album, constatazione amara ma realistica.

Hai compiuto da poco 50 anni e si sa che con l'avanzare dell'età certi argomenti li si affronta più spesso, ci si preoccupa di più...
Accidenti, molto, soprattutto quando hai avuto un incidente di percorso. Ma questa è la realtà. Ho avuto un problema molto serio, ma ho avuto fortuna e si è risolto bene.

Venendo all'aspetto musicale: le trame di questo disco sono molto raffinate e curate. Come sono nate?
Come sempre, anche se io ho un procedimento forse anomalo, nel momento in cui realizzo un nuovo album. Penso che debba farlo nel momento in cui ho da dire qualcosa, perchè se ho la sensazione di non avere nulla da dire non lo faccio. Tant'è vero che la trilogia mi ha occupato 6 anni. Anomalo perchè io parto nel momento in cui non ho nulla sopra il tavolo, parto dall'idea di quale sarà il tema, per cui è facile che nascano prima il titolo dell'album, la copertina, l'immagine. Dopodichè passo all'aspetto compositivo, cioè cerco di orientare tutto verso il tema principale. E allora nascono delle musiche, compongo, scrivo delle cose sul momento... In questo disco non mi sono posto molto il problema di carattere musicale, più che altro me lo sono posto in termini di mia emotività rispetto a quello che desideravo scrivere e sentivo. C'è quindi forse meno compattezza riguardo a "Gialloelettrico", dove la ricerca era unicamente elettronica e concentrata su un tipo di suono che volevo per rappresentare una dimensione più urbana, più cittadina, rispetto, che so, a "Blu", più oscuro, più introspettivo. Qua è invece più adattato sulla mia voce, sul suono che non importa se da brano a brano può "urtare", può cozzare.

I testi del disco sono autobiografici?
Non necessariamente. Potrai notare che non sono un "raccontatore", un narratore...

Procedi per sensazioni?
Esatto. Mi piace fotografare. Penso che la mia musica nasce prima da immagini che ho, quasi che la musica fosse uno strumento per mostrare, per fare vedere qualcosa. Non riesco a raccontare storie, insomma...

A proposito di immagini: come hai scelto quella della copertina? Come si inserisce la sagoma di un cd nel contesto tematico del disco?
E' anche un gioco estetico, nel senso che questo cd è esattamente quello che vedi realmente all'interno, creando questa trasparenza. Avrei voluto in realtà vendere un cd trasparente... Sarebbe stato carino nel senso che avrei potuto dire: "Guarda, mi sento così tranquillo, così fragile, che uno può apprezzare o non apprezzare". L'ho fatto con il piacere di fare proprio quello che volevo fare...

E come ci si sente oggi, a fare un disco in un'epoca in cui soprattutto i giovani tendono a non dare troppa importanza ad un album intero, scaricando invece qua e là singoli brani?
E' chiaro che purtroppo si deve fare i conti con una realtà sociale e culturale che dà poco spazio alla musica. La musica viene bruciata molto rapidamente e difficilmente offre ai più giovani momenti di riflessione, di pensiero. Oggi la si ascolta, se piace la si scarica, altrimenti si fanno degli album con i brani preferiti. La cosa non è generalizzabile perchè conosco persone che amano acquistare il cd come fosse il vinile d'una volta, ascoltarlo e capirne i contorni "filosofici", e apprezzare più o meno le singole canzoni. Io penso ad un album come ad un libro, che quando hai letto si è aperta una finestra in più e poi magari lo metti nella tua libreria personale e chissà, fra un anno lo riprendi e lo rileggi.

E come ti poni in questo mercato discografico in evoluzione (o meglio, in "involuzione") con la tua etichetta, la Discipline?
Credo sia abbastanza chiusa, per quanto mi riguarda, l'era delle major. Sostengo che la musica vada privatizzata, assolutamente: credo che gli artisti debbano essere proprietari delle proprie edizioni, della propria creatività, della propria materia e semmai associare la propria dimensione, che so, ad un ufficio stampa, alla distribuzione, ecc. E' in atto una rivoluzione e sta crollando un tipo di sistema e sicuramente in futuro la musica verrà "consumata" in altro modo. Attraverso nuovi mezzi e in altre forme. Per me, essermi "privatizzato" da molto tempo vuol dire molto... Totale libertà espressiva, faccio quello che sento di fare senza pormi troppi problemi e senza coercizioni.

(Squilla il suo cellulare, NdA) E' Luca Urbani. Sai, ci siamo messi in società, adesso...ma gli rispondo dopo...

A proposito di Luca Urbani, com'è nato il sodalizio con lui? Immagino per affinità musicali...
Certamente, ha cominciato a lavorare con me sin da "Blu". Siamo diventati amici e sono nate molte collaborazioni, con Delta V, Boosta, Morgan, Andy... Tante collaborazioni che son diventate a loro volta amicizie. Affinità, come dicevi tu, certamente con Luca, al quale voglio un gran bene, e verso il quale nutro molto affetto, siamo molto amici. E' un po' il mio nipotino, per questioni anagrafiche... E' una persona molto intelligente, molto creativa, molto sensibile.

E quali sono, invece, le affinità con gli scrittori del "Nevroromanticismo" (movimento filosofico-letterario ideato da Garbo e da scrittori come Santacroce, Nove, Scarpa, Labranca e altri, NdR) al quale hai contribuito attivamente?
L'incontro fu abbastanza strano, casuale. Io conoscevo qualcosa di loro ma un giorno Aldo Nove, Tiziano Scarpa e Tommaso Labranca mi chiamarono e mi dissero che ad alcuni di loro piacevo molto musicalmente e volevano dedicarmi uno spazio, una decina di pagine sulla rivista di poesia che si chiamava "Il Marchese". Fecero un inserto al quale collaborarono tutti e io in quel momento stavo facendo un esperimento: mi ero un po' stancato di fare musica "pop" e volevo capire dove orientarmi. Stavo già lavorando su "Up the line", che era praticamente un disco strumentale se non per un episodio. Ci siamo incontrati e abbiamo parlato delle reciproche attività e mentre spiegavo loro del lavoro di quel disco mi dissero: "Dai, perchè la voce non ce la prendiamo noi?". E mi hanno dedicato brevi passi, a sottolineare le sensazioni che provavano rispetto a quel tipo di lavoro. Nacque così "Up the line". Abbiamo condiviso molte altre cose, attitudini comuni, un modo di sentire l'arte e anche la vita e ci siamo autodefiniti come "nevroromantici"...la nevrosi urbana, più scura... Pensa che poi sono stato citato spesso nei loro rispettivi libri: mi viene in mente uno degli ultimi libri di Tommaso Labranca, "Il piccolo isolazionista", dove lui chiaramente descrive il suo enorme amore per le luci al neon di notte della città. Lui esce da solo di sera in macchina, mette su musica, va in tangenziale, si ferma negli autogrill e poco prima che albeggi rientra a casa. E questa è una nevrosi molto affascinante, molto decadente, molto romantica.

La notte è fonte di ispirazione per molti artisti...
Io, per esempio, scrivo e compongo solamente di notte.

Sei rimesto un dark dentro, dunque...
Assolutamente! Sono un pipistrello... sicuramente sono molto più lunare che solare. Il silenzio, la notte, quando hai la sensazione che il mondo sia fermo tu devi essere attivo, pensi... E' una questione psicologica. E' il bisogno di rallentare, di fermare il tempo. Il tempo è spietato: io posso rompere gli orologi che ho in casa, ma ne compariranno altri. Nella notte invece tutto si ferma, si respira, si pensa, si scrive. Il giorno lo vivo a pezzi, vado a letto tardissimo, mi alzo tardi...

Che effetto ti ha fatto vedere pubblicato "ConGarbo" il disco tributo che ti hanno dedicato diversi artisti italiani?
Sono venuto a saperlo strada facendo, mentre loro lo ci stavano lavorando. Doveva essere una sorpresa, ma parlando con qualcuno sono venuto a saperlo. Ho conosciuto personalmente molti di loro in quell'occasione (Madaski, Baustelle, Meg). La prima impressione che ho avuto è stata di stupore, perchè non sono una star e non ero ancora morto... Dopo mi è successo che mi ha portato un po' sfiga... (Garbo si riferisce a seri problemi di salute che lo hanno colpito, dai quali fortunatamente si è ripreso bene, NdA). Non sono un cantautore storico né da classifica. Ma dall'altra parte era un grande onore, certamente, e forse mi sono reso conto che qualcosa si lascia nel tempo, in fondo tutto quello che è stato fatto non è da buttare via o da dimenticare. Hanno tutti preso un mio pezzo e ne hanno fatto, non delle cover, ma delle cose molto personali, si sente la loro attitudine, che non è venuta meno. Penso agli Zu, che sono lontani anni luce da me e che hanno ristrutturato completamente il brano "Up the line", per esempio: è stato geniale! Alcune cose mi hanno incuriosito, come per esempio Francesco Bianconi dei Baustelle che mi ha detto scherzando: "Sai, mi hai rovinato la vita!". Io gli ho chiesto: "in che senso?" e lui mi ha risposto: "Io ero piuttosto piccolino e guardando Sanremo dove tu facevi "Radioclima", mi son detto che anch'io volevo quella cosa...". Allora gli ho detto: "Te l'ho rovinata bene, va...".

Visto infatti come sono andate le cose a loro...
Infatti, quasi quasi sono ora io che gli dico: "me la rovini tu a me?"

Anche tu ti sei cimentato spesso con le covers e nell'ultimo disco riprendi "Baby I love you" dei Ramones, uno dei loro brani più criticati. Perchè questa scelta?
Beh, sai io ho amato molto il punk, suonavo nelle cantine con il gruppo e sono cose che hanno segnato il mio modo di pensare alla musica. Apprezzai molto la sferzata punk e condivido il pensiero di Peter Gabriel che diceva che è stata una fortuna che sia sorto questo momento che ha spazzato via il prog e le altre cose. Ero affascinato dai Sex Pistola, dai Ramones, dai Clash, e allora ho fatto un omaggio, in modo ironico e autoironico, senza nessuna pretesa, in maniera molto ludica, ad un brano che in realtà i Ramones odiavano...

Che differenza c'è tra esprimere la propria vena artistica negli Anni Ottanta e farlo oggi?
Quello che era affascinante dell'epoca e che sentivi nell'aria era il concetto di movimento, di aggregazione intorno a un modo di approcciarsi alla musica, anche all'immagine. Nasceva l'elettronica di un certo tipo, nasceva il videoclip, l'artista non era più solo "concerti e dischi" ma era anche immagine televisiva. Cambiavano molte cose e nell'aria c'era proprio una voglia di rinnovamento. Oggi non c'è questo, non lo sento, sento delle cose anche affascinanti che però ritengo siano fenomeni, non in senso aggregativo. Penso che l'ultimo movimento e l'ultima sensazione di questo tipo e che non ci appartiene riguarda il rap e in generale cose molto lontane dall'Europa. Magari c'è molto fermento, qualcosa sta cambiando, forse anche la tecnologia, i media, internet, MySpace ...Sento poca freschezza, un recupero costante di cose che appartengono al passato, e dagli Anni Ottanta si sta attingendo tantissimo...

E meno male che dicevano che di quel decennio era quasi tutto da buttare...
Io lo dico spesso quando me lo chiedono, essendo coinvolto in prima persona: non è vero, io li ho vissuti con assoluta libertà creativa e tanti come me hanno tentato rivoluzioni rispetto a ciò che circolava. In realtà anche i decenni precedenti sono "veri" e "plasticati": da una parte c'è creatività e spessore, dall'altra prodotti di commercio, fatti per il mercato. E' sempre accaduto e non credo quindi molto a questa disquisizione…

Qual è il gruppo o artista dallo spirito affine al tuo col quale vorresti collaborare?
Le cose che mi piacciono in Italia le abbiamo citate e sono praticamente gli artisti coi quali ho già collaborato. Per la mia attitudine credo siano ormai tutti amici coi quali ho già collaborato o con i quali potrei collaborare.

E il tour che segue all'uscita del disco?
Cominciamo da novembre in diverse città italiane, per una quindicina di concerti fino a gennaio. Dopodichè ci fermiamo un mese e mezzo e facciamo la seconda tranche di altri dieci o quindici concerti in primavera, ancora nei club. Se sarà possibile faremo poi il tour estivo.

Non hai praticamente un tuo sito internet personale. Punti tutto su MySpace anche tu ormai?
Il sito l'avevo ma non era di mia proprietà e ho preferito abbandonarlo. Il MySpace è anche carino, la gente arriva, mi dice cosa ne pensa, conosce, sa come mi muovo, gli appuntamenti che mi riguardano, ecc.; lo trovo utilissimo dal punto di vista delle informazioni da dare a chi mi segue.

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L'articolo Garbo - telefonica, 08-10-2008 di Christian Amadeo è apparso su Rockit.it il 2008-12-15 00:00:00

COMMENTI (6)

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  • saverioluzzi 16 anni fa Rispondi

    Beh, non credo che Garbo venda quanto Eros Ramazzotti... :)
    Ovviamente la qualità della proposta artistica non ha alcun nesso con le copie vendute, dico solo (e mi perdonerete la banalità enorme) che un musicista di valore (e Garbo a mio avviso lo è) meriterebbe sempre di avere un'ampia diffusione del proprio lavoro.

  • discipline 16 anni fa Rispondi

    e chi ha detto che vende pochi dischi?

  • saverioluzzi 16 anni fa Rispondi

    Domanda stupidissima. Perchè un ottimo artista come Garbo vende pochissimi dischi?

  • utente0 16 anni fa Rispondi

    Sono contento che ci sei, auguri x sempre

  • utente0 16 anni fa Rispondi

    grandeeeeee!

  • utente0 16 anni fa Rispondi

    "Voglio morire giovane"
    "Hai superato da poco i 50 anni"

    fuori tempo massimo, amico
    :=