La sacralità di fare arte: la storia di Franca Sacchi

Una musicista e ricercatrice geniale che in pochissimi conoscono: la storia di Franca Sacchi

- Franca Sacchi. © Corriere d'informazione, 23 gennaio 1976
10/03/2016 - 13:46 Scritto da Giulia Callino

"Allora mi resi conto che il "discorso sull'evoluzione del linguaggio musicale" non solo non mi interessava più, ma mi dava fastidio. Lo sentivo falso, forzato, schizofrenico, imposto sull'ideologia corrente, dalla quale però non avevo il coraggio di staccarmi. Non sopportavo più questo modo alienato del "fare arte", questa separazione arte-vita. [...] Scoprii, o meglio, ammisi che quello che mi interessava più di tutto era me stessa, e la mia evoluzione, e che qualsiasi cosa io avessi fatto per essa automaticamente si sarebbe riflessa nelle mie azioni, nelle manifestazioni della mia esistenza.” (Franca Sacchi)


Un’artista del comportamento comportamentista.” (Umberto Eco)


Premessa: non è facile accedere all’enigmatica dimensione di Franca Sacchi. Fra le poche presenze femminili che tra '60 e '70 si dedicarono alla musica elettronica in Italia, e più in generale fra le pochissime donne attive in ambito musicale in quegli anni, la riservata artista milanese ha alle spalle un percorso di intensa ricerca, cresciuto tra le maggiori città d’Europa, esplorato sotto l’egida di grandi maestri e fluito fra la composizione più classica e ardita sperimentazione elettroacustica. Non esattamente uno degli iter più lineari e immediati della musica e sicuramente non uno dei più noti, sebbene foriero di impulsi importantissimi per lo sviluppo della ricerca sonora italiana e ricco di interessanti riflessioni sul rapporto tra esperienza e coscienza nell’atto artistico.

Classe 1940, Franca Sacchi nasce a Milano, in seguito principale centro di formazione e attività della danzatrice, pittrice, maestra di yoga e, naturalmente, musicista. È evidente fin dalla tenerissima età che si tratta di una bambina prodigio, al cui orecchio assoluto si uniscono una naturale propensione verso la musica e la fortunata presenza di una famiglia che supporta pienamente le sue tensioni espressive. Ancora bambina, Franca Sacchi accede al Conservatorio Giuseppe di Verdi di Milano e studia pianoforte e composizione sotto la guida di Luigi Molfino. Conclude con successo gli studi in tempi rapidissimi, ma si annoia terribilmente: i contenuti che studia le sono tutti in qualche modo già noti e non la stimolano, risultando a tratti più esercizi tecnici che vere e proprie scoperte musicali in grado di dipanare il suo complesso intrico creativo. Percependo la necessità di creare forme di musica nuove, diverse da quelle della maggior parte dei compositori apprezzati nell’ambiente musicale a lei contemporaneo, Franca Sacchi inizia a maturare un crescente interesse verso l’elettroacustica e si dedica a un'intensa attività di ricerca e sperimentazione tra l’Office de Radiodiffusion Télévision Française di Parigi, lo studio del pioniere della musica elettronica Léo Kupper a Bruxelles e soprattutto lo Studio di Fonologia Musicale Rai a Milano.

(Marino Zuccheri and Luigi Nono nello Studio di Fonologia Musicale RAI. © Fondazione Archivio LN)

Fondato nel 1955 da Bruno Maderna e Luciano Berio su progetto di Alfredo Lietti e con la collaborazione del tecnico del suono Marino Zuccheri, quello di corso Sempione a Milano costituiva il terzo importante studio europeo per sperimentazioni musicali legate ad apparecchi elettronici dopo lo Studio für Elektronische Musik del WDR a Colonia e il Groupe de recherches musicales di Parigi.

Attivo sia nella produzione di musica sperimentale che nella realizzazione di materiale ad uso mediatico (commenti e colonne sonore per radio, cinema e televisione), lo Studio era frequentato dalle maggiori e più innovative personalità musicali del tempo, da Luigi Nono a John Cage, ed era fornito dei più avanzati macchinari per l'indagine sul suono. Oscillatori, mescolatori elettronici, magnetofoni, generatori di suono bianco, modulatori ad anello, un Onde Martenot e pannelli di permutazione: la convivenza fra tradizione e nuove tecnologie rendeva lo Studio RAI di Milano un ambiente ricco di interessanti potenzialità per la Sacchi, che ha qui modo di contribuire alla ricerca sullo spettro delle frequenze udibili e di realizzare i primi esperimenti legati alla musica concreta teorizzata da Pierre Schaeffer –utilizzo cioè di rumori e suoni ambientali registrati su nastro come materiale musicale vero e proprio, da modificare e rielaborare mediante montaggio e missaggio in fortissima contrapposizione alla tradizionale composizione su partitura e all’esecuzione da parte di un interprete- così contribuendo all’esplorazione dei nuovi timbri e colori del suono richiesti dall’abbandono della musica tonale.

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(Alcune sperimentazioni sul rumore bianco effettuate negli Studi di Fonologia Musicale RAI in un video d'epoca. © RAI Radiotelevisione Italiana)

Adolescente enigmatica, per alcuni aspetti oscura, parallelamente agli studi musicali la Sacchi intraprende anche un intenso lavoro sulla danza, che continuerà per tutta la vita: dopo un breve periodo di aikido, abbandonato per il timore di cadute violente, studia danza classica alla Scuola Giacosa di Milano e jazz dance a Copenhagen. Ancora giovanissima si avvicina inoltre allo yoga, di cui si appassionerà al punto da fondarne un proprio centro e diventare Presidente onorario della Federazione Italiana Scuole di Yoga e Membro onorario a vita del Consiglio Mondiale dello Yoga di Nuova Delhi.
L’avvicinamento a nuove forme di espressione artistica e a discipline di ricerca interiore, unite alle numerose collaborazioni di quegli anni con pittori, compositori, scultori e architetti (Ugo La Pietra, Paolo Scheggi, Giuseppe Chiari ed Emilio Isgrò tra gli altri), la portano a maturare alcuni interessi nuovi –tra questi la pittura- e a porsi come mai prima l’interrogativo su quale sia la forma espressiva migliore per esprimere le pulsioni che sente dentro di sé intersecando discipline diverse: dopo un intenso periodo di riflessione, nel 1975 Franca Sacchi abbandona definitivamente un approccio compositivo rigido in favore dell’improvvisazione, spostando la propria attenzione “dall’organizzazione dei suoni e del materiale sonoro, all’organizzazione – se così si può dire – di se stessi nell’atto del suonare, o del cantare, o del danzare, o del dipingere, [...] al fine di raggiungere una essenza comune ed universale, per poi esprimerla artisticamente con la musica, o con la danza, o con la pittura.”.

(Danza al Centro San Fedele, Milano 1987. © www.francasacchi.it )


Si dà quindi ad un'intensa serie di esibizioni con flauto, pianoforte, organo o sintetizzatore, quasi tutte in gallerie d’arte (“C'è che non esistono donne compositrici e perciò lavoro soprattutto nelle gallerie”), divise in due tempi (primo tempo “essere come danza”, secondo tempo “essere come musica”) ed eseguite sempre da sola e con scarsissima illuminazione ("Non c'è niente da vedere"), organizzando al contempo conferenze e numerosi concerti inerenti il legame fra musica classica e musica iniziatica, tra danze moderne (moderna, boogie-woogie, jazz) e danza iniziatica, fra musica sacra e musica profana.

(Franca Sacchi in concerto alla Galleria ALA di Milano. © www.francasacchi.it)


Questo il ricordo della prima performance di Franca Sacchi nel 1973, raccontata dall’artista stessa: “Alla Galleria Toselli ho fatto il mio primo concerto e danza di improvvisazione: c'era una sala molto grande con il pianoforte, era tutto molto suggestivo. Avevo eliminato gli apporti scenografici, coreografici, che di solito si usano durante i concerti. C'era solo una luce alla mia sinistra che proiettava la mia ombra sul muro: per cui la gente vedeva due cose che danzavano, me e la mia ombra, e non c'era nient'altro, nè musica, nè altro. Era il 1973. Qualche volta suonavo anche il flauto. Al Teatro San Babila a Milano, feci nel 1982 un concerto per pianoforte, danza e voce, che è passato alla storia. Sempre solo improvvisazione.”.

Attratta dal sacro, dalla religione e dall’occulto, introduce nella sua formazione lo studio del canto lirico, a cui unisce quello della musica sacra. Consegue così il Magistero in musica sacra e canto gregoriano al Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra, pur negando per tutta la vita legami religiosi particolari e intendendo invece la sacralità in senso strettamente etimologico, dal latino sacer come “inviolabile” perché –così la Sacchi- "secreto nella parte più profonda e intima di sé".

È nella prima metà degli anni '70 che Franca Sacchi teorizza e brevetta l’idea di arte enstatica, la cui applicazione musicale, elaborata nel periodo tra fine ’60 e 1972, sarà raccolta nella pubblicazione discograficaEn”, parte della sua ristretta produzione discografica insieme alle due registrazioni di concerti “Ho Sempre Desiderato Avere Un Cane, Un Gatto Ed Un Cavallo - Ora Ho Un Gatto Ed Un Cavallo, Mi Manca Soltanto Il Cane” (1973) ed “Essere” (1975).

(La copertina di "EN" di Franca Sacchi, di recente ristampato dalla casa discografica Die Schachtel)

Così si legge nelle note di copertina del disco: "Ho cercato di ripristinare il significato, l’intenzione e la funzione originarie, creando un modo di fare musica (e danza) che parte da “dentro” (en-statico), a differenza di “estatico” (dal greco, “uscir fuori”) e che vanno sempre più “dentro”. Dove non c’è l’esaltazione della personalità, né il divismo, ma si tratta di coincidere realmente con Sé, non di aderire a qualcosa di prefissato, o di imparare coreografie.”.

Diametralmente opposta all’estasi (dal latino “ex-stasi”, stare fuori) e alla trascendenza, l’arte enstatica è quindi intesa come mezzo per ricongiungersi a sé e alla propria dimensione più profonda, evitando mediatori nel raggiungimento di un principio divino. E così anche “En”, con le sue sospensioni tra drone ambient e musica meditativa, raccoglie in forma compiuta la ricerca interiore della Sacchi e la sua interazione con il suono, trattato e modellato come materia grezza da esplorare e far risuonare, spingendo al limite le potenzialità dello strumento fisico (così ad esempio in “Arpa Eolia”, costruita mediante un piano usato come arpa e successive manipolazioni elettroniche).

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(F. Sacchi, "Arpa Eolia", 1970)

Ciò che più può essere interessante valutare oggi (in una fase in cui, comunque, l’attività concertistica della Sacchi continua e a tratti anzi supera l’insegnamento della yoga) sono il suo intervento nell’ambito della musica elettronica sperimentale italiana e soprattutto la linea che unisce solidamente tutta la sua ricerca creativa, dagli studi al conservatorio, all'elettroacustica, alla più recente produzione di composizioni ispirate ai canti gregoriani e all'ambrosiano.

Sul piano prettamente musicale, è chiaro che l’impegno della Sacchi nell’esplorazione del suono, sia in prima persona che attraverso la fondazione di due centri di ricerca sulla musica, la configura come una personalità di stimolo, certa fonte di ispirazione e riferimento per coloro che al tempo vollero avvicinarsi a forme di musica sperimentale in grado di allontanarsi dai sentieri fino a quel momento conosciuti.

A livello sociale, in un contesto che tendeva ad affermare esplicitamente che la donna fosse del tutto negata per la creazione musicale, Franca Sacchi sostenne apertamente la necessità di un avvio alla creazione artistica di pari livello per uomini e donne, fondando un gruppo femminista fra i più intransigenti (il Rivolta 3) e dimostrando chiaramente l’inesistenza di differenze di genere nella propensione alla musica.

Ma è sondando in profondità il mare sonoro di Franca Sacchi che si raggiunge il fondamentale e scintillante cardine che diede impulso al suo percorso: l’ “intenso sentireche la compositrice cercò in tutte le declinazioni del suo operato, percependo nitidamente che l’umanità aveva “acquisito una dimensione spettacolare, ma perso la dimensione spirituale e la comprensione effettiva di un valore e di un potente mezzo reintegrativo”. Quello che Franca Sacchi tentò di realizzare si discostò in modo rilevante dalle manifestazioni espressive a lei contemporanee perché tentò diripristinare l'originaria sacralità del fare arte, condannando apertamente la quantificazione spettacolare da essa subìta e promuovendo invece l'improvvisazione come mezzo per ricongiungersi nella e alla propria interiorità, come possibilità di essere “esattamente come l'impulso del momento detta”.

In una realtà in cui l’incursione della tecnologia e la cura dell’immagine tendono frequentemente a superare e appiattire una ricerca creativa autentica, generando meteore indubbiamente spettacolari ma che contribuiscono con poca profondità ad una creazione artistica di valore, è questo l'impulso che la storia di Franca Sacchi trasmette con maggior rilievo: “né divismo, né creativismo o livellamento”, ma il tentativo di agire in risposta a una profonda spinta interiore e ad un’emozione che –è la stessa Sacchi a citare Celentano- non ha voce.

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L'articolo La sacralità di fare arte: la storia di Franca Sacchi di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2016-03-10 13:46:00

COMMENTI (2)

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  • GiuliaCallino 8 anni fa Rispondi

    @re Grazie!

  • re 8 anni fa Rispondi

    Molto brava. Un bel pezzo.