Jamil - Fare strada senza lasciare la strada

Jamil su cosa significhi fare rap nel 2016, sull’essere indipendenti, e sul senso di parlare ancora di "strada".

jamil rapper scarpe da pusher
jamil rapper scarpe da pusher - Tutte le foto sono di Samuele Maffizzoli

Dopo un mixtape ed un album entrato in classifica arriva forse uno dei momenti più difficili per un artista, ma anche uno dei più belli: scegliere la strada da intraprendere, in che direzione andare, ma soprattutto come confermarsi e se possibile spaccare ancora di più. Se poi parliamo di rap la domanda è forse più scomoda: snaturarsi per qualche views in più o rimanere quello che ti ha fatto diventare quello che sei per i tuoi fan?

Questi e altri pensieri devono aver attraversato la testa di Jamil, rapper veronese classe 1991, uscito l’anno scorso con il suo primo disco, "Il Nirvana", e ora di fronte ad un mondo nuovo, ma nemmeno tanto.
L’ho seguito nelle fasi di lavorazione del suo nuovo album e ho avuto modo di parlare di cosa significhi fare rap nel 2016, dell’essere indipendenti, dell’evoluzione di un artista e se abbia ancora senso parlare di strada.

C’è una scena che rappresenta in pieno il periodo che ho vissuto con il ragazzo, che è quasi il manifesto. L’ho provata in prima persona mentre tra l’incisione di un pezzo e l’altro ha fatto un concerto al Barrio’s di Milano. Venerdì sera, parcheggiamo davanti ad un enorme muro imbrattato di spray in piena periferia. Scendiamo dalla macchina, con noi altre quattro vetture e almeno venti persone del team: «La mia squadra», sottolinea.
Arriviamo al locale e la gente, la sua gente, lo saluta, gli stringe la mano, urla cose come: «Rispetto», scene che gli fanno piacere visto che una cosa a cui ha sempre tenuto è stato sottolineare che lui è uno vero, uno che viene dalla strada. Me l’ha ripetuto mille volte e l’affetto dei suoi lupi non fa altro che dimostrarlo: Jamil è uno della strada. Nessun atteggiamento da divo, nessuno snobismo, solo tanta voglia di fare musica e raccontare la vita, quella vera, la sua. La scena prosegue e ci facciamo largo verso il portone principale, Jamil vuole che i suoi lo accompagnino nel locale senza pagare, il promoter dice che siamo troppi. Jamil con molta calma si gira: "Okay, se non entrano loro io me ne vado". Perfetto, Jamil + 20.


Entriamo in un camerino claustrofobico, fumiamo una canna, fuori il vocio di cento ragazzi aumenta finché Jamil non dice:
«Okay, andiamo». “Canto di quello che vivo con i miei, ho scelto di essere indipendente per fare quello che mi pare, voglio trasmettere quello che sento senza filtri”. Già, perché dopo un percorso con un’etichetta il cantante ha deciso di essere indipendente. Nessun dramma, nessun distacco traumatico, semplicemente una scelta che nasconde dietro una filosofia di vita. Dal suo primo progetto "Black Book" a "Il Nirvana" c’è un lungo filo conduttore che lo ha portato a passare gli ultimi quattro mesi immerso tra quaderni pieni di appunti e lo studio di registrazione: "Scrivere tanto mi fa star bene e quando sto male è una terapia".

Lavoro, lavoro e ancora lavoro. "Suonare è bello, ma rappresenta fatica e sbattimento: non c’è mai la sicurezza di avere qualcosa alla fine del mese. Potrei fare altro certo, ma voglio concentrarmi solo su quello che faccio. Suono per molti meno soldi di quello che la gente crede, per me non è solo lavoro ma di più. Sto anche iniziando ad avere qualche sponsor che mi regala cose da portare in giro, insomma non va così male".

Negli studi di Milano con Jamil c’è la sua squadra: Black T e Jaws, i produttori del nuovo album, Solo Bombe che si occupa del management e il fonico Alessandro Fizzotti. Amici storici che ha deciso di coinvolgere al 100% nei suoi nuovi progetti. Tra un bong, una birra e dei beat da arrangiare Jamil tiene a sottolineare alcune cose: "Come artista da un lato sono simile a quello di Black Book, dall’altro no: è normale che alcune cose siano cambiate da quando avevo 16 anni, in questo album ho inserito dei pezzi di concetto, perché penso sia giusto che i miei fan conoscano il vero Jamil che è quello che canta di droga, ma anche quello che ha altro da dire".

Quando gli chiedo perché secondo lui abbia un pubblico molto giovane molto affezionato mi dice: "quello che faccio è quello che fanno la maggior parte dei ragazzi che mi ascoltano, penso di piacere per quello, non c’è nulla di costruito in me, lo vedi anche tu no? Così come mi vedi, così canto, così mi mostro al pubblico". Il suo essere senza filtri, davanti ad un microfono così come nella vita, più che donargli un’aura da strafottente gli dona un aspetto autentico. Un’evoluzione che ho notato, soprattutto nei suoi video, dove dall’autocelebrazione costruita ad arte -parte integrante e fondamentale del mondo rap- è passato a clip più street, girati nei suoi quartieri.

video frame placeholder 

"Questo album, il mio lavoro è per San Vito, per le Golosine (due quartieri difficili di Verona, ndr): voglio far sentire a quelle persone che sono parte di me, mi fa piacere coinvolgerli ed il loro supporto è il più importante. Sono i luoghi che ho vissuto in prima persona e non li dimentico. Mentre prima i video erano spesati dall’etichetta ora sono io che li curo a 360 gradi, nessuno spende un euro per me, mi autofinanzio e questo per me è il modo giusto di girarli: con la gente. Non mi stancherò mai di dirlo per me essere indipendente è fare quello che voglio per i miei fan e per me stesso. Con i miei tempi e tutti i pro e i contro che questo può portare".
Quando gli chiedo se oltre a questo ci sia altro che cambi dall’avere qualcuno alle spalle ad essere indipendente mi dice che, ovviamente, con un’etichetta e una distribuzione di un certo tipo le cose sono facili, ma -penso anche io- che con la digitalizzazione della musica basti essere a stretto contatto con il pubblico per comunicare date e nuove uscite.

In queste settimane passate con lui mi sono sempre domandato una cosa: ma cos’è il successo per un rapper? Ti rode che non passino la canzoni in radio? Insomma non vuoi diventare sbombato di soldi e vivere in una villa? Mentre mi spiega che i suoi testi, come ho avuto modo di ascoltare anche io, sono difficili, che certo è i soldi sono importanti e altre cose simili si avvicinano due ragazzi:

"Sei Jamil? Il cantante".
Il rapper annuisce, allora uno dei due gli passa un sacchetto.
"Bella".

Jamil mi guarda e mi sorride, come a dire... il successo è anche questo.

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L'articolo Jamil - Fare strada senza lasciare la strada di Samuele Maffizzoli è apparso su Rockit.it il 2016-04-21 09:55:00

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