Samuele Bersani - E intanto in radio ci sono sempre i Modà

L'amore e lo scrivere canzoni d'amore. In pratica, Samuele Bersani.

Molto semplicemente, ha il suo mondo ed è capace di raccontarlo. E' contento di essere invecchiato, dice, perché quel ragazzino di Spaccacuore e Freak poteva prendere una strada diversa, abbracciare la tv e magari oggi non avremmo tutte la canzoni che l'hanno reso importante. Insomma, Samuele Bersan
Molto semplicemente, ha il suo mondo ed è capace di raccontarlo. E' contento di essere invecchiato, dice, perché quel ragazzino di Spaccacuore e Freak poteva prendere una strada diversa, abbracciare la tv e magari oggi non avremmo tutte la canzoni che l'hanno reso importante. Insomma, Samuele Bersan - Samuele Bersani

Molto semplicemente, ha il suo mondo ed è capace di raccontarlo. E' contento di essere invecchiato, dice, perché quel ragazzino di "Spaccacuore" e "Freak" poteva prendere una strada diversa, abbracciare la tv e magari oggi non avremmo tutte la canzoni che l'hanno reso importante. Insomma, Samuele Bersani si racconta per quello che è, racconta il suo modo di scrivere canzoni, racconta che è innamorato, racconta il nuovo disco e tutto quello che è accaduto prima, cosa gli ha insegnato Lucio Dalla, i cali di creatività e cosa può voler dire sentirsi il padrone di Bologna.

Sapresti sintetizzare come scrivi una canzone? Qual è la tua migliore qualità? 
Per me è un mistero, io non credo di poter fare altro, lo desideravo fin da bambino e poi ho avuto la fortuna che sia diventato il mio lavoro. Se vuoi una sintesi, per me è come fare film solo con la musica. Alla definizione della mia migliore qualità non ci sono ancora arrivato, anche perché scappo dal fermo immagine. Ti direi la schiettezza per immagini, penso di avere un mio mondo e di raccontarlo con sincerità. Mi piace di più l'idea di non essere troppo consapevole di me, ecco, magari critico, ma non consapevole.

Come si scrive una canzone d'amore?
Non lo so, fino ad oggi non erano mai canzoni dove l'amore era il presente, l'amore era appena finito e c'era ancora molto rancore. In questo album è diverso. Prendi “En e Xanax”: è una storia che è ancora viva, non tanto per me, autobiograficamente intendo, ma perchè ogni volta che la riascolto continuo a immaginarmi loro due appena incontrati, con tutto da vivere davanti.

La storia l'hai raccontata in diverse interviste: l'hai vista per la prima volta in Piazza Maggiore, col tempo vi siete conosciuti, quando lei ti ha confessato di aver preso l'En tu le hai detto che prendevi lo Xanax. E in un paio di giorni scarsi hai scritto la canzone. Ora state insieme. E' una canzone molto bella, più che tutto, è stranamente serena per essere una tua canzone. Si può dire che è l'unica canzone serena che hai scritto?
No, credo di averne scritte altre ma diciamo che non ne avevo mai scritte in un momento così sereno. Inspiegabilmente così sereno, improvvisamente così sereno. Ma non è l'unica canzone serena che ho scritto, in questo disco ce ne sono parecchie. In “Ultima chanche”, sembra che io abbia trovato una pace cristiana. Anche “Reazione umana” anche se apparentemente racconta il contrario. Anche “Settimo Cielo” c'è una serenità che... ne sono quasi fin troppo preoccupato (ride, NdA). Poi ci sono altre canzoni in questo disco che non sono così serene ma, guardandomi indietro, c'è da dire che le ho sempre scritte così. Io non sono uno che scrive canzoni rassicuranti, non che lo faccia apposta ma rassicurare non è il mio, non nasco per quello.

Per questo che dicevo che è strano, un filo di inquietudine c'è sempre. Prendi la stessa “En e Xanax”, alla fine è una canzone molto dolce ma hai ugualmente scelto un titolo che trasmette ansia.
Secondo me non abbastanza, secondo me il mondo è molto più inquieto del titolo di questa canzone.

Se dovessi definire questo tuo modo di scrivere con una parola, puoi scegliere tra: cattivo / cinico / agrodolce.
Sicuramente non scelgo cinico, non porta a niente. Ti direi malinconico, se sono costretto con la pistola alla tempia però ti dico agrodolce.

E come non va scritta una canzone d'amore?
Non lo so, mi ha sempre fatto nausea la cosa... la canzone d'amore è la cosa più banale che puoi scrivere. Io credo che, al di là dell'argomento, qualunque canzone si sente se puzza di bruciato, di tavolino, oppure se è una canzone che nasce istintivamente. Mi piace ascoltarle, non solo le mie ma anche quelle degli altri, e alcune mi danno l'impressione di essere nate dopo una notte importante, mentre sono altre che mi sembrano scritte un po' più tecnicamente, col rimario di fianco. La buona canzone d'amore la si canta in mezzo a cento altre che invece puzzano di bachelite, perché l'autore mi pare racconti se stesso facendo la radiografia di quello che gli è accaduto senza giocare al poetino, ma raccontando una storia.

video frame placeholder

“En e Xanax” te lo sei pure tatuato sul braccio, tipo marinaio. E' la prima volta che ti fai un tatuaggio solo perché ti sei innamorato?
E' la prima volta che faccio una cosa, sì, così istintiva.

Mettere la tua lei nel video, anche solo per un frame, è un'altra scelta bella forte.
Ma no, una scelta bella forte sarebbe stata fare il video interamente con la mia ragazza, lì sarebbe stato un atto di egocentrismo/vanità, però pensa quanto abbiamo sofferto a vedere altri due che raccontavano la nostra storia, un po' ci ha dato anche fastidio, proprio da un punto di vista emotivo personale (sorride, NdA). Non era nemmeno giusto che non ci fosse chi ha fatto nascere una canzone come quella.

In 43 anni ti sei innamorato molte volte?
(lunga pausa, NdA) Innamorato così no, non mi sono innamorato tante volte, ho avuto tante storie importanti e ma non mi sono innamorato tante volte, due volte, tre volte.

In alcune interviste che ho letto mi è sembrato che descrivessi questa tua storia d'amore con un incanto particolare, come se prima non ci fosse stato niente, figli compresi. Ora, non vorrei viaggiare troppo con la fantasia, ma mi hai ricordato Davide Toffolo, che è leggermente più grande di te, è del '65, ma per certi versi ha una sensibilità di raccontare le cose simile alla tua, soprattutto nei suoi fumetti. Lui descriveva il seguire l'ispirazione come una condizione esistenziale, diceva: io non ho mai avuto niente, soldi, grandissimi riconoscimenti, non ho avuto affetti tranne Enrico e Luca (che sono la sua band, I Tre Allegri Ragazzi Morti). Tu ci ti ritrovi un po' in queste considerazioni?
Non saprei, no. Sai, il discorso figlio è un'altra cosa, sono circostanze quelle. Ad esempio se tu passi, come è capitato a me, 12 anni della tua vita con una donna che ha già un figlio, è già diverso, lo capisci da solo, perché ti trovi comunque a crescere un bambino e quindi a spostare l'idea di farne uno tuo. Io mi trovo alla mia età con l'idea ancora di non averne fatto uno ed è anche una cosa commovente ma è talmente importante che quando arriverà, arriverà. Per quanto riguarda i riconoscimenti, ho il grandissimo riconoscimento di essere stimato per come faccio il mio mestiere. Se te lo riconoscono, se ti apprezzano come persona, se sei coerente con quello che dici nelle tue canzoni, se sei un vanitoso che si sente necessario solo se sta in TV o se si sente vivo anche quando non si parla di te. Quello è un bel tema...

A narcisismo come sei messo?
Il mio rapporto con il mio narcisismo l'ho esaurito con la mia adolescenza... no, in realtà molto più tardi, con i 25 anni. Calcola che scrivevo già canzoni, la prima l'ho pubblicata a 21 anni. “Spaccacuore”, “Freak”, sono di un altro tipo rispetto a quelle che scrivo oggi, ma mi avevano offerto un tipo di consenso, radiofonico e televisivo, importante. La mia vanità è morta lì. Son felice di essere invecchiato, ero un ragazzo che potenzialmente avrebbe potuto fare tanta televisione, aver deciso di non andare in quella direzione non è stata una scelta facile. Tieni presente che non nascevo indipendente, non mi producevo da solo, ero già distribuito da una multinazionale.

Lavorare in quel tipo di ambientate significava essere sottoposto e grosse pressioni dai tuoi discografici?
No, giusto Sanremo. Era il '97, '98, non ricordo, volevano che andassi a Sanremo ad ogni costo e io ad ogni costo ho detto di no. Mi avevano prestato una macchina e me l'hanno fatta portare via con il carro attrezzi prima che arrivassi a casa.

Scusami ma non ho capito.
Io non avevo una macchina e la casa discografica me ne aveva prestata una. Uno giorno ero in treno, durante il viaggio eravamo ritornati a parlare di Sanremo e ho insistito nuovamente per il no. Tornato a casa la macchina non c'era più. Io ero spaventatissimo, pensavo me l'avessero rubata mentre, in realtà, era la casa discografica che aveva fatto venire il carro attrezzi per riprendersela. Tolto questa cazzata, no, sono sempre stato libero di fare cosa volevo. Hanno capito che non posso essere spremuto. Non sono il tipo che ti fa un disco l'anno, potrei farlo ma non divertirei, farei tutti i dischi uguali. E il divertimento è anche riuscire a cambiare nel corso del tempo.


Ti offendi se dico che ho sempre avuto la sensazione di come l'arrangiamento fosse un elemento poco curato nelle tue canzoni? O meglio, come se a volte non sembrasse la cosa più importante, non dico buttato lì ma quasi.
Non mi offendo, figurati, però ti dico che non corrisponde al vero e ti faccio presente quanto una cosa come l'arrangiamento sia sempre stata importante, soprattutto all'epoca dei primi dischi. Forse, ecco, un aspetto sbagliato può essere stato il suono, non cercavo un suono, ed il suono è importante anche se poi le canzoni sono tanto diverse tra loro. Ed è una cosa che invece con quest'album ho cercato: in questo ultimo disco ho fatto da me, senza produttori, ho preso la voglia e il coraggio, la responsabilità di scrivere, di arrangiare le canzoni con i colori che avevo in testa io.

Parlami delle collaborazioni di questo disco: ci sono gli Egokid e nomi ancora più sconosciuti come Matteo Fortuni e Gaetano Civello.
Ho sentito che c'erano dei punti di somiglianza tra me e il mondo di questi autori, erano presenti delle cose che inspiegabilmente mi attraevano. In alcuni casi parliamo di canzoni già realizzate e definite, in altri ho preso solo lo scheletro e qualche spunto iniziale. Ad esempio, “Spia polacca” ha alcune armonie e l'inizio melodico di Civello ma poi è diventata un'altra cosa. E' una canzone noir nata da una storia che ho vissuto in Islanda, o meglio, che ho avuto la fortuna/sfortuna di vivere per alcuni mesi. E' la storia di uno che poteva aver vinto alla lotteria e invece è lì sull'orlo del baratro.

“Il Re muore”, quella degli Egokid, era già finita quando te l'hanno consegnata? E poi, perché mettere un elenco di cose che muoiono a fine disco, non doveva essere un album speranzoso questo?
La canzone era già definita, aveva un suo arrangiamento di cui io ho tenuto pianoforte e una parte di batteria, tutte le altre cose di arrangiamento non c'erano, poi il ritornello nella loro versione era diverso, insomma è cambiata anche lei. A me piace molto, dovresti chiedere a loro che ne pensano. Musicalmente poteva stare solo lì. E' un punto a capo. Muoiono tante cose ma così come c'è un tramonto c'è una rinascita. Più che tutto è una canzone che mi ha incuriosito, spesso si parla dei testi perché la parola è più facile da definire, ma anche la musica ha il suo aspetto affascinante. E quello che mi è piaciuto di questa canzone nella versione originale era questo mood anni 80. Ed è una musica che io ho vissuto, non l'ho vissuta direttamente facendo mai quel tipo di musica, ma era quella musica in cui ero immerso da adolescente, ci sono cresciuto con quel tipo di ritmica lì. Insomma, ho sentito subito che quella era una canzone importante.

Mi racconti “Desireè”?
E' un personaggio un po' sospeso, è una ragazza che fa parte di questa realtà ma io la descrivo come se fosse la protagonista di una favola. E' una ragazza che riesce a vedere le cose in modo surreale, e allora quando è nell'autobus e si immagina il cavaliere lì non sono io a immaginare quella situazione in quel modo, è proprio lei a vivere in questo mondo diverso e immaginario. E' un personaggio che non si sa da dove arrivi e non si sa dove andrà a finire.

Uno degli aspetti che più mi piace delle tue canzoni - ed è anche per questo che prima ti mettevo vicino a Toffolo - è che è come se scrivessi fumetti: hai uno stile riconoscibile, quindi il tratto è sempre il tuo, i personaggi hanno i lineamenti rotondi, mai troppo realistici, vivono in una realtà che non sembra mai così reale, galleggiano nel loro mondo fatto di sentimenti, di punti vista e di storie d'amore. Il bello è che il gioco funziona anche quando descrivi persone veramente esistite come il cardinale Milingo, la Franzoni, o il giornalista Enzo Baldoni. Tu ti ci ritrovi in una cosa del genere?
Sì, in parte. Quando le canzoni non sono autobiografiche, quindi quando il protagonista non sono io, ci può essere questo tipo di visione esterna, un po' anche a proteggere in qualche modo i personaggi, è una forma di protezione, di cautela. Perché scrivendo ti inventi delle cose, ma poi finisci per credere alle cose che scrivi. Quindi preferisco che, in ogni caso, che siano persone che ho conosciuto realmente oppure puramente inventate, il personaggio assuma sempre un suo tratto, diventi carne e ossa, si distacchi da chi me l'ha suscitato, come se avesse una sua vita personale al di fuori della canzone.

Prendi “Sicuro precariato”, tu l'hai visto “Tra le nuvole” di Jason Reitman?
Non l'ho visto ma ho presente che film è, quello con Clooney vero?

Esatto. Quel film riesce in maniera geniale a creare un parallelo tra la crisi dei rapporti interpersonali e quella economica. E non ti dice banalmente che la seconda ha creato la prima, tipo sociologia spicciola, meglio, è capace raccontare il micro e il macro insieme, la vicenda personale e quella globale. Tu in “Sicuro precariato”, fondamentalmente, fai lo stesso parlando della situazione dei docenti italiani. Come ci arrivi, ti piace immaginare le vite degli altri?
Mi piace raccontare delle storie, per me è molto importante riuscire, in 3-4 minuti di musica, a raccontare la storia di qualcuno. Tu mi hai fatto quell'esempio, io te ne faccio un altro, quando ho scritto quel pezzo pensavo a “Il posto” di Ermanno Olmi, cioè l'idea era quella di raccontare una generazione attraverso un'immagine sola, una persona sola. Cercando il più possibile di non essere banale, perché anche raccontare il precariato senza ricadere sui soliti spunti può essere difficile. E' anche un sentire i problemi degli altri credo, una sorta di predisposizione alla compassione, entrare un po' nelle altre persone, compenetrarsi. E' come un attore che crede nel personaggio che deve recitare. E i personaggi nascono sul foglio o li incontri per strada, prendi “D.a.m.s.”...

Perchè, non sei tu il protagonista di "D.a.m.s."?
No, non sono io, anche perché quello che faccio dire a questo ragazzo mi appartiene pure ma poi lui ha 20 anni in meno di me e un presente molto più sgualcito e già ampiamente mangiato dalle generazioni precedenti. La mia generazione, in qualche modo, ha avuto una coda di cometa a cui aggrapparsi, la generazione di questo ragazzo qua no. Nato sotto il segno della disillusione totale. Vivere in questo momento in Italia è un'altra cosa che vivere, non so, in Germania.

E tu perché sei rimasto in Italia?
Ma ognuno rimane in Italia per i suoi motivi. Io ho i miei genitori, le mie radici, parlo una lingua che mi piace e mi piacerebbe anche non dargliela su, come si dice a Bologna, cioè di non arrendermi all'idea di poter vivere decentemente ancora qualche anno. Io poi faccio canzoni in italiano, e non è che puoi tradurle facilmente, più di una volta ho provato a tradurre “Liberi come eravamo ieri”, tenendo la stessa metrica...

...ma io immagino che tu ormai possa benissimo fare il cantautore per l'Italia, in italiano, ma vivere altrove, no?
Non è quella la questione, come posso dire... C'è un refresh continuo della realtà, e può essere quello che trovi sulla pagina di Repubblica.it, fai refresh ogni 15 minuti e credi che quella sia la realtà. Ma c'è anche la realtà che incontri quando esci di casa, e quella è molto più sopportabile, piena di ispirazione, a volte sorprendente, c'è tutto e il contrario di tutto, ed è il motivo per cui rimango nel mio Paese. Bisogna trovare sempre delle ragioni in fondo.

Dieci anni fa in “Cattiva” raccontavi della folla che si accalcava per seguire da vicino il delitto di Cogne. Con i dovuti cambi di virgole, può essere la stessa folla che si indigna per i politici o per qualunque altra cosa?
Intanto quella canzone è stata superata, nel senso che ha 10 anni, ma 10 anni fa l'autografo dell'assassino era surreale, potevi leggere nella canzone un guizzo futuristico, ai tempi sembrava surreale, nel frattempo in questi dieci anni ha visto la sua realizzazione, cioè: chiedi un autografo all'assassino, è capitato. Per dire, a Misseri gliel'hanno chiesto l'autografo. Ma tu mi ha chiesto un'altra cosa vero?

La mia domanda era su come sia facile indignarsi oggi, su Facebook come altrove. E' come se si facesse a gara a dire che la tal cosa è una merda. Ci leggo la stessa foga con cui tu in “Cattiva” descrivevi il pubblico che assiste ai gladiatori, che poi era lo stesso che si appassionava alla vicenda di Cogne.
Per me l'indignazione fine a se stessa è uno sport da bar, è sterile, l'indignazione da social network non mi interessa. Se è soltanto indignarsi ogni giorno senza provare a costruire, diventa uno specchio di una certa generazione che purtroppo non è riuscita a entrare, anche perché quella prima è ancora esattamente nel posto dov'era 40 anni fa. Non so, l'indignazione dei 16enni è diversa da quella dei 40enni, ecco. Quella dei 16enni io la comprendo, c'è sempre stata. Anche gli altri hanno motivo di esserlo ma piace sperare che non sia soltanto un “no” che ci sia davvero la voglia di costruire qualcosa.

C'è ricambio generazionale nella musica italiana?
Nella musica non lo so, c'è sicuramente un ricambio di talent show, ce n'è uno ogni sei mesi.

Ce l'hai molto con la tv. Per te ha ancora un potere forte nel far conoscere un artista al pubblico?
Sì, credo di si.

E perché la frecciatina ai Modà in “Chiamami Napoleone”?
Ma no, non è una frecciatina quella, è che quando stavo facendo il disco accendevo la radio e c'erano solo i Modà, era una specie di fotografia nella fotografia. Quella canzone ferma un momento, e poi ne racconta un altro, cioè che quando io smettevo di lavorare accendevo la radio e c'erano i Modà.

Qual è la canzone di un altro che avresti voluto scrivere tu?
“Bocca di Rosa” di De André. E' una canzone perfetta, racconta un personaggio, una storia, un paese. Secondo me è lo sfondo perfetto del nostro paese, potrebbe essere ambientato in Molise come in Lombardia, in Piemonte, come in Romagna. Poi perché musicalmente ti fa credere che sia allegra ma la storia non lo è, che è una cifra che mi ha sempre colpito della musica, quando le cose sono dispari, prendi “Chicco e Spillo” che era tutt'altro che allegra ma la musica faceva credere che fosse così spensierata. E poi “Bocca di Rosa” è una filastrocca ed ha tutto quello che deve avere una canzone, compreso il fatto che chiunque la possa la cantare, e non soltanto chi l'ha scritta.

Se dovessi dirmi la cosa più importante che ti ha insegnato Lucio Dalla?
Non spegnere la curiosità per le cose, non necessariamente legate al tuo mestiere, perché tutto torna e se tutto torna, e fai il cantautore, allora sei a posto perché puoi raccontarlo. E poi mi ha insegnato a difendere quello che si fa e contemporaneamente non dargli troppa importanza.

Il blocco dello scrittore ce l'hai mai?
Capita, però bisogna comunque mettersi, l'esercizio è importante, perché se smetti di scrivere quando ricominci sembra quasi che tu non l'abbia mai fatto. Qualche bracciata in piscina la devi fare, non basta andare al mare una volta l'anno per dire che sai nuotare. La prima canzone di questo disco parla di un momento di crisi creativa durante la quale non riuscivo nemmeno a scrivere la lista della spesa, poi all'improvviso hai la fortuna di sbloccarti. E quando ti sblocchi lavori tanto, lavori finché il fisico resiste, tutte le ore possibili, e quando torni a casa ti senti il portiere, il padrone di Bologna. Non c'è più nessuno quando torno a casa io.

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L'articolo Samuele Bersani - E intanto in radio ci sono sempre i Modà di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2013-10-28 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • maxavo 11 anni fa Rispondi

    Tantissimi complimenti a S.Bersani per questo disco, che ce lo ripropone "al settimo cielo" dell'ispirazione, come non succedeva da caramella smog.Le collaborazioni impreziosiscono la sua idea di musica, donandogli un'attenzione alla musica oltre che alle bellissime parole, quasi inedita e decisamente vincente; regalandoci inoltre uno dei più bei pezzi che lui abbia mai scritto(con gli egokid):"il re muore".Mi sorprende che su di un portale come rockit, non si recensisca un album come questo, che lo meriterebbe molto piu della metà dei dichi che invece si promuovono(una recensione,positiva o meno, è una forma di pubblicità).in attesa.