Ensi - Un lavoro fatto bene. Sogni e realtà del rap italiano

I lavori che ha fatto prima, e ora il rap come professione. I sogni, e tutto quello che ne consegue (senso d'appartenenza & senso di realtà verso una scena musicale in crescita). Una lunga intervista ad Ensi.

I lavori che ha fatto prima, e ora il rap come professione. I sogni, e tutto quello che ne consegue (senso d'apparenza & senso di realtà verso una scena musicale in crescita). Una lunga intervista ad Ensi.
I lavori che ha fatto prima, e ora il rap come professione. I sogni, e tutto quello che ne consegue (senso d'apparenza & senso di realtà verso una scena musicale in crescita). Una lunga intervista ad Ensi. - Ensi

Racconta dei tanti lavori che ha fatto fino diventare un rapper di professione. Dell'equilibrio tra soldi e libertà. E poi di quel senso di appartenenza verso una scena rap che, per forza di cose, è cambiata nel tempo. I sogni, e tutto quello che ne consegue. Una lunga intervista ad Ensi.

Stai andando a Napoli?
No, stiamo andando a Bassano del Grappa.

Pensavo che fossi in giro per quella serie di eventi che che stai facendo con Symone... Che tipo di risposta avete avuto dal pubblico?
Be' molto bella, perché comunque abbiamo cercato di unire due mondi, quello elettronico e quello rap, cercando l'impatto di un sound system reggae, con l'MC che interviene, che non fa solo “su le mani”, ma che rappa in free style, che commenta nel modo giusto... L'hosting fatto come si deve, insomma! Se vuoi come le robe di Major Lazer che comunque è da un po' un punto di riferimento per quel tipo di interazione fra dj, mc e pubblico.

La cosa interessante è che nonostante la tua passione per la musica elettronica da club e nonostante la capacità di Symone di produrre quel tipo di suono, per l'album avete scelto sonorità molto diverse.
No, non avrebbe avuto senso andare verso l'edm... Per dirti, anche la dancehall mi piace molto ma non faccio pezzi dancehall, io faccio hip hop ed è la cosa che mi piace di più; però al tempo stesso mi interessava cercare un'interazione con il dj diversa dal solito, perché spesso i dj set nell'ambiente dell'hip hop vengono considerati zero, nel senso che tutti aspettano l'mc che sale sul palco, fa venti minuti di rap, magari pure in playback, e poi via con un'ora di foto con i fan. A me di quella roba non me ne fregava un cazzo, allora mi sono detto: devo inventarmi una cosa diversa e fare in modo che io stia sempre in consolle, evitando però di suonare per due ore classici, perché comunque devi anche adattare la musica alla pista nel modo giusto. L'idea era quella di fare i set come Dj Snake che mescola di tutto, dall'hip hop all'edm, visto che in Italia ci sono poche persone che sanno fare quella roba... Però non c'è stato mai il minimo dubbio che il mio disco dovesse avere le sonorità che potete sentire.

Tu hai mai provato come dj o come produttore?
Come produttore non ho mai provato nel senso che mi mancano le skills tecniche, però per quanto riguarda la scelta delle produzioni cerco sempre di dire la mia perché so esattamente cosa mi piace, qual è il mio gusto. Come dj non ti nascondo che ultimamente, negli ultimi due anni, sto provando perché nonostante sia, fra virgolette, giovane, ho una grande passione per i dischi e per un sacco di roba sia vecchia che nuova, per ricollegarmi anche al discorso di prima... Mi piacerebbe mettere i dischi e magari un giorno...

Sia il dj che l'mc sono lì per far divertire, per intrattenere e per coinvolgere. Però il fatto che questo avvenga attraverso strumenti diversi cambia anche il modo in cui entrano in contatto col pubblico.
Chiaro. Ma cambia proprio anche il fatto che, nel mondo del rap italiano, la fama di un dj ha un peso diverso. Per questo mi sono detto: io voglio che la gente balli questa roba, allora sfrutto la mia presenza e invece di fare venti minuti sto due ore a fare il dj set, a tenere la gente a ballare. Ed è anche per questo che sto cercando di farne il meno possibile, perché voglio sperimentare una formula ancora diversa. Vorrei fare in modo che il dj-set fosse adattabile dalla discoteca più tamarra al posto tra virgolette più fighetto.



Per quanto riguarda questa collaborazione con Symone che state portando in giro dal vivo, mi interessava capire una cosa: tu hai già collaborato con vari marchi e realtà diverse e volevo sapere se sia difficile, come artista, riuscire a mantenere un bilanciamento fra libertà espressiva e il normale “riscontro” che devi saper offrire per chi ti dà questa possibilità...
Guarda, io ho piena libertà nelle scelte di quello che faccio. Non mi sento mai costretto, non mi sono mai fatto coinvolgere in progetti che non mi rappresentassero... Cioè, domani potrebbe arrivare chiunque con la valigia di soldi in mano, però se mi dovessi vestire da peperone per andare alla sagra di Carmagnola non ci andrei, perché a tutto c'è un limite. Poi, per carità, nella vita non tutto lo puoi fare solo per piacere; qualcosa lo devi fare anche per guadagnare dei soldi, io non giudico mai quello che fanno gli altri, però fino ad ora ho avuto sempre la possibilità di scegliere. Tutto quello che ho fatto è perché avevo voglia di esserci e basta.

Rimanendo sempre sul discorso lavorativo, in un video accennavi a un'esperienza che ti ha anche fruttato qualche soldino e che ti faceva andare parecchio in giro. Ti andrebbe di raccontarmi un po' com'è andata questa cosa?
Certo. Io ho fatto per tanti anni il tecnico industriale sui macchinari per il taglio laser, quindi una cosa che non c'entra nulla con la musica. Anni fa trovai questo lavoro presso una multinazionale di Torino, leader nel settore delle macchine per il taglio laser, e cominciai ad andare in giro per il mondo a fare il formatore. Ti parlo di un periodo che va dal 2005 al 2010: per quattro abbondanti di questi cinque anni ho fatto trasferte praticamente per tutto l'anno. Era un bell'impiego però era totalizzante, e in qualche modo quell'esperienza è finita anche nella mia musica. Per dirti, in “Vendetta”, quando dico che l'ho scritta agli angoli del mondo sugli angoli dei quaderni mi riferivo proprio a quello. Ma in generale nella vita ho fatto tantissimi lavori, anche perché all'inizio non c'era la possibilità di far diventare questa roba un mestiere. Sai, oggi questa condizione di rapper che ce la fa e se la cava con la musica è una cosa nuova. Prima, a parte qualche nome del passato come gli Articolo 31 e i Sottotono, era difficile fare questo e basta. Ora, se entri in un determinato circuito, ce la puoi fare. Io ne sono la prova. Tornando al mestiere di cui ti dicevo, invece, ti posso dire che girare il mondo è una cosa che consiglierei a qualsiasi giovane: capire come vive la gente fuori ti apre veramente la testa e ti insegna anche tanto.

Tu dicevi che hai iniziato la tua attività in un periodo buio della storia dell'hip hop italiano perché era il momento in cui quei grandi nomi di cui si parlava (quelli che avevano fatto i soldi veri) non avevano più un'attività così forte e contemporaneamente anche l'underground soffriva. Adesso ho l'impressione che le cose siano un po' più distribuite: se prima pochi avevano tanto, adesso tanti riescono ad avere qualcosa, a vivere bene, senza eccessi magari...
Infatti questo dovrebbe servire da monito a tutti quelli che dal basso tentano di sputare verso l'alto, mentre lo sputo gli arriva in faccia. Se va bene di sopra va bene a tutti: è normale ed è giusto che sia così perché succede in tutto il mondo. In America c'è Kanye West e c'è Action Bronson ed è giusto che sia così. Non vedo perché in Italia ci debba essere sempre di che lamentarsi. Ovviamente se qualcuno ha più visibilità dipende anche dal target al quale ci si riferisce. Per me riuscire a ritagliarmi il mio spazio facendo quello che mi piace davvero fare è davvero un sogno che diventa realtà. E allo stesso tempo sono contento anche per chi magari continua a fare una doppia vita, un doppio lavoro, portando avanti la propria passione. Anche io sono stato in quella situazione ed è stato un bel periodo. Dal 2008 al 2011 lavoravo e poi la musica mi dava delle belle soddisfazioni, e poi le cose sono cambiate ma ci sono modi e tempi per tutto. E poi c'è da dire anche che c'è chi nasce Attilio Lombardi e chi nasce Lionel Messi: la vita è così, non tutti sono destinati ad avere successo o a farci i soldi con la propria passione. Se le cose per me fossero andate diversamente sono sicuro che per fare i dischi sarei andato in banca a chiedere i prestiti perché se questa cosa ti fa stare bene continui a farla e basta.

Un'altra cosa che mi incuriosiva del tuo passato è la questione del rugby, che c'è anche nel video di di “Numero Uno”...
Io ho giocato dieci anni a rugby ed è uno sport che consiglio a tutti perché è una bella metafora della vita. Mi allenavo con squadre del circondario di Torino e poi un anno ho avuto la fortuna di partecipare a un campionato di serie A perché noi eravamo le giovanili di questa squadra di serie A... Poi non avrei mai avuto le skills per diventare qualcuno nel mondo del rugby, però mi ha insegnato davvero tanto, nella vita in generale, e lo consiglio a chiunque, è un mondo fantastico.

Dove abiti ora?
A Milano. È da 5 anni che sono stabile lì.

Come mai questa scelta?
Mi ero già trasferito quando facevo il tecnico delle macchine laser, poi gli affetti personali sono qua e mi sono trasferito in pianta stabile. Essere nel posto giusto nel momento giusto è importante quanto avere talento, in alcuni casi anche di più. Vivere a Milano mi ha aiutato. E poi comunque sono a un'ora da casa, non è male.

Non ti manca la vita torinese?
Mi manca molto e in realtà infatti non nego che nei prossimi anni vorrei tornare a casa. Però ormai la mia vita si è spostata, vivo a Milano con la mia ragazza, sarebbe difficile in un periodo movimentato come questo pensare a un trasloco. Voglio far passare almeno un paio d'anni e poi magari tornarmene a casa con più tranquillità.

A proposito di luoghi, l'hip hop una volta aveva come luogo d'elezione per tutte le sue espressioni la jam. Mi sembra che negli ultimi anni sia andata un po' scemando come dimensione...
Sì, certo. Innanzitutto la maggior parte delle jam ora è veramente a livello amatoriale. Mentre un tempo riuscivi a trovare gruppi molto quotati, ora le cose sono cambiate e quando si parla di jam a uno gli vengono quasi i brividi perché pensa: “Farò una serata di merda, ci saranno gruppi scarsi con breaker scarsi”. In realtà ci sono delle jam fighissime alle quali vale la pena presenziare, però siccome ci sono gruppi interi che muovono veramente grandi numeri ormai si fanno direttamente le one night hip hop. Un po' mi dispiace perché io, nonostante ne abbia vissute poche di jam, le ricordo come un bel momento di unione. Si prendevano treni e pullman da tutta Italia e ci si incontrava a questi eventi qua, quindi un po' mi manca quel senso di appartenenza, quel poter dire “Siamo qua tutti sotto la stessa bandiera”. Però capisco che per tentare di fare una cosa dove ci siano i writers, i dj e i breaker tutti davvero di alto livello servirebbero troppe cose... Fra le quali davvero uno spirito comune. Ormai c'è l'attitudine da singolo, dove ognuno fa i cazzi suoi e non parlo solo dei rapper ma anche dei writer che diventano street artist ed espongono nelle gallerie, e dei breaker che diventano ballerini professionisti e cambiano proprio target. Si è persa un po' quell'essenza lì, quella dell'hip hop a 360 gradi che una volta c'era. Ma secondo me è abbastanza inevitabile; anche in America succede, anche in Francia, non è una cosa solo italiana.

Secondo te Internet ha aiutato un po' questo cambiamento, cioè il fatto che l'hip hop e il rap come sua emanazione linguistica si siano spostati dal luogo tradizionale della jam verso altri posti, che sono anche la Rete stessa?
Internet è un'arma a doppio taglio: sicuramente ha favorito un'espansione a macchia d'olio di questo genere musicale e certo ha fatto in modo che anche un pubblico un po' meno addicted fosse coinvolto in questa cosa. Ma anche questo era inevitabile: non si può pretendere di far crescere questa roba e di rimanere sempre tra di noi. In qualche modo le cose devono evolversi. Per quanto riguarda il nostro paese il discorso è piuttosto spinoso perché questa musica ha attecchito in contesti totalmente diversi da dove si trova ora. Basta pensare alle posse, ai centri sociali che sono completamente spariti. Io sono cresciuto in un periodo confuso dove in realtà non c'era l'ardore della fine degli anni Novanta e non c'era neanche la ripresa che c'è stata dal 2004 o 2005 in poi: era proprio periodo di buio totale. Poi ho visto il rap cominciare a far presa su un pubblico che era diverso: quando andavo a scuola eravamo in tre ad ascoltare il rap, oggi fuori da una scuola superiore o da una scuola media se mi vedono sono finito, sto due ore a fare le foto. È una roba incredibile se uno ci pensa, sembra quasi uno scherzo. Però quando dico “sembra tutto un sogno” parlo proprio di questo: non possiamo lamentarci che questa cosa abbia visibilità. Sicuramente ha un po' alterato quelle che erano le idee principali ma mi permetto di dire che per molti le idee principali erano anche, in alcuni casi, sbagliate, perché comunque negli anni che furono, che io non ho vissuto di persona, non so se ci fosse proprio quello spirito di unione, di pace di amore che sta alla base della cultura hip hop. Era proprio diversa la cosa, quindi diciamo che me la vivo da giovane veterano, da chi c'è da un po', conosce la storia e ha avuto la fortuna e, mi permetto di dire, il vanto di avere il pollice su da parte di grandissimi della vecchia scuola.

Tornando invece alla tua carriera nella sua globalità, quando tornerà la sigla One Mic (se tornerà)?
Anche questo è un tasto un po' delicato, perché alcuni fan sono rimasti un po' sconcertati dal fatto di non vedere One Mic nella tracklist di “Rock Steady”. Io con il mio gruppo ho fatto tanti anni di attività e devo dire che ho quasi esaurito le cose che voglio dire, nel senso che una volta vivevamo assieme, geograficamente vicini, con idee simili anche sulla musica; poi negli anni ci si sposta, si cambia, si fanno cose diverse e magari non ci si trova più con quell'unione mentale tale da far sì che puoi fare della musica che rispecchi tutti e tre. Per me “Commerciale” fu davvero difficile come disco perché musicalmente volevo andare in un'altra direzione mentre loro volevano andare ognuno in un'altra. Allora, piuttosto che forzare la mano e fare qualcosa che non ci rappresentasse davvero, ho preferito non invitarli nel mio disco. Questo non vuol dire ovviamente che non faremo mai più delle cose assieme. Questo disco ha undici tracce ma sono undici tracce che hanno senso non solo musicale, ognuna ha la sua identità anche a livello di argomento; non ci sono pezzi di riempimento, ecco. Non so se in futuro continueremo con One Mic, non è detto che non ci sarà un nuovo capitolo: a me piacerebbe, però bisognerebbe trovarsi, capire anche a livello musicale dove avremmo piacere di andare e dovremmo avere tutti il piacere di andare nella stessa direzione, altrimenti non avrebbe senso. Sarebbe una cosa forzata.

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Mi togli un'ultima curiosità? Dov'è girato il video di “Rispetto di tutti, paura di nessuno”?
È stato girato a Taranto, perché è una città che mi ha sempre affascinato, ha partorito un sacco di musicisti, un sacco di belle situazioni. Siccome non ci ero mai stato a suonare ho fatto in modo di passarci con Symone e mi sono innamorato. Quando il regista mi disse che voleva girare a Taranto perché è di Lecce sono impazzito e ho detto “Cazzo, sì!”, e infatti non potevamo fare scelta più azzeccata secondo me.

Che cosa ti ha colpito di quella città?
Innanzitutto l'umanità delle persone che ci vivono, perché Taranto vive una situazione di autentico stupro geografico, è una città che è stata privata della possibilità di crescere, una città dove c'è un'altissima percentuale di morti per i tumori, dove la gente non vive bene e nonostante questo le persone hanno dignità e forza incredibili, unite ad un grande orgoglio della loro terra. Non è così scontato: in genere uno da una situazione di disagio preferisce andarsene, invece conosco un sacco di gente che rimane lì sul territorio e fa cose per la propria gente e spesso poi la televisione parla di altri problemi, magari anche distanti da noi, che io non voglio dire siano più o meno grandi di quelli che abbiamo in casa, però alle volte ci si dovrebbe soffermare di più su quello che succede nella nostra penisola. Dovremmo smontare questo velo di indifferenza e parlare di più dei problemi veri e non solo nel momento in cui succede qualcosa, come già è successo per le tragedie in Emilia Romagna o in Abruzzo, dove per un periodo si mobilitano tutti e poi ancora oggi ci sono grandissime problematiche... Questo è un po' il dramma del nostro paese. Tornando al nostro discorso, Taranto è stata per me una bellissima esperienza e spero di tornarci anche con il mio tour.

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L'articolo Ensi - Un lavoro fatto bene. Sogni e realtà del rap italiano di Francesco Fusaro è apparso su Rockit.it il 2014-09-15 15:47:00

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