Dream Trucks: puntando al terzo occhio

Nell'elettronica, a maggior ragione in quella più astratta, ci si imbatte solitamente in due figure: l'ingegnere e lo sciamano. Secondo voi i Dream Trucks a quale categoria corrispondono? Due freaks senza "una spiaccata attitudine alla comunicatività" (così dicono) che preferiscono stare nel loro sottoscala a sperimentare suoni invece di fare concerti o chattare su Facebook. Il loro primo ep (pubblicato da To Lose La Track)  è sorprendente, abbiamo approfondito con un'intervista.

Ci raccontate qualcosa di voi? Qual è il vostro background?
Dream Trucks sono due amici con un background di anni spesi assieme sopra montagne di dischi a immaginare musiche. Poi un giorno si è deciso che era ora di unire tutti i sintetizzatori che avevamo, metterli in cerchio e cominciare la cerimonia.

La vostra musica sembra rifarsi a certe sonorità Warp (penso soprattutto a Autechre), però c'è una dose in più di noise, di saturazione del suono...
La nostra musica ha un'impronta emotiva molto forte. Si muove negli spazi fluttuando nelle nostre teste per un pò, poi viene spedita in aria. Rispetto a un gruppo come gli Autechre crediamo che in noi il fattore umano sia molto più presente; la nostra musica tende a rallentare le sinapsi, il modello Warp di cui parli a sparpagliarle. Nonostante la forte impronta sintetica del nostro suono non riusciamo a non picchiare i tamburi, lasciamo che un pezzo di noi sia sempre ben saldato al cemento. La saturazione del suono e la dispersione del delay rendono al meglio le melodie che componiamo con i sintetizzatori; processandole in questo modo si separano, muovendosi in una dimensione parallela. L'effetto che vogliamo ricreare è quel multistrato nebuloso che sentiamo quando percepiamo suoni in stato di dormiveglia o alterazione.

E poi c'è la cassa in quattro, anche quella distante da quel tipo di sound.
Alcuni dei pezzi presenti in questo EP erano originariamente delle jam molto lunghe, che poi abbiamo deciso di tagliare e rendere più quadrati. Non sappiamo se in futuro sarà ancora così. La cassa in quattro è certamente un espediente ben stampato nelle nostre teste, un retaggio forte dei nostri ascolti. Attivare contemporaneamente mente e gambe è un processo naturale nella nostra idea di musica. Ma per ciò che abbiamo in testa ora può essere anche un limite. Potremmo anche eliminare totalmente la cassa nelle prossime cose. Trascurare le gambe e puntare dritti al terzo occhio.

Avete altri ascolti al di fuori della musica elettronica?
Assolutamente sì. Hip Hop a tonnellate sin da ragazzini. Tanto dub, psichedelia, di tutto.

Che cosa ne pensate dei live nel settore della musica elettronica? C'è forse un modo per dar loro lo stesso appeal di quelli rock e pop?
Se partiamo dalla prospettiva che i concerti pop e rock abbiamo automaticamente più appeal di quelli di musica elettronica si commette, a nostro avviso, un grande errore. In Italia in particolare esiste questo snobismo/ignoranza secondo cui la musica elettronica è automaticamente 'la musica da discoteca'. Una musica che per il fan medio del rock e del pop è tendenzialmente un pò sciocca ma se siamo ubriachi alla fine due zompi in pista li facciamo volentieri. E dire che siamo il paese di Luciano Berio. Tempo fa ci è capitato di vedere dal vivo i S U R V I V E, un gruppo texano che uscirà nella serie elettronica di To Lose La Track a breve. Quattro ragazzi con uno stack di sintetizzatori analogici bellissimi. Nessuna chitarra, nessuna batteria, nessun cantante a scherzare col pubblico al microfono. In trance, in mezzo a una coltre intensa di fumo, hanno tirato giù il locale, letteralmente. Sembrava di stare su una capsula spedita a razzo su Marte. Un concerto di questo tipo, affrontato con uno stato mentale adatto, può dare un'esperienza fisica e psichica che nessun gruppo rock potrebbe mai darti. L'appeal di un concerto o genere musicale sta tutto nell'approccio con cui ci rapportiamo a esso, nel saper sviluppare con chi suona e con la musica che ascoltiamo livelli di comunicazione più profondi.

Come lavorate in studio? E dal vivo?
In studio ci divertiamo. Proviamo suoni, combinazioni, litighiamo sui clap. Tempi sempre dilatatissimi, siamo come esploratori in una capsula dimenticata da qualche parte. Cerchiamo di capire i synth e le macchine, muovendoci istintivamente. Lavoriamo anche con percussioni e chitarre, anche se è difficile riconoscerle nel mix visto che tendiamo a processarle all'inverosimile, trasformandole in qualcos'altro. Poi editiamo e mischiamo tutto con il computer. Dal vivo non posso risponderti, visto che al momento non ci interessa fare concerti.

La vostra base è in Umbria: cosa significa per voi fare musica stando in provincia, nel 2012?
Il nostro posizionamento geografico è ininfluente; abbiamo il nostro studio, in un sottoscala gelido e da lì inviamo i nostri segnali in totale isolamento. Potremmo trovarci nel deserto del Mojave come in cima al Monte Subasio, per noi cambierebbe veramente poco. Stabiliamo una relazione psichica prima che fisica con le nostre macchine, che ci porta a uno stato di totale assorbimento nei confronti della nostra musica. Non abbiamo contatti con promoter, locali e raramente con altri musicisti. Stare in provincia, nella nostra provincia, significa avere la possibilità di potersi confrontare (come fruitori di musica) con situazioni stimolanti e avventurose; pensiamo ragazzi di Dancity per esempio, un collettivo di Foligno che organizza ogni anno un Festival tra i migliori in Italia nel campo della musica elettronica e sperimentale.

Come vedete lo scenario attuale, la combinazione dei social network per veicolare la musica?
Noi non abbiamo una pagina Facebook o Twitter perché non abbiamo nulla da vendere, ne date da reclamizzare. La nostra musica è lì archiviata nell'Internet per chi la vuole ascoltare, disponibile a tutti. To Lose La Track ci dà una mano in questo senso, contribuendo ad avvicinare le persone a ciò che facciamo. I social network sono un mezzo super per posizionarsi nelle mappe cibernetiche dell'intrattenimento. Presuppongono una spiccata attitudine alla comunicatività che purtroppo non abbiamo.

Siete fan del digitale o credete che si dovrà ritornare, prima o poi, ad un supporto fisico? O ad una combinazione delle due?
Siamo a favore di una pacifica coesistenza tra digitale e supporto fisico. L'uno non dovrebbe escludere l'altro, sono ragionevolmente complementari. La nostra amicizia sin dall'adolescenza è stata cimentata dall'acquisto compulsivo di dischi, passavamo i nostri pomeriggi da sbarbati dentro uno storico negozio di dischi che ora ahimè non esiste più. C'era un tizio che faceva scratch nel retro bottega, dove tenevano i dischi house, e lì abbiamo iniziato ad amare l'hip hop, a studiare, a capire che la musica era tutta bella. Che coi Sangue Misto potevi andare fuori di testa tanto quanto con i Black Box o i Black Sabbath. Ecco, vorremmo che si ritornasse a luoghi del genere perchè per noi il negozio di dischi è stato formativo. Il nostro Bar Sport.

Quali sono i vostri progetti futuri?
Tra poco torneremo in studio a produrre tracce. Al momento non sappiamo che sbocco avrà questo nuovo materiale, se avrà una pubblicazione 'fisica' o meno. Vogliamo sfogare la nostra ossessione per l'hip hop, il nuovo materiale si muoverà sicuramente verso quella direzione. Non sappiamo cosa verrà fuori, forse una roba del tipo )))BOOM(((CHA)))(((BOO)))(((BOO010101000101CHA)))

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L'articolo Dream Trucks: puntando al terzo occhio di Francesco Fusaro è apparso su Rockit.it il 2012-04-27 00:00:00

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