Ghemon - "Più che un rapper, sono un cantante confidenziale"

Ghemon ci racconta in un'intervista di come abbia voltato le spalle a una certa autoreferenzialità e competizione tipica del rap, e di come ora si senta libero dagli schemi che impone la "scena"

Ghemon
Ghemon - Tommaso Gesuato

Un rapper, un'eccellente squadra di musicisti presi in prestito dalle migliori band italiane e un album che sarà capace di scardinare molti preconcetti sul rap. Dopo aver assistito alla presentazione di "Orchidee" sul palco del MI AMI Festival, vi presentiamo la nostra chiaccherata con Ghemon riguardo la sua evoluzione da uaglione a uomo e di quell'enorme tabù che è l'incontro tra la scena rap e quella indie italiana. Brividi. La carpa sarà anche diventata un drago come canta in "Adesso sono qui", ma non scomodatevi a trovare una definizione per Ghemon, lui ha già le idee chiare: cantante confidenziale.

Partiamo dalla genesi: i due anni passati sono segnati da mixtape, collaborazioni e video… Quando ti sei fermato e hai deciso di dare vita a "Orchidee"?
"Orchidee" nasce un anno fa, lavorandoci tutti giorni dalla mattina alla sera, però l'embrione nasce un anno prima. Un anno dove l'idea è stata concepita, sofferta e smussata e poi diventata una prima canzone. Quindi in totale ci lavoro da due anni. Gli input sono stati tanti e diversi: mi sono approcciato da vicino agli strumenti, ho iniziato a suonare e ho fatto sette mesi senza ascoltare un disco rap, cosa che non mi era mai successa nella vita! Non che sia l'unico genere che ascolto, ma stare sette mesi senza ascoltare un disco propriamente rap è stato un vero e proprio ramadan, mi sono ripulito.

Studiare chitarra e pianoforte prima di entrare in studio con Tommaso Colliva, è un po' alla Stanislavskij, non trovi?
In passato avevo già studiato musica, ma questa volta avevo proprio bisogno di cambiare metabolismo e mangiare del cibo diverso. Per "Orchidee" non volevo ripetere gli stessi meccanismi degli scorsi album… Sai, ti mandano quaranta basi, ne scegli cinque, poi un giorno ti senti ispirato e lavori su una e così via… Mi serviva una preparazione più elevata, ma non perché Tommaso Colliva fosse un esperto di settime e accordi, ma proprio sentivo il bisogno di dialogare musicalmente con lui e gli altri utilizzando un linguaggio più ampio.

Quali sono gli artisti della black music che ti hanno ispirato di più o che hai ascoltato durante questo ramadan?
Io ho scoperto il rap a 13 anni e poi l'r&b moderno e il soul verso i 17, quindi i miei ascolti hanno sempre camminato paralleli. Proprio pochi giorni fa ho trovato delle mie foto delle superiori (fanno molto ridere) dove tengo in mano "Voodoo" di D'Angelo e "Welcome 2 Detroit" di J Dilla. Rap e soul mi hanno nutrito, poi sono tornato indietro e ho iniziato a comprendere meglio Stevie Wonder e Marvin Gaye, ma è stato un assorbimento lento perché per quella cosa ti parte subito l'emulazione e per un artista è un suicidio! Durante il ramadan ho ascoltato tutt'altro, soprattutto (cosa atipica per me) ho ascoltato solo voci femminili: una bravissima ragazza inglese di nome Lianne La Havas, poi Jessie Ware, un gruppo australiano che mi vanto di aver ascoltato prima che esploda anche da noi cioè gli Haitus Kaiyote, Little Dragon… Insomma tutte cose dove ci sono voci femminili con un orientamento al soul non classico. E poi Lewis Taylor, un cantante d'avanguardia inglese che si è ritirato un po' di tempo fa, anche lui è stato uno degli ascolti preferiti in questo periodo.

Se le basi partono da questi ascolti, quanto è stato decisivo il contributo dei musicisti per dare corpo alla tua idea di disco?
I ragazzi sono stati fantastici, perché prima di sposare il disco lo hanno capito. Nel senso che, data la loro variegata formazione, c'era il rischio di dar vita a un disco poco coeso, invece con Tommaso hanno capito qual era la direzione giusta da prendere, il voler essere originali e non una copia di D'angelo o di Erykah Badu. Sono stati fondamentali in tutto, con loro c'è stato un continuo scambio di idee, energie e pensieri, hanno aiutato a cucirmi il disco addosso… Sì lo so, fa un po' libro Cuore questa risposta!

Data la carrellata di nomi importanti (Enrico Gabrielli, Rodrigo D'erasmo, Patrick Benifei etc etc) mi viene da chiedere: hai scelto prima gli strumenti o i musicisti?
Il come volevamo suonasse "Orchidee" lo abbiamo scelto con Marco Olivi e Fid Mella, ma il suono omogeneo ce l'hanno dato loro, perché ogni musicista si è occupato di un solo strumento. Non riesco a darti una risposta pulita, facciamo un 50 e 50.
 




Influenze soul ma anche hip hop anni Novanta, penso a Neffa o Giuliano Palma e Patrick Benifei quando si facevano chiamare The Soul Kingdom. Con Patrick avete parlato di queste influenze passate?
Non abbiamo parlato specificatamente di questo, ma il fatto che Neffa mi volesse nel suo disco, che col tempo si sia creato un rapporto di amicizia e supporto da parte dei Casino Royale, così come con altri, mi fa pensare che queste persone non mi guardano più da lontano, ma come qualcuno che prosegue sulla loro stessa strada. Questo rapporto mi incoraggia a sentirmi parte del gruppo.

"Adesso sono qui" è la prima traccia e primo singolo estratto dell'album e una dichiarazione d'intenti: oggi c'è questo Ghemon. Ma che cosa è diventato Ghemon? Ci daresti una tua definizione?
Prima di tutto sono quello dai singoli a caso! "Adesso sono qui" è stato il primo pezzo che abbiamo fatto per quest'album, ci sembrava avesse tutto al posto giusto e son contento di sentire che in radio funziona così bene. Poi, la definizione che vorrei recuperare è quella di Fred Buscaglione, cioè di cantante confidenziale perché mi sento questo, lo so, è strano per un rapper… Poi oggi mi definisco libero, libero dagli schemi che mi imponeva la scena da dove arrivo e che mi giravano per la testa. Ora che ho trovato il modo di abbatterli vedo che la gente capisce il disco, ed è questa la cosa più importante. Non mi sento arrivato ma sento di essere a un ottimo punto di partenza. La mia carriera è un divenire e questo disco mi spiana la strada verso il miglioramento.

Insieme a te ci tenevo sfatare un mito, quello che il mondo del rap è lontano da quello -userò un brutto termine- indie/alternative. Penso a chi ascolta i Calibro 35 o i Selton l'accostamento con Ghemon possa risultare strano, invece dal disco si sente che le collaborazioni sono nate in maniera naturale, si sente che esistono ascolti comuni.
Sono due mondi che comunicano poco, poi dopo aver incontrato Dario Brunori, Vasco Brondi, Roberto Dell'Era e altri ed esserci fatti lunghe chiacchierate ho capito che il problema è solo che i due mondi non si vogliono parlare artisticamente. Il mondo autoreferenziale del rap crede di bastare a se stesso e pensa che l'altra musica sia vecchia mentre loro pensano che il rap è musica solo da ragazzini. Ecco, quando uno smette di avere questo atteggiamento da ultras, di tifare solo per la sua squadretta e si inizia a parlare è allora che escono ascolti e linguaggi comuni. Mi sono trovato ad avere molti più ascolti in comune con Colliva o con Enrico Gabrielli che con un ragazzo che fa rap. Sfatiamo il mito e creiamo la possibilità che i due mondi si possano parlare alla grande, non siamo così distanti! Per esempio, sono andato a cena con Vasco Brondi, un ragazzo della mia età prima che un artista con una grande sensibilità e sentivo che avevamo molto da dirci, ho pensato "allora non ci guardano dall'alto al basso"!

Un tempo parlavi del rap come microcosmo, oggi direi siamo agli antipodi. In qusto momento di massima democratizzazione del rap penso sia interessante condividere un disco come il tuo: strumenti che si sposano a beat e produzioni, intermezzi rap e ritornelli cantati e il fraseggio, le sincopi che trasformano la voce in uno strumento ritmico uguale agli altri. Penso sia bello che ci si possano riconoscere più generazioni: chi ha seguito un percorso soul, magari più legato a un tipo di rap classico, o chi si è avvicinato al rap da poco e da questo disco può annusarne le origini...
Sono contento, a me interessava esprimermi liberamente e poi che persone dell'età dei miei genitori o di mio cugino Gaetano che ha quarant'anni non si sentissero scomodi nell'ascolto del mio disco. Non c'è stata strategia, piuttosto il voler evitare di fare cose troppo giovani perché mi sento l'età che dimostro, cioè 32 anni. Io non mi sento paladino di nessuno, però - posso dirlo? - volevo fare un disco bello e con le palle.
 



Ho adorato “Orchidee” perché nonostante la grande eleganza è un disco che parla di una quotidianità con cui è facile immedesimarsi, un susseguirsi di momenti di vita più che di pezzi musicali. Quanto è difficile parlare della vita senza banalizzarla attraverso, per esempio, la metafora dei piatti da lavare?
Penso spesso alla dicotomia tra banalità e semplicità che non sono la stessa cosa, per questo disco ho voluto ricominciare da capo, rielaborando tutto dal basso e cercando la via per la semplicità. Per quanto riguarda la quotidianità non è stato difficile perché mi è bastato raccontare la mia vita, eliminando quello che da trentenne trovo superfluo raccontare. Ho dovuto eliminare anche la parte della lamentela, quella cosa che nel rap spinge ad essere autoreferenziali e parlare sempre di quanto si è bravi. In qualche canzone questa cosa si ritrova ancora, perché è insita nel rap, è quella parte di pancia che non può mancare, però di menarla per un intero disco non mi interessava proprio… La parte della competizione nel rap non me la dimentico, ma è una componente da canalizzare in un contesto diverso per esempio sul palco del Redbull Culture Clash.

Ricordo che quella sera hai preso il ritornello di "Adesso sono qui" e l'hai rigirato contro le altre crew: "Adesso sono qui dove tu mi hai lasciato, saluto le altre crew con questa vi ho sotterrato"
Quello era il luogo giusto per competere!

Nel pezzo "Nessuno vale quanto te" hai trovato il modo giusto per rivendicare il lavoro fatto negli anni passati, però rispetto alla tradizione del rap hai preferito un lato più intimista di quell'autocelebrazione tipica del genere.
Sì, volevo dare voce a quelle persone che pensano che il lavoro gli stia riuscendo bene, ma solo perché ci hanno messo davvero tutto. Solitamente nel rap le declinazioni sono due: o si fa il pezzo in cui si rosica o il pezzo in cui ce la si tira. Io volevo la mia storia e al firma copie in giro per le città ho incontrato ragazzi come me che si sentono rappresentati dal disco.

Ho ascoltato il tuo disco mentre pulivo casa, in macchina e in metro e mi è sempre piaciuto, ma tu hai mai pensato a una dimensione perfetta dove ascoltarlo?
Wow bellissima domanda… No. Non ci ho pensato ma l'ho ascoltato un sacco di volte sul tapis roulant, perché succede che da artista vuoi anche stare dall'altra parte, quella dell'ascoltatore. Magari è un bel disco per correre in un bosco, diciamo che è non la colonna sonora perfetta per fare una rapina...

Decisamente non ha nulla alla "Fast and Furious"… Ti abbiamo appena visto sul palco del decimo anniversario del MI AMI Festival. Questa non è stata la tua prima volta, hai fatto parte del cast anche nel 2011 e anche quella volta non eri accompagnato solo da un dj. Cos'è cambiato oggi?
Quest'anno sono arrivato con una band di sei componenti e un grande guest che è stato Rodrigo D'erasmo. Una band non di musica leggera, ma di persone che sanno come questa musica va suonata, perché quando c'è da picchiare si picchia. Chi lavora con me sa che sono esigente e per questo tour mi aspetto un miglioramento di data in data! Sul palco con me ci sono Marco Olivi, Hyst, persone che conoscono il tipo di suono che voglio, non il piano bar con il rapper sopra che canta!
 


 


Sono passati tre anni dall'edizione del 2011 e il MI AMI ospita sempre più act rap, quest'anno c'eravate tu, Fritz Da Cat, Nitro e Dj Gruff… Il pubblico è cambiato, è più aperto e salta da un palco all'altro con la stessa facilità con cui salta tra le playlist Spotify.
Vero, ma questo è sintomo del fatto che anche in Italia la cultura musicale sta crescendo ed evidentemente che se non si gioca più al massacro contro il rapper è anche perché ci sono cose molto interessanti in giro che hanno una propria forza. Per esempio, uno che viene da un immaginario metal hardcore se ascolta Salmo o Nitro se ne sta comodo all'interno dei suoi gusti.

Quali artisti che hanno partecipato al MI AMI avevi più curiosità di ascoltare dal vivo?
Sai, c'è quel ragazzo di Avellino che dicono che sia bravo, quel Ghemon… Scherzo, mi hanno parlato bene de Il Triangolo, poi Pierpaolo Capovilla che trovo un personaggio pazzesco, Vasco Brondi, Nicolò Carnesi e Yakamoto Kotzuga, un giovane producer molto bravo con cui ho già collaborato. Infine Brunori, che per tutte le volte che è stato nominato in questa intervista mi deve almeno una pizza.

Passiamo alle cose serie: è da quando ti ho visto alla serata Blue Struggle con addosso quel bellissimo cappotto senape che ho voglia di parlare con te di stile. Non capisco perché non se ne parli mai, quando da sempre il rap è molto versatile su questo argomento.
Ma infatti, perché dobbiamo sempre sembrare degli scappati di casa o i soldatini di un brand che ti manda il pacco a casa? Il fan ti segue (a volte) anche per tutto il pacchetto, è comunque parte della tua immagine. Io sono così, magari il prosciutto non vado a comprarlo con l'impermeabile giallo ma la sera lo indosso, anche questa per me è quotidianità. Per me l'eleganza è importante, me l'hanno insegnata i miei fin da bambino e poi ho continuato io a ricercarla in musica come nel vestire. Poi oggi il uaglione è diventato uomo.

Proprio di evoluzione volevo parlare: come Kanye West dallo zainetto di Louis Vuitton alle maschere di Martin Margiela, ti va di fare un recap della tua evoluzione stilistica usando le tue produzioni come tappe di svolta?
Divertente! Partiamo con "La rivincita dei buoni" del 2007: era un po' la mia versione di Kanye West con lo zainetto, il ragazzo che ascoltava gli Slum Village, Kanye ovviamente, i Little Brother e cercava di indossare qualcosa di più ricercato rispetto agli altri. Quello è l'inizio del percorso e della ricerca del mio stile.
Poi nel 2009 arriva "All'improvviso impazzire": rimane il pantalone largo ma si aggiungono maglioncino e camicia, quindi si mescolano le due cose, diciamo un tentativo di guardare avanti.
Con "Qualcosa è cambiato" del 2012 vivo il mio periodo ante-hipster: porto la barba lunga prima delle barbe lunghe... Effettivamente la foto della cover è del 2011 e quando gli altri si son fatti crescere la barba, io ho deciso di tagliarla!
E infine oggi, 2014 "Orchidee", è la fase uomo, meno uomo Vogue e più uomo Ghemon!

Hai qualche icona di stile?
Ce ne sono eh, ma non posso rivelare le mie fonti! In questo momento mi sento molto rude boy, quindi mocassino, calzino bianco e camicia.
 

---
L'articolo Ghemon - "Più che un rapper, sono un cantante confidenziale" di Elena Mariani e Silvio Bernardi è apparso su Rockit.it il 2014-06-10 17:53:26

COMMENTI

Aggiungi un commento avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia