Giorgio Canali & Rossofuoco - L'intervista di Enrico Brizzi, Pt.2, 12-09-2011

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La differenza principale tra l'Italia e la Francia, evocata nel disco da "Carmagnola #3", è una rivoluzione che da loro c'è stata e da noi no. Tu hai raccontato molte volte, e anche nel libro in preparazione (la biografia "Fatevi fottere", NdR), di tutti i tuoi rapporti con la Francia. In questa sede ti chiederei una descrizione rapida per non addetti, per un ragazzo che pensa che Londra e Berlino sono fighissime e Parigi non lo sia. Perché invece per te la Francia è interessante, soprattutto dal punto di vista musicale?

Io trovavo interessante la Francia quando ci vivevo, quindici anni fa. Da molto tempo non la frequento e non so più se il livello sia lo stesso o meno. Mentre vivevo in Francia non avrei voluto vivere in nessuna altra parte. Parigi è Parigi, vale ben più di una Messa. A Londra ci sono stato tante volte, ma dopo un po' scappavo. Berlino mi piace un po' di più, ma non sarà mai come Parigi.
In Francia c'era un'aria di vero melting pot. I francesi sono stronzi colonizzatori, ma sono anche sempre stati molto bravi a integrare e a lasciar integrare la gente venuta dalle colonie nella loro vita quotidiana, almeno fino a quando non sono scoppiati i problemi nelle banlieu parigine. Montmartre è uno dei posti più parigini che ci siano, eppure confina con Barbès, che è la zona magrebina. Subito dopo c'è Belleville che è piena di indiani e vietnamiti. C'è una capacità di convivenza notevole e questo, inevitabilmente, non può che dare risultati spettacolari anche dal punto di vista della musica. Non è un caso se uno dei primi gruppi di quello che poi negli anni sarebbe stato indicato come crossover fosse la Fédération Française de Funk, assieme ai Fishbone e a Urban Dance Squad: sono quei tre gruppi ad aver inventato il genere, non è un caso. Il rock, inoltre, ha sempre avuto un gran peso nella cultura giovanile francese che viene ancora prima del punk.

Basta pensare all'importanza – e persistenza – nella società francese di figure come Johnny Hallyday

Johnny Hallyday è il rispettivo francese di Celentano, più scemo del Molleggiato perché non si impegnerà mai abbastanza, ma anche parecchio più rock. C'è sempre stato un sacco di Rock and Roll in Francia, tante sale e tanti concerti. Almeno, c'erano. Da poco è andata a fuoco l'Elysée Montmartre, una delle sale mitiche di Parigi. Quello francese è però proprio un altro circuito: la gente comprava molti dischi, anche se erano più cari dei libri, che all'epoca costavano meno che in Italia.

Tornando al disco, sono rimasto piacevolmente sorpreso da "Ci sarà" che mi sembra un pezzo molto bello…

Da quindicenne pentito...

…e dalla collaborazione con Angela Baraldi. Vorrei una breve descrizione di questo incontro artistico.

Abbiamo cominciato l'anno scorso portando in giro un tributo ai Joy Division. Doveva essere un'occasione unica, invece ci siamo divertiti e ci abbiamo preso gusto. Abbiamo iniziato a portarlo in giro e stiamo suonando tutt'ora. Poi abbiamo cominciato a pensare di fare un album insieme, con le canzoni di Angela. Ci suonano, oltre a me, anche Steve Dal Col e Vittoria Burattini dei Massimo Volume. Abbiamo registrato un po' di materiale, Angela sta scrivendo alcuni testi e dobbiamo solo capire come assemblare l'insieme.

Quindi se ne può parlare come di un progetto già varato…

Sì, l'intenzione, almeno, è questa. Ci sono anche delle cose che arrivano fino in fondo e poi si spengono, come mi è successo tante volte nella vita.
Per il momento ci sono registrazioni di improvvisazioni e basi e ci sono alcuni testi di Angela che dovremo adattare. Adesso vedremo. A settembre probabilmente ci troveremo di nuovo e cercheremo di dare un senso a tutto il progetto. Se ci riusciremo, secondo me verrà fuori una cosa che spacca. Lei i testi li sta scrivendo col contagocce – è stata ancora più parsimoniosa di me a questo giro – però sono molto evocativi, con belle immagini. A me la gente che scrive bene piace.
Per quanto riguarda "Rojo", volevo che Angela cantasse con me "La solita tempesta", perché il testo evoca un po' il verso famoso di Ian Curtis «L'amore ci ha fatto a pezzi e ci farà a pezzi di nuovo». Nella nostra canzone si dice: «L'amore che ci ha fatto a pezzi tante e tante volte» ed è proprio una specie di citazione dei Joy Division. Era naturale, quindi, che la cantassimo in due, visto che da un anno ormai cantiamo assieme la versione originale e tanti altri pezzi dei Joy Division.

Infatti sono contento della collaborazione, penso che possa portare cose ottime. Nel disco in "Morire di noja" tornano anche «gli sbirri per sedare la mia voglia di essere vivo».

Era un verso nato in maniera diversa. Diceva: «voglio una rivoluzione all'ora dell'aperitivo senza sbirri a sedare la mia voglia di essere vivo». Poi ho pensato: che gusto c'è, senza gli sbirri? Sai quante volte mi capita di buttare giù un testo e invece poi cantarlo con significato completamente opposto? Tanto poi me lo giustifico lo stesso.

Ti chiederei in maniera più generale la genesi della scrittura dei pezzi. Sono nati più o meno nello stesso periodo, nello stesso flusso o ci sono stratificazioni di materiale?

Nei miei pezzi ci sono dei ripescaggi: frasi intere vengono da cose scritte anche quindici anni fa e mai pubblicate. "Controvento" per esempio è il sunto di due vecchie canzoni del Politrio che non sono mai state pubblicate. Certe immagini come quella di «ignorare i riti del traffico» è una frase che esisteva da vent'anni. Tutto il resto è venuto nel momento in cui era impossibile non mettersi lì a dare senso a questo disco che era già registrato da un anno e non aveva una parola sopra. Per cui ti concentri, e cerchi qualcosa che ti dia lo scatto. Poi a un certo punto, non so perché, mi ha cominciato a girare in testa la storia del 1789 e mi è capitato di vedere il video di Piaf che cantava "Ça ira" in un film – non ricordo più neanche qual era...

(Edith Piaf canta "Le ça ira" in "Si Versailles m'était conté", 1953)

Quindi esistevano già tutte le musiche e dopo hai scritto i testi?

Noi scriviamo sempre tutti i pezzi improvvisando e costruendo strutture ipotetiche di canzoni. Poi, magari, due giorni più tardi io inizio a buttare giù le parole. Questa volta, per i testi, ci ho messo da maggio dell'anno scorso a maggio di quest'anno. C'è voluto un anno intero. Avevo bisogno di qualcosa. Ti guardi attorno e vedi quello che succede, ma ti dici: non posso parlarne, rischio il populismo e la demagogia. Però non avevo nemmeno voglia di parlare solo di me, come è successo nell'ultimo album. In "Nostra signora della dinamite" ne avevo bisogno, infatti dal momento in cui abbiamo registrato a quello in cui ho finito i pezzi sono passati quaranta giorni. Questa volta è stato come per l'album ancora precedente, "Tutti contro tutti", in cui mi sono trovato con un blocco mentale. Avevo tante cose da dire ma non trovavo un modo originale e diverso per farlo, un modo che non fosse monotonamente uguale al precedente. Poi è saltata fuori questa rivisitazione della "Carmagnola", di "Ça ira.
In seguito ho scoperto che della "Carmagnola" esisteva anche una versione sudamericana. Ecco perché l'ho chiamata "Carmagnola #3".

È vera la leggenda che il verso «Simon dice: rivoluzione» c'entra con Bolivar e con Simon says?

Quel verso è ripreso da Simon says, un gioco degli anni Sessanta che poi è diventato anche una canzone. Il gioco recitava, ad esempio, «Simone dice "Mani sulla testa"» e chi lo faceva per ultimo veniva eliminato. Il cuore del gioco era proprio il fatto di ripetere la formula «Simone dice». Così, «Simon dice: Rivoluzione» mi sembrava meglio che scrivere «Una sola parola: rivoluzione». Sono un po' paraculo e in fondo voglio evitare le denunce per istigazione alla violenza.

Mi sembra efficace. E mette ovviamente i brividi il riferimento alle fiabe sonore italiane. In questo senso tu ti senti in qualche modo fiero di essere italiano?

No, sono troppo anarchico per questo.

C'è qualcosa del carattere italiano che ti piace e ti aggrada o è un accidente necessario nascere italiani?

Per me è una sfiga essere nato italiano. Se fossi nato svedese, adesso che cazzo me ne sarebbe fregato del mondo? Forse mi sarei divertito di meno, o forse no: negli anni in cui sono nato io in Svezia ci si cominciava a divertire forte.

"Risoluzione strategica #6": il culto del capo, il fidarsi del capo, l'affidarsi a un capo.

Il bisogno del leader, il leader maximo.

In questo pezzo la corda anarchica è evidente. Si tratta di una satira potente perché nella società esiste questa tendenza, tanto a livello di peronismo pubblico quanto nella sinistra ufficiale e in quella alternativa con l'adorazione di personaggi mediatici.

Moretti che prende la parola e dice: «Con questi leader non vinceremo mai», ti dà un'immagine spietata del nostro bisogno di un leader e della nostra idiozia. La rivoluzione francese non aveva leader, sono stati importati solo successivamente. E infatti quando sono arrivati hanno cominciato a tagliarsi la testa a vicenda. Il leader serve, me ne rendo conto. Ma che si aspetti sempre un leader è paradossale. Prima parti, poi il leader salterà fuori.

Quanto è centrale il tema della passione vera e propria nell'album e nelle rivoluzioni personali di ognuno di noi?

Probabilmente mi sarei già sparato in bocca da un pezzo se non valesse la pena stare qui. Ci sono delle cose che quando ti capitano ti muovono dentro, e penso che si senta qua e là che non sono freddo e calcolatore. La stessa cosa capita anche per quanto riguarda salire sul palco. Ho la fortuna di avere un pubblico che capisce quello che gli sto raccontando. Quando questo scambio funziona è una figata. Anche perché il pubblico di una situazione come quella di Rossofuoco ha un'alta percentuale di gente sensibile. Più gente ti segue, più il numero di idioti fra il pubblico cresce esponenzialmente. Dire questo è snob e impopolare, ma il punto è quello: man mano che diventi conosciuto aumentano anche quelli che non ti capiscono. Quando Caparezza parlava del tunnel del divertimento, in tanti capivano l'esatto contrario e lui ci stava male, si vedeva.

Nella canzone "Sai dove" parli anche di città sempre più morte con la scusa della pubblica quiete. Com'è la possibilità di suonare dal vivo in Italia?

Questo è un paese per vecchi e stanno cercando di formattarlo per vecchi. Hanno capito che spegnendo le iniziative – anche le più innocenti – si spegne l'aggregazione. E l'aggregazione fa molto male, quando c'è, perché è stimolante, permette la nascita di idee e iniziative. Se riesci e regolamentarla e a mantenerla nei limiti del tollerabile per il borghese medio non fa paura. È proprio una questione di repressione alla base. Destra e sinistra cercano di spegnere le nostre città.

Come vi trovate con il cambio di formazione, ora che Nanni Fanelli ha sostituito Claude Saut e che Steve Dal Col si è aggiunto alle chitarre?

L'universo dei Rossofuoco è in cambiamento. Nanni al basso è molto più spigoloso e meno gentile di Claude. Da un certo punto di vista le cose funzionano meglio, per altri versi funzionano peggio. Steve ha aggiunto la sua grossa vena melodico armonica e il suo gusto per le cose molto scure. Questo genere di sonorità nei Rossofuoco ci sono sempre state, ma con quest'album, secondo me, sono diventate più criptate e allo stesso tempo più estreme.
Il fatto di essere in cinque sul palco, inoltre, mi consente di essere molto più cazzone, di non dover essere quello che regge la baracca e di potermi appoggiare agli altri.

Infatti nei tuoi live usi sempre meno la chitarra e sempre di più l'armonica.

Ho sempre la chitarra al collo, ma la suono sempre meno. L'armonica mi piace da matti, solo che non la so suonare e non la saprò suonare, come non ho mai imparato a suonare il violino anche se ho registrato dei pezzi. D'altronde non ho neanche mai imparato a cantare. Aggiungi il fatto che non ho mai neanche imparato a suonare la chitarra e ho sempre fatto dei bluff spaventosi… La cosa che mi fa più girare i coglioni è una certa piaggeria di chitarristi veramente bravi che arrivano e mi fanno i complimenti, anche se lo sappiamo tutti e due che sono un bluff totale con la chitarra. Io lo so bene. E lo sa anche chi mi parla, che con le mani fa passaggi qualitativamente più impegnativi dei miei. Il fatto è che io ho il mio modo di suonare, riconoscibile per forza perché so fare solo quelle tre cose.

Anche come produttore sei riconoscibile…

Penso di sapere come si fa a far suonare la roba elettrica e di saperlo fare bene. Nel momento in cui cambio un po' registro, come mi è successo ultimamente con i Nobraino, il prodotto non è così riconoscibile.
Ora sto lavorando al disco di Ilenia Volpe che dovrebbe uscire a novembre. Abbiamo poi in cantiere ormai da un anno un progetto che dovrebbe chiamarsi "Tre col plaid e un con l'ipad". Eravamo in tre: Miss Xox del Great Complotto, un vecchio rimbambito come me; Steve, dei Frigidaire tango e dei Rossofuoco, anche lui un vecchio rincoglionito come me; io stesso e alla batteria il figlio di Steve che ha diciott'anni.
Sono praticamente pezzi di Miss Xox e anche in quel caso l'album è quasi pronto, bisogna solo finire di registrarlo. Vedremo come va.

Quale approccio è stato seguito per mettere assieme "Fatevi fottere. Una biografia di Giorgio Canali"?

L'ho scritto anche nella prefazione del libro. Il gioco era: io scappavo, e Samuele e Irene (i due autori del testo Samuele Zamuner e Irene Zanetti, NdR) mi inseguivano facendosi trovare dietro gli angoli. Speravo si dimenticassero di me e invece non è stato così. Abbiamo fatto un'intervista lunga una ventina di bottiglie di rosso, in varie riprese. Ore e ore di materiale. A un certo punto il registratore si è anche inchiodato e abbiamo dovuto registrare di nuovo una parte. È stato come andare dallo psicanalista, al quale racconti tutto quello che ti è successo da quando eri piccolo. Ho fatto la stessa cosa con loro due.

Ora è ufficiale che la tua biografia avrà posto fuori dai libri di psichiatria?

Non lo so…!

Invece per quanto riguarda il cd allegato al volume, che porterà l'adatto titolo di Fatevi fottere ancora un po'?

Sono tutti pezzi che sono usciti da qualche parte, sul web oppure su compilation poco conosciute. Sono felice che finiscano in mano a chi mi ascolta, specialmente per quanto riguarda "Bayla Linda", che varrà il sequestro del libro. Ci sarà "Lettera del compagno Lazlo al comandante Valerio" e ci sarà anche "Precipito Soffice". Ci saranno un bel po' di cose.
Era da parecchio tempo che volevamo raccogliere questi pezzi in una specie di Rossofuoco Extra, e questa è una bellissima occasione per farlo.

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L'articolo Giorgio Canali & Rossofuoco - L'intervista di Enrico Brizzi, Pt.2, 12-09-2011 di Enrico Brizzi è apparso su Rockit.it il 2011-09-12 00:00:00

COMMENTI (3)

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  • falsobolero 13 anni fa Rispondi

    Per me è una sfiga essere nato italiano.

    benvenuto nella grande famiglia.....sull'onda di un falso bolero......

    Giorgio numero uno !!!!!!!

  • utente38808 13 anni fa Rispondi

    Quando licenziate Marco Villa, fatemi sapere.
    Mitico Enrico!

  • cestdisco 13 anni fa Rispondi

    Nel disco allegato alla biografia ci sarà "Luna viola", cover del Santo Niente. Si può ascoltare qui:

    mag-music.bandcamp.com/

    :)