Gli Ex-Otago raccontano in anteprima il nuovo album

Incontriamo gli Ex-Otago in un’ex stalla ottocentesca per farci anticipare qualcosa sul nuovo album: ecco cosa ci hanno raccontato

Gli Ex-Otago
Gli Ex-Otago - Tutte le foto sono di Giulia Pistone

Raggiungiamo gli Ex-Otago per quest’intervista durante uno showcase in un luogo molto particolare: ci troviamo infatti nel Laboratorio Sociale di via Peschiera a Genova, un’ex stalla ottocentesca e un ex-asl ora trasformata da un gruppo di amici in una sorta di “comune della creatività”. Questi ampi spazi ospitano un laboratorio di falegnameria, un liutaio, un’officina in cui vengono realizzate delle bici, un laboratorio di uno stilista di moda e di un artista visuale. Proprio qui, sabato 19 dicembre, gli Otaghi hanno voluto realizzare uno degli showcase conclusivi del crowdfunding per il loro prossimo album, che nel momento in cui pubblichiamo questa intervista ha oltrepassato l'obiettivo ed è arrivato addirittura al 106%.
E mentre do una mano a portare sia gli strumenti sia il vino e la focaccia che il buon Maurizio Carucci ha portato per “allietare i commensali”, ne viene fuori un’intervista con lo stesso cantante sulle prospettive future, su un album che è “quasi fatto ma non ancora terminato del tutto” e su Genova, “una città che, quasi biologicamente, non può non comparire nelle nostre canzoni”.


In questi giorni state scrivendo i pezzi del nuovo album, e avete registrato già tre pezzi con Matteo Cantaluppi. Potete svelarci qualcosa sul nuovo disco?

Sarà un album molto colorato, meno organico rispetto ai precedenti che erano dominati da una forte tematica che legava un po’ tutto, se pensi ad esempio al tema del viaggio per “In capo al mondo”. Quindi un disco abbastanza inorganico ma molto gioioso, con canzoni che parlano soprattutto dell’esplorazione del sé, delle scelte personali, degli sbagli che tutti quanti noi facciamo durante la vita. Un disco in cui ci si potrà divertire e, spero, anche rispecchiarsi. Poi quello che rimane uguale sono le persone che lo fanno questo album, persone però che sono molto diverse dai precedenti per tutta una serie di questioni: la vita, l’amore, le vittorie e le sconfitte che in questi anni abbiamo collezionato. Per certi aspetti, se fossi lo stesso uomo che ha scritto “Mezze Stagioni” non ne sarei felice, perché vorrebbe dire essere rimasto fermo e fermarsi significa, come recita il proverbio, perdersi.

Sul vostro sito avete scritto "Abbiamo ripreso in mano un bel po’ di synth…". Dobbiamo aspettarci un lavoro con dei suoni più elettronici?
Assolutamente sì, anche se non è che li abbiamo mai posati questi synth! Con questo voglio dire che i sintetizzatori fanno parte di noi. Trovo che il synth abbia un suono molto contemporaneo che si sposa bene con l’idea che avevamo in testa per questo disco, un disco che parla dell’oggi. Ecco perché i synth avranno un ruolo così profondo e massiccio nelle nostre canzoni, proprio a cominciare da “Come cinghiali incazzati” uno dei pezzi più forti che abbiamo mai scritto.

C'è un tema o un argomento ricorrente nei brani?
Un tema vero e proprio non c’è, siamo rimasti più liberi in quanto a composizione dei pezzi, abbiamo cercato di fare un lavoro più generale, più generalista...

Come la televisione, quindi…
Esatto, generalista. Giusto, ma lo sai che potrebbe essere un buon titolo questo? Conosci un sinonimo di generalista? Perché ci devo lavorare su!

Quali sono le linee guida che state seguendo per la registrazione di questo album? Avete un approccio giocoso oppure state seguendo regole più rigorose?
Questa volta abbiamo voluto fare tutto in modo più giocoso, cercando di esprimere ciò che siamo diventati esattamente in questo momento, risultando quindi molto diversi dagli album precedenti. Ogni disco, mi piace dire spesso e volentieri, è una storia a sé. Certo quello che rimane uguale sono le persone “fisiche” che lo realizzano, ma queste persone sono cresciute e cambiate da un lavoro ad un altro. Per questo gli artisti che mi piacciono sono quelli che non realizzano sempre “più o meno lo stesso album” ma che spaziano e cambiano, anche radicalmente.

Sempre sul vostro sito avete scritto che il nuovo disco lo state registrando "nella nostra nuova casa, un bilocale che abbiamo preso in affitto a Genova Marassi che oltre ad avere uno spazio dove poter suonare c'è anche una cucina, un bagno e una camera da letto"
La Casa Otaghi… qui casa Otaghi! All’inizio avevamo pensato addirittura di prendere un numero di telefono da lasciare in giro per farci chiamare. Poi quest’idea, insieme a mille altre, è tramontata. Abbiamo invece trovato quest’appartamento nel quartiere di Marassi, un luogo molto particolare di Genova. Marassi infatti è un quartiere proletario, di periferia ma per certi aspetti è anche contadino, quasi rurale, con gli ultimi orti che punteggiano le alture della città. Ed ecco che in questo scenario la nostra “vita in comune” è una vita molto semplice. Al mattino, chi si alza per primo, porta sempre qualcosa. Simone è l’incaricato di portare la focaccia, io non faccio mai mancare la cassettina del mio orto e il vino mentre Fra, la cui casa è vicina a Casa Otaghi, ci porta sempre qualche primizia degli orti di Marassi. Dopo di che ci mettiamo a lavorare sui pezzi, magari sui testi oppure ci mettiamo direttamente a suonare. Nell’appartamento abbiamo una strumentazione basica che ci lascia la possibilità di registrare e provare praticamente tutto ciò che vogliamo. Abbiamo abbandonato la classica prova serale e adesso le nostre sessioni sono di uno anche due giorni. Dalla fine di maggio per tre volte a settimana ci siamo riuniti nell’appartamento. Superfluo dire che per noi le colline di Marassi sono ormai la nostra casa.

Vi sto intervistando a Genova. La vostra città entra, in qualche modo, in quest’album o sarete più attenti al suo entroterra, come nell’ultimo disco?
Difficile darti un esito negativo per questa risposta. Va detto che più che di Genova questo disco “trasuda” di Marassi, ovvero di periferia urbana. È un lavoro infatti che racconta personaggi, storie e situazioni molto urbane. Se il disco precedente, “In capo al Mondo” era un po’ il disco dei piccoli paesi e dei borghi, questo è molto più metropolitano, di stati d’animo tipici di chi vive sì nelle grandi città ma magari ai “bordi” di esse, quasi ai margini.

Già ai tempi di “Mezze Stagioni” avevate utilizzato una forma di azionariato popolare per aiutarvi a finanziare il disco. Ora per il nuovo album avete pensato a tutta una serie di attività legate al crowdfunding su Musicraiser. Da questo si capisce che per voi far partecipare chi vi segue direttamente è fondamentale, ma quanto conta la parte economica?
Dunque è nato per poter recepire dei fondi in maniera più orizzontale e trasparente possibile. Prima avevamo avuto a che fare con etichette che, anche se molto piccole, pretendevano di decidere un sacco di cose nei nostri lavori: da non fare uscire una canzone perché conteneva una parolaccia al colore della copertina. Per poter essere più liberi abbiamo deciso di fare tutto da soli, però ci serviva una mano. E questa mano, per fortuna da tre dischi consecutivi, ce l’hanno data, in maniera sempre più massiccia, le persone che ci seguono.
Simone: Il motivo principale è proprio quello di essere assolutamente indipendenti nella scrittura e realizzazione del disco e, contemporaneamente, coinvolgere le persone intorno a noi. Siamo arrivati a quasi 300 sostenitori ed è una grande, grandissima soddisfazione sapere che abbiamo raggiunto il nostro record personale di partecipanti su Musicraiser!

I vostri show si contraddistinguono per una parte visuale molto forte (mi viene in mente il tour che avete fatto con Pietro Paletti, quello di “In capo al mondo”, nel quale tutti quanti indossavate degli strani copricapi da simil-indiani). State ragionando ad una nuova trovata per i prossimi concerti?
Simone: Certo che ci stiamo pensando! Diciamo che molti indizi sono in accordo nel dire che saranno i colori, i colori molto accesi, molto più accesi delle volte precedenti a dominare l’album. Per capirsi: guardate le nostre camicie. Da lì si capiscono un sacco di cose!

A proposito, ho sempre invidiato tantissimo le vostre camicie! Dove vi rifornite?
Maurizio: Da un rivenditore dell’Est Europa, un tipo losco ma molto simpatico
Simone: Non lo sveleremo mai, neppure sotto tortura, ma una cosa la posso dire. Abbiamo una sola regola in questo senso: mai sopra i dieci euro, mai camicie sopra i dieci euro. Va bene l’azionariato popolare, ma il controllo della spesa è, anche a livello etico-storico, fondamentale in questo periodo (ridono).

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L'articolo Gli Ex-Otago raccontano in anteprima il nuovo album di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2015-12-22 10:59:00

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