Emis Killa e le riflessioni sulla musica commerciale in Italia

Una dichiarazione, quella di Emis Killa, che farà discutere parecchio (almeno nel mondo del rap). Niente, comunque, che non abbia già detto Jake La Furia due anni fa.

Emis Killa, noto rapper con un seguito di più di un milione di fan su Facebook, ha condiviso oggi sulla sua pagina un'opinione sulla musica rap commerciale italiana, sugli artisti che la portano in radio e su quelli che invece rimangono nell'underground. Secondo Killa le persone che si "consolano" affibbiandosi l'etichetta di indipendente altro non sono che artisti che non ce l'hanno fatta, costretti a vivere la musica come hobby perché non abbastanza bravi. Una riflessione che, a onor del vero, potrebbe essere applicata anche ad altri generi musicali. 

Sto per dire una cosa difficile da accettare per molti, ma vera. Non è che ci sono quelli commerciali e quelli che restano veri, piuttosto ci sono quelli che riescono ad essere commerciabili e quelli che non ce la fanno. Dunque, escludiamo me, che ho ovviamente fatto delle scelte che mi hanno portato in determinate circostanze (che non rinnego) e che quindi non faccio testo. I rapper italiani li conosco tutti di persona, dal primo all'ultimo, e vi assicuro che puntano tutti alla stessa cosa. La conferma di tutto ció è il fatto che spesso gli esponenti di nicchia a cui ci paragonate (per CI intendo me e gli altri nomi ormai nel mainstream) chiamano proprio noi nei loro dischi. È troppo facile non farcela e poi dare dei venduti agli altri. Se ti vendi è perchè qualcuno compra, quando questo non avviene in genere la soluzione più facile è sbandierarsi king dell'underground piuttosto che ammettere che i propri tentativi di rendersi appetibile al grande pubblico sono falliti. Sono cose che capisce solo chi ci passa. Tutti noi siamo partiti dal sogno comune di spaccare con la musica, ma arriva un momento in cui si cresce e bisogna trovare un equilibrio tra risultato e compiacimento. È lo stesso motivo per cui Cristiano Ronaldo non si mette a fare il calcio freestyle in champions league, perché ormai è un pro, deve fare goal, il resto non può prendere il sopravvento. Passata una certa età mi pare sia scontato ragionare in maniera matura, non può rimanere tutto un gioco per sempre, perché per quanto sia utile, costruttivo, serio, rimane un gioco (non a caso viene definito da sempre RAP GAME). C'è chi lo capisce e chi no. Da qui nasce la differenza tra i professionisti e gli amatori. Questo gli artisti in cuor loro lo sanno, il pubblico per ovvi motivi no, ecco perché ogni tanto è giusto aprire gli occhi, soprattutto ai più giovani. Io ero il primo che a 16 anni ragionava così, oggi che ne ho 26 per mia fortuna ho capito tante cose. Purtroppo oggi il pubblico è senza knowledge e non sa, non capisce, non ragiona, se domani faccio un pezzo crudo dicono che sono underground, se mi sentono in radio pensano io sia una pop star. La realtà è che sono sempre io, solo che a volte gioco e a volte lavoro.

Una dichiarazione, quella di Emis Killa, che farà discutere parecchio (almeno nel mondo del rap). Niente, comunque, che non abbia già detto Jake La Furia due anni fa.

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L'articolo Emis Killa e le riflessioni sulla musica commerciale in Italia di Roberta Walser è apparso su Rockit.it il 2015-10-05 12:28:00

Tag: polemica

COMMENTI (2)

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  • mpc 8 anni fa Rispondi

    Io ed EK non ci conosciamo. Ed il tema non è "esser venduti", ma "far cagare". Cosa che - come ampiamente dimostrato dal nostro - c'entra poco col successo.

  • consolato 9 anni fa Rispondi

    Bell' articolo. Ma certi commerciabili sono davvero inascoltabili. E parecchi amatori sono anche professionisti.