Dieci pezzi per conoscere i Massimo Volume

Una selezione di dieci pezzi per avvicinarsi o riscoprire una delle più importanti band italiane

- I Massimo Volume © Ilaria Magliocchetti Lombi

"Era il 1991, al tempo provavamo in cantina con un'attrezzatura infame, avevamo solo due vecchi amplificatori, così per poter sentire il suono dicevamo in continuazione: Massimo volume, alza al massimo volume." (Emidio Clementi)

I Massimo Volume rappresentano uno dei più alti e raffinati vertici raggiunti dal rock italiano anni ’90. Nati nell’inverno del ’91 a Bologna e formati oggi da Emidio Clementi (voce e basso), Egle Sommacal (chitarra), Stefano Pilia (chitarra) e Vittoria Burattini (batteria), nel corso di oltre vent’anni hanno tracciato un percorso molto particolare, muovendosi a margine rispetto a tutti i gruppi a loro contemporanei: sostituendo a un oggettivo limite –nessun membro del gruppo sa cantare o si sente di farlo- la recitazione dei testi da parte di Emidio Clementi sul tappeto sonoro tessuto dal gruppo, i Massimo Volume si sono sempre distinti per una sincera e singolare espressività, creando lavori di profonda e curata poesia e raccontando, occhio sensibile sui punti dove la vita ristagna, le mille storie e i mille dettagli del quotidiano.

Oggi vi vogliamo proporre una selezione tratta dall’intera discografia del gruppo per riscoprire (e speriamo in qualche caso anche scoprire) una delle più importanti band della musica italiana.

 La Processione della Madonna dei Porci (Demo o Demo Nero, 1992)

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Sento che qualcosa preme nella mia testa ed esplode/ come fosse una camera d’aria, ed urlo/ alle macchie di sugo sulla camicia. Terza traccia della prima demo registrata dal gruppo (nota anche come "Demo Nero" in quanto circolava anche su una cassetta nera), il pezzo verrà ripreso in "15 Di Agosto" nel primo album "Stanze". Su una base noise carica di escursioni dissonanti e rumorose, il brano presenta già, seppure in forma ancora acerba, gli elementi che costituiranno i cardini sonori del gruppo: testi recitati in prima persona, ricchi di nomi e riferimenti reali e con costruzioni narrative in cui al dettaglio è affidata la descrizione di una vita intera, stratificazioni strumentali post-rock su intrecci ritmici bilanciati e fondamentali, un vibrante (e nel pezzo proposto quasi esasperato) senso di necessità.

Alessandro (Stanze, 1993)

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Accolto con grande successo da parte della critica, "Stanze" rappresenta un esordio importante per i Massimo Volume, già in grado di inserirli a pieno titolo in un panorama musicale di un certo livello e di dare voce ad un bisogno espressivo reale e urgente. Con l'uscita dal gruppo di Umberto Palazzo (chitarra e voce), si consolida la modalità narrativa di Clementi (Mimì), che nel disco raggiunge uno dei punti di maggiore altezza nell'inquieta e maniacale "Alessandro": la storia di quello che intendiamo essere un malato mentale è costruita su un crescendo ossessivo di chitarra e batteria, che esplode violento lì dove si urtano, tra risultati di basket e marche di gelati appuntati con precisione maniacale, i pensieri che non riesce a trattenere. 

Il primo Dio (Lungo i bordi, 1995)

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Dire qualcosa mentre si è rapiti dall'uragano/ Ecco l'unico fatto che possa compensarmi di non essere io l'uragano. È con una traccia che porta il titolo di un romanzo di Emanuel Carnevali, poeta e scrittore italiano emigrato negli Stati Uniti molto apprezzato da Clementi e a cui il pezzo è dedicato, che i Massimo Volume aprono uno dei capolavori del proprio percorso, il compiuto e maturo "Lungo i bordi". Non abbandonata ma messa sotto controllo la vena dirompente dei precedenti lavori, il gruppo pone con questo disco una limpida ed elegante pietra miliare della musica italiana, consolidando un rapporto di maggiore equilibrio tra centralità narrativa e fini architetture strumentali.

Meglio di uno specchio (Lungo i bordi, 1995)

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Due corpi, una città che lampeggia silenziosa oltre il vetro, una luce rossa, il sovrapporsi di dialoghi televisivi e di parole pensate e non dette. ‘Voglio essere il tuo specchio’, lei dice/ e apre la borsetta da cui tira fuori uno specchietto per il trucco/ Se lo mette di fronte/ e mentre fa passare lo specchio sul corpo di lui/ lo specchio riflette la sua immagine. Una costruzione di impeccabili e inesorabili ritmiche, su cui un fraseggio di chitarra arpeggia i colori di mille neon e lamenta in inserti solitari e ruvidi il dolore crudo di due mondi vicini, eppure lontanissimi.

La città morta (Da qui, 1997)

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Salendo le scale/ ci ha spaventato il silenzio/ e qualcosa che pareva un'attesa. Uno scenario muto ma vivo, una città abbandonata che attende letale sotto alla polvere e che tutto osserva in silenzio, da attraversare con rispetto e prudenza. Abbiamo consacrato a nostri idoli le montagne intorno/ confidando nella loro protezione. "Da qui" è il naturale prosieguo di "Lungo i bordi", rimbombo geometrico dilatato nelle atmosfere ma sempre lucido su una realtà quasi iperreale. Il racconto è affidato a piccolissimi e frammentari dettagli che suggeriscono ma non spiegano, come un cauto procedere nel buio. 

 Dopo che (Club Privé, 1999)

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Dopo essere entrato fino alle ginocchia nell’acqua gelida/ per vederti ridere/ Dopo aver ballato musica di merda/ credendo di farti ridere/ Dopo essermi illuso che alla fine mi avresti amato/ Dopo aver progettato viaggi/ Dopo averti letto i miei racconti inediti/ Dopo averne accettato le tue critiche arbitrarie/ Dopo averti fatto spazio nel mio letto/ Dopo averti fatto spazio nelle mie vene/ Dopo averti risparmiato quando ero già pronto ad ucciderti/ Dopo aver preso a morsi i mobili della mia stanza/ per non ucciderti/ Dopo aver visto morire inosservate le mie battute migliori/ Dopo averti amato/ Avuto conferma di vento a favore/ tolgo gli ormeggi. Affidiamo la presentazione di "Club privé" ad una delle sue tracce più alte, mantra del disincanto che fluisce in rivoli di composto e delicato dolore.

 Le nostre ore contate (Cattive abitudini, 2010)

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Dopo lo scioglimento nel gennaio 2002 e la reunion del 2008 (con l'entrata alla chitarra di Stefano Pilia), nel 2010 i Massimo Volume pubblicano l'acclamato "Cattive abitudini", che restituisce un gruppo in gran forma ad un pubblico che molto ne sentiva la mancanza e ancor di più ne attendeva il ritorno. Fantasmi e congedi, amanti come rondini eleganti, giorni che si accalcano fino ad essere solo cumuli di immagini sfuocate. Sgargianti declini ancora lontani, ma che già trasmettono piccoli impulsi nella mente: nelle trame del gruppo ritrovano il posto consueto narrazioni ad altissimo peso specifico, sciolte con classe in atmosfere eteree e pulite. E così veniamo avanti/ simili in tutto a quelli di ieri/ aggrappati a un’immagine/ condannata a descriverci/ Dimmi, non è così? È all'amico Manuel Agnelli, legato peraltro al gruppo anche dalla produzione artistica di "Club privé", che Clementi si rivolge in uno dei pezzi più belli del disco.

Litio (Cattive abitudini, 2010)

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C’è una stanza vuota qui dove potresti fermarti/ dall’ultima volta che sei venuto la tengo chiusa a chiave/ La notte riconoscevo i tuoi passi/ dicevi che il litio ti aveva cambiato/ I tuoi pensieri erano puliti adesso, ma sbiaditi/ come vecchie lenzuola stese al sole ad asciugare.

 Un altro domani (Massimo Volume + Bachi da Pietra, 2011)

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Amore, ascolta/ tornerò/ entrerò senza far rumore/ appena il tempo si rimetterà/ appena il cuore si aggiusterà/ appena avrò la forza/ appena sarà domani. Non scegliamo "Un altro domani" solo per la sua oscillante bellezza, ma anche per aprire una doverosa parentesi sulle numerose collaborazioni e sui progetti paralleli intrapresi dal gruppo e dai suoi singoli membri nel proprio percorso: da Cesare Basile (Clementi, Sommacal e Burattini sono ospiti nel suo "Closet Meraviglia" del 2001 con una reprise di "Qualche cosa lì fuori") allo split con i Bachi da Pietra (di cui "Un altro domani" è parte), dai reading musicati di Clementi (tra cui quello di "La ragione delle mani" con Corrado Nuccini e di "Notturno Americano" con Nuccini e Emanuele Reverberi) agli Ulan Bator in cui ha militato Sommacal, fino alla composizione di colonne sonore per film muti da parte dell'intero gruppo –il che è importante: quella del 2008 per "La caduta della casa degli Usher" fu galeotta per il riavvicinamento dei membri del gruppo-, i Massimo Volume sono stati coinvolti in esperienze artistiche trasversali e variegate.

La cena (Aspettando i barbari, 2013)

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Nel 2013 esce "Aspettando i barbari", nuova conferma di un talento autentico intriso per la prima volta di una componente elettronica più marcata. Oh madre/ il vento scuote ciò che cede/ le insegne, i rami, le catene/ le foglie morte dell’amore/ Riuniti qui a consumare/ il piatto freddo della cena/ la vita stinta nell’attesa. Ancora una profonda contemplazione delle zone d'ombra e di un orizzonte arroventato, dei confini labili e incerti tra ciò che è a fuoco e ciò che sfugge, di una realtà in cui a vincere è sempre –e solo- chi sa non illudersi.

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L'articolo Dieci pezzi per conoscere i Massimo Volume di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2016-02-05 16:00:00

COMMENTI (9)

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  • GiuliaCallino 8 anni fa Rispondi

    @etto.vmax176 Caro Ettore, ti ringrazio di cuore, le tue parole mi onorano davvero. Buona musica!

  • mauri.chiesi 8 anni fa Rispondi

    "Io non ho speranza
    io ho fede"

    "Seychelles 81"

  • etto.vmax176 8 anni fa Rispondi

    Li ho visti un paio di volte dal vivo e mai in vita mia mi era capitato, in entrambe le occasioni, di sentire lacrime scendere mentre recitavo dentro di me le parole dei pezzi stupendi di questa fenomenale band italiana, mai abbastanza osannata, ma apprezzata profondamente da chi la sa conoscere. E ogni volta, in casa, i dischi li ascolto al buio, senza fare altro che restare immobile davanti allo stereo, pensando e ripensando alla mia vita, e a quella di mille altre persone.

    Grazie per questo bellissimo articolo, scritto col cuore e con la conoscenza di chi ha coltivato dentro di sé la vera essenza dei Massimo Volume.

  • nelik 8 anni fa Rispondi

    Ororo!!

    comunque concordo, bella selezione di pezzi

    e rosico che Meglio di uno specchio, che adoro, non sono mai riuscito a sentirla dal vivo, con tutto che negli anni sarò stato ad almeno dieci concerti dei MV... :(

  • ludos06 8 anni fa Rispondi

    Cosa dire...
    Ogni racconto , ogni lettura di Clementi, ogni nota dei Massimo Volume...
    Parole e musica che ti assalgono e ti stringono al collo.
    Verità crude e violente del nostro vissuto quotidiano.
    Incubi e paure,gelo e desolazione.
    Non ho mai sentito raccontare così bene tutte queste emozioni.
    Note e parole si agganciano in un magico vortice.

  • nicola.strumia 8 anni fa Rispondi

    grazie di esistere. tutto qui.

  • nano.stefano 8 anni fa Rispondi

    visti dal vivo 1 volta allo spazio211 di torino sono un emozione indefinibile

  • nano.stefano 8 anni fa Rispondi

    Commento vuoto, consideralo un mi piace!

  • ANDkingA 8 anni fa Rispondi

    Da ascoltare di notte, dopo una giornata sfiancante, quando si è soli e più vulnerabili.
    E' impressionante quanto testi e rumore si sposino a creare un'unica travolgente emozione, vera, quotidiana, sapientemente amplificata.
    Spero di sentirli dal vivo un giorno!