Above The Tree - via Mail, 11-07-2009

Ci parla di rivolta muta, di Orwell, di radici che vanno in profondità o di punti di vista sopraelevati da dove si può leggere e rileggere la nostra storia della musica. Marco 'Above The Tree' Bernacchia, risponde puntigliosamente alle domande, snocciola concetti importanti oppure si lascia andare ad immagini surreali ipotizzando come potrebbe essere capita la sua musica, su Marte. In occasione dell'uscita del suo nuovo "Minimal Love", Elisabetta De Ruvo lo ha intervistato.



Mi sembra necessario. Chi è Above The Tree?
"Above The Tree" è Marco Bernacchia, ed è un progetto nato nel 2007. Da allora ho prodotto due album:"Blue revenge" uscito per Marinaio Gaio , About a Boy e Polpo rec. e "Minimal Love" uscito invece dalla collaborazione di sette etichette: Boring Machine, Marinaio Gaio, Brigadisco, About a Boy, Untouchable woman, Shipwreck records e Stonature. Questo progetto per me non è solo musica ma è per lo più una performance che mi piace portare in giro nei luoghi più disparati. Negli ultimi anni ho fatto diversi tour in Spagna, Francia, Portogallo, Germania, Repubblica Ceca e… Italia. Di solito preferisco partire in tour con valigia e chitarra in spalla e sfruttare i mezzi pubblici per poter così vivere a pieno l'esperienza sulla strada ma anche per tener fede ad un'idea ecologica di base.

Perché questo nome? Cosa c'è sopra l'albero?
Sopra l'albero si può andare per osservare oppure ci si può nascondere, oppure ci si può fermare per riposare. Io stando sopra, in qualche modo, cerco di osservare quello che mi circonda, un po' per difesa, ma soprattutto perché da lì si è in una posizione privilegiata. Come un uccello, sopra un albero, sono libero di volare dove più mi piace ed andare a prendere nei luoghi dove c'è più da prendere. Stando lì, ho il potere di osservare dall'alto e posso notare che la storia dell'arte e dell'umanità è da sempre usata e non mostrata a pieno anzi in molti casi si è fatto uso di censura per coprire o nascondere le cose più scomode o meno vantaggiose. Purtroppo da sempre quelle parti di storia che ci arrivano non sono la totalità degli eventi, ma solo una parte che corrisponde al punto di vista di chi la scrive. Il problema è che chi scrive la storia è chi vince le battaglie e per vincere le battaglie bisogna essere disposti a tutto, combattivi e capaci di mosse sleali pur di arrivare al proprio obbiettivo. Questo determina che la storia ufficiale non è altro che un testo che cerca di riabilitare chi vince spogliandolo del peso di tutte le violenze che ha dovuto attuare per arrivare alla Vittoria. In questo modo a noi non arriva che la storia filtrata dal concetto di Vittoria, da questa cernita verranno escluse tutte quelle tendenze che non vertono sulla distruzione del pensiero differente dal proprio e così facendo culture differenti, intuizioni artistiche, strutture economiche che si basino sulla possibilità di esistenza di un pensiero opposto verranno escluse dalla storia e nostro malgrado, con il tempo, nessuno ne parlerà più e scompariranno dalle memorie come se non fossero mai esistite. Partendo da questo concetto, il mio progetto cerca di mostrare i punti per me più interessanti della storia della musica, in qualche modo cerco di inserirli nella mia estetica senza stravolgerli totalmente, ma non come semplice ripetizione acritica e neanche come semplice copia incolla post-moderno ma riabilitandoli, traslandoli nel quotidiano e inserendoli come se fossero esistenti e vivi oggi, faccio questo andando incontro a tutte le conseguenze che questo gesto comporta.

Sotto l'albero invece cosa c'è?
Sotto l'albero ci sono le radici, le radici sono la sua storia, ma soprattutto più in profondità, sotto terra, si può trovare l'origine di tutto. Io cerco le origini, le origini delle idee e il come, in relazione al dove, queste siano potute nascere. Cerco di andare a guardare nei luoghi dove la musica abbia avuto un ruolo sociale prima ancora che commerciale. Mi interessano quei "luoghi" dove la musica nasce spontaneamente come espressione, quindi a volte mi capita di riconoscermi in Africa, a volte mi trovo poco più in là, in America, in quel blues di strada carico di calore. Questo calore lo trovo anche negli anni 90 e nella miriade di gruppi che nel sottobosco hanno fatto dell'espressione fine a se stessa il loro credo. C'è un'asse che mi interessa, una riga che collega il Mali al Mississippi e ancora più avanti fino a Providence.

"Minimal Love", dopo "Blue Revenge". Sembra ci sia quasi un richiamo tra i due titoli. L'amore minimo è da considerarsi una vendetta blu?
L'amore minimo è astratto e puro, tende all'infinito. È un amore composto solo dal nucleo centrale privo di "arrangiamenti" e spesso anche di collegamenti con la realtà. "Miniml love" si basa sulla fiducia ceca in qualcosa , dritta all'obbiettivo e senza aspettarsi niente in cambio. Come un ciclista in salita che va dritto al massimo spingendo sui pedali pur non conoscendo tra quanto arriverà la meta. L'amore minimo è il passaggio successivo della rivincita blu, che invece in quanto rivincita, sottintende che uno ha ben chiaro il sistema a cui si sta opponendo. "Minimal love" si può definire come la fuga dalla realtà, "Blue revenge" invece una dichiarazione di guerra.

Mi sembra ci sia molto più blues in "Minimal Love", sbaglio?
Io non credo, anzi trovo "Blue revenge" molto più puro e "fondamentalista" in questo senso, ha come caratteristica quella di prendere l'estetica lo-fi del blues e contaminarla con l'oggi. "Minimal love" invece è più slegato, in qualche modo rimane sui binari del blues ma in maniera inconsapevole, lo trovo molto più contaminato e libero da un immaginario altrui.

Eppure non rinunci a sperimentazioni coraggiose, al limite della sopportazione. Perché complicare così tanto la vita, la tua e quella di chi ascolta?
Io non provo a complicare niente, niente strategie, provo solo a mostrare il mio immaginario, piaccia o non piaccia, la mia musica rimarrebbe comunque immutata. Il fatto che in questo momento ci sia una certa attenzione sul mio lavoro è una pura casualità, anzi all'inizio ho provato in tutti i modi ad andare contro il sistema ufficiale della musica, non tanto per presa di posizione, ma perché i concetti su cui si basa sono morti e sepolti e molto distanti dalla mia idea di arte. Questo metodo con cui molti ancora intendono la musica è immutato da troppo tempo, mentre il sistema economico e la possibilità di attingere all'arte é cambiato e di molto. L'unico intervento che le major hanno attuato negli ultimi anni contro la crisi é stato quello di confezionare prodotti appositi per un pubblico sempre più immaturo e impreparato alla musica, abbassando il livello e plastificando sempre più i prodotti: il risultato é stato pessimo e distruttivo. Io non trovo sensato il concetto di dover creare a tutti i costi un prodotto, tanto meno il concetto della creazione di "star" tramite investimenti che sempre più spesso non porteranno a riguadagnare il denaro speso. Arrivati a questo punto, neanche giustificando un'azione per il suo potenziale economico si potrebbero ancora accettare questi metodi. Capendo questo, bisogna a tutti i costi inventarsi qualcosa di nuovo, fare uso di tutta la creatività che si dispone per riuscire a creare un sistema alternativo, certo, ma abbastanza forte per poter dare la possibilità di esprimersi liberamente pur dando una giusta visibilità al proprio lavoro. Partendo da questi principi, con il mio progetto ho provato a fare le cose al contrario di come si fanno di solito. La prima è stata quella di scegliere di non investire denaro sul mio lavoro ma tempo, entrambi i miei dischi sono stati realizzati producendo le grafiche una ad una a mano e registrati a budget zero dentro la mia camera da letto oppure in luoghi di fortuna. Gli strumenti usati per le composizioni sono quasi totalmente oggetti di recupero estratti da cantine umide di amici e riabilitati per l'occasione. Tutti questi interventi sono stati scelti funzionalmente alla creazione di un'estetica e di un concetto che risultasse il più puro possibile. La mia è stata una rivolta muta composta da scioperi più che da azioni, è stato forse tutto questo che ha determinato il "successo" di questo progetto che però partendo da questi presupposti potrebbe anche risultare leggermente fastidioso, quindi, se per qualcuno il mio lavoro dovesse risultare difficile da sopportare, gli chiedo scusa, ma spero che il concetto che si nasconde dietro il disco possa aiutare a digerire meglio il tutto.

Qualche domanda sui titoli delle canzoni: che legame c'è tra l'asino e il coniglio dei primi due pezzi?
Sono entrambi due pezzi autobiografici, come tutti gli altri del disco, ideati a partire da piccoli avvenimenti quotidiani capitati nel corso dell'ultimo anno.

Il "70% di odio" è la componente principale dell'amore minimo?
Più che altro ne è una conseguenza data dalla frustrazione che può dare avere la certezza che tutto il resto positivo può occupare al massimo il 30%.

Chi è il "Baluba"?
I Baluba sono un popolo di etnia Bantu della repubblica democratica del Congo, e corrispondono, con il 18 %, al maggior gruppo etnico del paese. Il termine Baluba, purtroppo, in dialetto lombardo intende un individuo arretrato e spesso viene usato come termine offensivo e generico per descrivere un uomo di colore, dal quale, oggi, grazie al culto dell'odio ci si può difendere tramite delle economiche ronde di cittadini, (anch'essi a loro modo neri).

"Paparinski" è il vezzeggiativo di "Papi" in polacco?
Paparinski è il modo ironico per i russi di chiamare il Papa di Roma. Nel mio testo lo immagino danzare nel buio intento a bere del whiskey.

Scherzi a parte. Da dove trai ispirazioni per i tuoi pezzi?
Un ruolo importante alla composizione di "Minimal love" credo lo abbia avuto "1984" di Orwell: l'amore inteso come evasione e clandestinità, privato dei gesti e delle parole che lo identificano, vissuto all'interno di complicate variazioni di senso della realtà che li circonda, mi ha fatto pensare molto. Soprattutto rapportare quel libro alla nostra situazione politica attuale è ancor più interessante e spaventoso.

Parliamo di live. Dal vivo restituisci il tratto alterato e visionario dei tuoi pezzi?
Credo che dal vivo il tutto esca ancora di più, anche perché di solito mi lascio molta libertà di interpretare i pezzi, e a secondo di chi mi trovo davanti e del feeling che si crea tra me e chi guarda, il live può stravolgersi totalmente. In più il mio set si compone di strumenti auto-costruiti e maschere di cartone che prendo in prestito da un'estetica decadente. Tutto quello che mi circonda durante i live, potrebbe potenzialmente diventare parte del concerto. Chi mi ha visto più di una volta dice di non aver mai visto lo stesso concerto.

La gente come reagisce?
La gente reagisce in maniera estrema ai miei live, potrebbe uscirne innamorata oppure scioccata. Comunque sembrano sempre venirne catturati, e quasi sempre si crea uno scambio molto forte. Spesso si crea il giusto feeling e all'interno del concerto realizzo delle micro performance coinvolgendo il pubblico a cui a volte rendo la vita difficile cercando di infastidirli, altre volte invece provo a stimolarli intimamente mettendo a nudo il loro imbarazzo. E' capitato che provassi a passare con un aspirapolvere sotto le gambe del pubblico con l'intento di pulire la sala ma generando il caos. Altre volte sono più dolce, magari provo a cantargli canzoni d'amore personalizzate, sussurrandogli parole nell'orecchio uno alla volta.

Ultima. In quale nazione del mondo, secondo te, il tuo disco potrebbe avere una "collocazione commerciale"?
Spero che si sbrighino a istallare colonie umane su Marte… Forse lì c'è posto per me! Oppure nella zona della foce di un fiume in cui la carpa non osa andare perché l'acqua è troppo salata e il cefalo per il motivo opposto non si spinge. Magari in questa zona d'ombra del mondo c'è spazio anche per me. A parte gli scherzi, il collocare il mio lavoro commercialmente è l'ultima cosa che mi può interessare. A me interessa che la gente entrando a contatto con il mio lavoro intuisca che ci siano più modi per dire la stessa cosa, e che magari tragga conclusioni personali e sia stimolata a vivere in maniera più creativa e meno razionale. Poi magari tutto il resto, creato il giusto background, potrebbe venire di conseguenza, oppure no, ma in questo caso non si potrà dire che non ci abbiamo provato a fare qualcosa di nuovo per salvare la barca che affonda. Credo che oggi, con l'aria che tira, ci sia un gran bisogno di messaggi che vertano sul concetto di "apertura" e non di "chiusura". Io sono per la cultura gratis perché la conosco e so che può fare solo del bene. Da questa però provo a tutelarmi non con la guardia armata (S.I.A.E.), ma lavorando come un artigiano ai miei prodotti e se qualcuno ne vorrà io sarò qui pronto a dargliene, ma sarò comunque felice se arriverà al mio messaggio percorrendo altre strade.

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L'articolo Above The Tree - via Mail, 11-07-2009 di Elisabetta De Ruvo è apparso su Rockit.it il 2009-07-22 00:00:00

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