Non Voglio che Clara - Telefonica, 08-10-2010

Il cantante montanaro più famoso d'Italia sta sull'Appennino ed è da qualche anno tornato alla sua matrice clericale. A Belluno, invece, abita un altro cantante, sempre montanaro, ma anticlericale. Il suo nome è Fabio De Min, trentenne dalle dita lunghe e affusolate, voce dei Non Voglio Che Clara. Lo abbiamo intercettato al telefono per parlare del loro ultimo disco, "Dei Cani", uscito il 12 ottobre per Sleeping Star. Perchè tutto parte da un omicidio d'amore, e giornalisti che scrivono per uccidere... 



Come va?
Sono contento. Stiamo ottenendo degli ottimi riscontri. Ai concerti c'è una buona risposta. Abbiamo bruciato 500 copie ad una settimana dalla pubblicazione del disco. Anche la critica reagisce bene. 

Leggere ottime critiche o vedere crescere l'attenzione della gente attorno a sé: che cosa rende più felice un musicista dopo l'uscita di un suo album?
La seconda. Però anche le critiche negative aiutano a fare crescere l'attenzione attorno ad un disco. Non è necessario piacere a tutti. E bisogna valutare i motivi. Una sciocchezza: se stai sul cazzo a qualcuno, questo ti stronca. Non parlo per esperienza personale, però leggo spesso cose molto feroci. Ho letto recensioni in cui si criticava persino la copertina... voglio dire... chissenefrega.

Come te lo spieghi? Non è meglio andare allo stadio a sfogarsi?
Ho due teorie: la prima è che giustamente uno che scrive si appassiona a ciò che ascolta, e cerca di portare avanti le proprie passioni utilizzando i metodi che ha, compresa la stroncatura. Sinceramente a volte la preferisco perchè associata ad una recensione positiva crea discussione. La seconda è che i dischi a volte servono più al lustro di chi scrive che non all'artista stesso. A volte c'è qualcuno che scrive più per farsi bello che altro.  

A chi ti riferisci?
Non te lo dico.

Peccato.
(Ride, NdR) Ci sta ogni tipo di critica. Però mi spiace che oggi non sia come quando leggevo Rockerilla, tanto tempo fa. Allora mi fidavo ciecamente dell'onestà intellettuale di chi scriveva.

Oggi la critica musicale non riesce a parlare se non a chi già ascolta musica. Come artista ti sei mai sentito messo in un angolo dal mondo?
No. A volte però ci sono dei meccanismi un po' strani. Una rivista tipo Blow Up che mette in copertina i Fiery Furnaces, che in Italia venderanno 150 copie, non giova a nessuno; non ne capisco il senso. Sarebbe più sensato metterci Brunori SAS. Mi sembra che la critica abbia perso il suo ruolo. C'è confusione: la discografia è ferma da dieci anni, non costruisce nulla. Così le riviste, cartacee e web, non si sono assunte nessuna responsabilità in questo senso. Non credo che si rischi di più a mettere in copertina i Perturbazione piuttosto che un gruppo sconosciuto americano. 

(Live acustico registrato a Babylon, Radio Due)

Quindi "Dei Cani" è un disco che parla di giornalisti?
(Ride, NdR) No, no… (Ride ancora)

Di che parla allora?
L'ho scritto in due anni. Sono partito con un'idea e poi mi sono accorto che ci fosse altro. E' una storia che si svolge su più livelli: il primo è un corpo narrativo unico, il racconto di una stagione; successivamente la storia viene scomposta e rimangono dei momenti a sé. Pensa a Hemingway che taglia a pezzi un suo romanzo. E poi volevo spostare l'attenzione su quello che sentivo io, dunque sul sociale. Sono canzoni che parlano in maniera non esplicita di morale, etica, educazione cattolica… Mi sono chiesto quale potesse essere il rapporto fra il protagonista e il mondo che lo circonda.

Il protagonista chi è? Sei tu?
Non sono io, non necessariamente. Piuttosto gli affido le mie sensazioni. Il disco non è così autobiografico. Parte dalla suggestione di un omicidio d'amore, cosa che non ho mai fatto (Sorride, NdR). Mi sono chiesto che cosa avrei provato io calato in quella situazione.

Si tratta di una cosa diversa, ma hai sentito del recente episodio dell'omicidio di Sarah Scazzi? L'Italia è molto interessata a chi è il colpevole.
Una volta che lo senti in tivù, il centro focale non è tanto il fatto, quanto quello che si pensa intorno.

Ma il tuo protagonista è una vittima o un colpevole?
Nella mia storia non si capisce se l'omicidio si svolge oppure no: se ascolti "La stagione buona" - il pezzo che chiude il disco – non è detto. Ma il protagonista è colpevolissimo. Il corto circuito sta nel leggere in maniera giusta il gesto che si compie.  

Qual è la maniera giusta?
Non lo so. Posso capire la maniera sbagliata: molti nostri errori sono dettati dal seguire modelli sbagliati. fino ad ammazzare una persona solo perché rifiutati... Noi siamo gelosi e prendiamo la gelosia come un valore vero. In realtà non esiste, è indotta dal senso di possessione che è prima di tutto cattolico, poi capitalistico. Oggi pensiamo che sia una cosa d'altri tempi, ma il delitto d'onore era normale. Ci si stupisce della considerazione della donna nel pensiero islamico ma da noi non era tanto diverso.

Perchè in un certo ambiente culturale ci si accanisce sempre e solo contro la Chiesa Cattolica e non contro l'Islam?
Io sono anticlericale contro tutte le religioni. Nel disco parlo del pensiero imperante, mi riferisco agli esempi che ha la nostra civiltà. Se abitassi in Iran avrei parlato di qualcun altro.

Un tema ricorrente nella tua scrittura è l'errore. Ricordo la vostra "Cary Grant": "Una bella collezione di errori, che con te non tiro mai fuori..."
Qualsiasi nostra azione dipende dai modelli e dalla morale. O è bianco o è nero. Non si pensa che le persone possano agire in maniera più complicata, diversa. C'è un brano dei Wilco che si chiama "Either Way" (da "Sky Blue Sky", Nonesuch, 2007, NdR) in cui si dice fondamentalmente questo: considera quello che è il pensiero dell'altro.

Sei un relativista. Fossi Papa Ratzinger ti darei del relativista.
Dov'è l'errore? Il relativismo permette a teorie che sono relative di giustificare qualsiasi pensiero e qualsiasi azione. Nietzsche lo dice a proposito del cristianesimo: non c'è mai stata una vera coerenza, si fa di un non valore, un valore; di una menzogna, una verità. Questo succede tutti i giorni quando accendi la tivù e ascolti il telegiornale.

Come reagisce di fronte a tutto questo il tuo protagonista?
Per tutta la durata del racconto è in balia dei suoi pensieri peggiori, di questa stagione. Mi piace pensare che quella cosa che succede ne "L'amore al tempo del kerosene" sia solo un pensiero, che ci sia un lieto fine.

E tu invece?
Sono così in difficoltà da avere cercato di parlarne in un disco.

Un disco che però è pieno d'amore. Che cosa si può ancora dire dell'amore?
"Ognuno parli per sè, di quello che rimane" (cita "La mareggiata del 66", NdR). Ciò che coinvolge il protagonista non è amore, penso che sia in realtà anche mancanza di una corretta prospettiva. Viviamo in un momento in cui si ha troppa paura di stare da soli. "Mi consola che nessuno in questo secolo ami qualcuno" (cita "L'inconsolabile", NdR)… 

E tu invece?
Non c'è sofferenza. Sono sereno. 

Ti è mai capitato di doverti giustificare per qualcosa di scritto o di detto?
Mi è capitato di dover correggere idee che magari qualcuno si era fatto. Lecitamente, ognuno si fa delle idee e interpreta a proprio modo canzoni, quadri e film. Non è vero che chi scrive debba essere così didascalico. Chi scrive, altri interpretano.

L'esempio di un modello sbagliato.
Diocan, troppo facile. Silvio Berlusconi. Trascende qualsiasi discorso morale. E' talmente esplicito. Preferisco non parlarne.

Gli italiani rispetto alla classe politica come sono?
Una merda. Chi è che si interessa ad andare oltre quello che si sente al telegiornale? Non c'è nè interesse nè senso critico. Stiamo ancora a parlare di comunismo e fascismo, gente che si nasconde dietro categorie morte… 

Come si sta in montagna?
Vivo in Veneto, e devo ammettere che esiste una grande fascia di gente che riesce ancora ad avere un barlume di intelligenza. Ma non possiamo dimenticarci gli altri, quelli che, come un gregge, rincorrono promesse e illusioni.

Ti capita mai di confrontarti con loro?
Capita sempre più spesso di parlare solo con gente che la pensa come te. E non serve assolutamente ad un cazzo. Questo disco nasce anche dal un po' nel non riuscire ad avere un confronto.

Dove hai scritto le canzoni?
A casa. Volevamo un disco più immediato, più schietto, più grezzo. Molti pezzi non hanno un'introduzione, le cose che volevo dire le volevo dire subito. Ha un'urgenza ancora maggiore dei precedenti, per come la sento io. Più grezzo, più semplice da suonare dal vivo, con meno orpelli e più diretto. Abbiamo scelto Giulio Favero come produttore perché lo stimiamo moltissimo. Gli ho dato il materiale e gli ho detto "fai come vuoi". Ero sicuro che quello che sarebbe uscito sarebbe stato perfetto. E in effetti è stato così. Alui un approccio più punk, è riuscito a tirare fuori quei dettagli, quelle sfumature, che magari erano un po' più nascoste. 

Sei riuscito a chiudere una rima con "Red Worms' Farm".
Mi piacciono i Red Worms' Farm! Ho visto un sacco di loro concerti. Ti immagini cantare quel nome a Sanremo...

Ci vuoi andare?
No. Non me ne frega. Se ci si va, ci si fa una bevuta…

Lo sai che questa frase ti si ritorcerà contro, casomai dovessi andarci.
Bah, è un modo per promuovere il tuo lavoro. Se ci vai, ci vai con la tua proposta e stop. Non c'è niente di male.

Chiariamo il penultimo punto. Copiate i Baustelle.
Non è vero. E non è vero che sposto gli accenti nelle parole... 

Chiariamo l'ultimo punto. "Dei Cani" è una bestemmia al plurale?
Ufficialmente è complemento d'argomento.

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L'articolo Non Voglio che Clara - Telefonica, 08-10-2010 di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2010-10-18 00:00:00

COMMENTI (4)

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  • gainedwar 14 anni fa Rispondi

    Gained War
    youtube.com/user/soundunivers

  • robierto 14 anni fa Rispondi

    Intervista deludente e stavolta non si può neanche colpevolizzare troppo l'intervistatore.

  • alsob 14 anni fa Rispondi

    Berlusconi, il Papa, i "politici che merda", un po' di Nietzsche-a-cazzo che non guasta mai e fa nichilista doc - e poi, naturalmente, "Sanremo è solo un modo di promuovere il proprio lavoro". Che barba.

  • andreatempesta 14 anni fa Rispondi

    Bello, bello.(anche se Nietzsche non dice proprio così sui valori); yup!