Selton - Il paradiso fatto a mano

In attesa del loro live al prossimo MI AMI, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Ramiro dei Selton.

- Foto di Chiara Mirelli

Musica brasiliana, pop e beat hip hop. E poi tonnellate di sabbia, multilinguismo e una pericolosa macumba: partendo dalla vita da buskers a Barcellona fino ad arrivare ai tour fra l'Italia e il Brasile, in attesa del loro live al prossimo MI AMI (per il quale trovate i biglietti qui) abbiamo fatto quattro chiacchiere con Ramiro dei Selton.

Il vostro ultimo disco “Loreto Paradiso” contiene un esplicito riferimento al quartiere milanese di Loreto, dove vivete da quando vi siete trasferiti in Italia. Che significato ha questo titolo?
La scelta del titolo deriva proprio dal fatto che Loreto non sembra affatto un paradiso, anzi, ne è un po’ l’opposto. È una zona super caotica, metropolitana. Però l’idea era un po’ questa, il messaggio del disco è che siamo noi responsabili di creare attorno a noi il paradiso e non di restare lì ad aspettare il paradiso ideale.

Per il release del disco avete organizzato una festa nel cortile del vostro palazzo. Si tratta sicuramente di una scelta molto particolare, che ha coinvolto anche i vostri vicini dando vita a una vera e propria festa con tanto di spiaggia artificiale. Da che cosa è nato questo desiderio?
Abbiamo voluto proprio fare quello che suggeriamo nel titolo del disco e creare il paradiso a Loreto. Alla fine per me è il motivo per cui ha funzionato tanto, cioè perché siamo riusciti a creare un piccolo paradiso in Piazzale Loreto. Cosa difficile, ci sono servite tre tonnellate di sabbia acquistate da un’impresa edile! Il proprietario del palazzo era super entusiasta dell’idea e ci ha aiutato molto con tutto quanto. È stata davvero una bella esperienza anche visto che in questo disco stiamo parlando di fare la differenza, di cambiare le cose attorno a noi. Veramente bello.

(Uno scatto dalla festa dell release di "Loreto Paradiso", via)

Nel track by track interattivo del disco ci avete raccontato che i pezzi sono quasi un “collage intercontinentale”, nato a cavallo tra vari paesi con parti registrate e suonate in Brasile, Inghilterra, Svizzera e naturalmente Italia. Quanto conta l'ambiente circostante nella scrittura di un brano?
Conta tanto, anche se è difficile stabilire quale sia esattamente l’influenza. Questo disco è stato concepito in posti così diversi... secondo me questo si sente. Noi avremmo comunque fatto un disco multilingue e pieno di spunti, questa è ormai un po’ la nostra identità. Però credo che il fatto di aver viaggiato così tanto in quel periodo e di aver scritto in paesi così diversi tra loro alla fine abbia aiutato a trasmettere questo miscuglio che stiamo provando a proporre.

Il vostro disco mantiene intatta la mescolanza tra pop e musica tradizionale brasiliana, ma costituisce senza dubbio un passo in avanti rispetto ai lavori precedenti. Sembra quasi che, pur con la vostra consueta leggerezza, abbiate prestato un’attenzione ancora maggiore alla scelta dei suoni e alla costruzione dei pezzi, inserendo ancora più influenze (ritmi afro, beat hip hop, ma anche cantautorato). Si è trattato di una scelta meditata?
Secondo me si è trattato un po' di una crescita naturale e un po' di una ricerca. In questo disco ci sono alcuni elementi nuovi che abbiamo proprio voluto, così come alcune nuove influenze, ad esempio l'hip hop che menzionavi tu. Abbiamo ascoltato tante cose che ci hanno toccato in questo periodo e quindi già avevamo l'idea di aggiungere alla nostra componente di scrittura delle canzoni un po’ più di groove, lasciando i pezzi molto sexy diciamo. In parte è stata una ricerca ma comunque molto naturale, sia a livello estetico che testuale. Siamo voluti andare più in profondità, chiedendoci che cosa avessimo realmente da dire e da comunicare. E quindi abbiamo cercato di esagerare alcune cose, di creare più contrasti tra elettronica e elementi organici. Di dire veramente qualcosa, di portare qualche messaggio.

Uno dei pezzi più interessanti del disco è “Buoni propositi”: tra feste disastrose da cui la gente fugge a buoni propositi sempre uguali a se stessi, quello che dipingete è un quadro piuttosto amaro. Che riflessione vi ha portato alla scrittura di questo pezzo?
È il riflesso sia di una maturazione nostra, ché alla fine stiamo arrivando ai trenta e certi tipi di riflessione sono anche normali... Sia del desiderio di dire un po’ la nostra. Credo che la canzone c’entri tanto con il tema del disco, alla fine il messaggio del pezzo è: smettiamo di raccontarcela e di stare lì a promettere, facciamo veramente la differenza e proviamo a cambiare le cose che non ci vanno. È anche per quello che il pezzo si trova all’inizio della scaletta, è un riassunto importante.

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(Il video ufficiale di "Buoni propositi")

Nel pezzo cantate sia in italiano che in portoghese, il che è comune a molte delle vostre canzoni. Come nasce il testo di una vostra canzone e da che lingua partite di solito?
Noi di solito scriviamo in qualsiasi lingua e non ne abbiamo una preferita, i pezzi possono arrivare sia in italiano, che in portoghese, che in inglese. Nel caso di “Loreto Paradiso” tutti i pezzi hanno avuto almeno un’altra versione in una diversa lingua, certi hanno avuto anche due traduzioni. Quello di provare ogni pezzo in più di una lingua è stato quasi un esercizio, anche se si tratta di un processo faticosissimo perché non sempre è possibile una traduzione letterale e a volte bisogna adattare il testo e trovare il modo di dire la stessa cosa in un modo diverso. Questo però ti permette anche di avere una visione di un certo pezzo che non hai mai avuto nella lingua originale. Oppure riportandolo ad essa può acquisire tutto un altro significato. Da lì nascono anche i miscugli che abbiamo fatto, è stato un processo lungo però anche bello, perché ci siamo appropriati tanto dei pezzi.

Un altro bellissimo pezzo del disco è “Voglia di infinito”. Che storia ha?
In realtà è stato l’ultimo pezzo ad entrare nel disco. Eravamo già quasi alla fine e un po’ volevamo ancora un altro pezzo forte in italiano. C’era questo pezzo su cui stava lavorando Ricardo in quel periodo, ma il disco era ormai quasi finito e quindi era chiaro che non ci sarebbe entrato... Dal nulla abbiamo ricevuto la notizia che avevamo vinto il contest Converse. È stata una cosa un po’ magica perché abbiamo avuto la possibilità di trascorrere una giornata in studio alle Officine Meccaniche con Hector Castillo, produttore americano fighissimo e importantissimo venuto apposta per registrarci. In passato aveva lavorato con Bowie e Björk, tanto per dirtene due... Quando siamo andati lì gli abbiamo fatto sentire il disco per fargli capire all’interno di cosa sarebbe entrato il pezzo. A lui è subito piaciuto tantissimo quello che stavamo facendo e in un giorno abbiamo registrato insieme l'ultima traccia.

(Foto di Chiara Mirelli)

Un tema che colpisce molto è quella della macumba, pratica religiosa di origine africana praticata nell’America del Sud, che in “Don’t play with macumba” invitate a non prendere alla leggera. Che storia c’è dietro questa canzone?
Il pezzo è legato alla storia di una nostra amica che ha compiuto una specie di macumba per trovare lavoro. Però diciamo che non aveva concluso bene il rito, quindi all’inizio sembrava che fosse tutto a posto, poi ha iniziato ad andare tutto davvero malissimo. Quindi un giorno in uno scherzo tra me e Daniel è uscita questa frase, entrata poi alla grande in un pezzo su cui stavo lavorando io. Si tratta di una storia in cui un tipo dice a una tipa "Guarda, puoi provare qualsiasi cosa, puoi anche provare con la macumba, però non riuscirai a riavermi. Non giocare con queste cose, tanto io non ci sarò".

Come singolo avete scelto “Junto separado”, che si colloca però un po’ a margine rispetto alla vostra produzione precedente e in realtà anche all’interno dell’ultimo disco. Come mai lo avete scelto?
È un pezzo in portoghese che ha un testo molto, molto forte. Stavamo andando in Brasile per far uscire il disco lì e la scelta è stata un po’ legata a questo. E in effetti è un pezzo che sta andando molto, molto bene, uno di quelli che sta facendo più casino insieme a Macumba. Ha un testo bellissimo, perché parla della contemporaneità e della quantità di stimoli che abbiamo. Delle mille cose che dobbiamo fare al giorno e di quanto questa cosa alla fine ci separi. Per questo il pezzo si chiama “Insieme separati”. È anche un linguaggio molto attuale, che è stato difficile tradurre in italiano. Ci abbiamo anche provato qualche volta, però non siamo mai riusciti a renderlo così forte come in portoghese. In più avevamo già girato il video in Brasile l’unica volta che ci eravamo andati e ci piaceva tantissimo.

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Sempre nel track by track ci avete raccontato che nella limatura dei testi avete ricevuto l’apporto di Dente: che tipo di lavoro ha fatto e che influenza ha avuto nel disco?
In realtà, da quando abbiamo iniziato a scrivere anche in italiano Dente ci ha sempre dato una mano. Quando finiamo i testi ci sediamo insieme a lui, che ci aiuta a rifinire delle piccole cose. Quando è uscito il nostro primo disco in italiano nel 2010 ci ha messo tanto la mano, già meno ma comunque abbastanza in "Saudade". In questo disco in realtà è intervenuto pochissimo. È stato proprio lui a dire “Cazzo, state diventando sempre più bravi!". Quindi ha fatto qualche ritocco, ma molto più leggero dei dischi precedenti.

Voi avete una carriera avviata sia in Italia che in Brasile. Quali sono le maggiori differenze che trovate fra questi due contesti?
È una questione particolare, che apre un paragone sempre molto difficile. Tieni presente che noi abbiamo iniziato come band in Italia. Anche se suonavamo a Barcellona, lì ci esibivamo per strada. Era una cosa completamente diversa. È in Italia che abbiamo iniziato ad avere una carriera vera e propria e siamo qui già da quasi nove anni. In Brasile invece il primo disco che è uscito è "Saudade", nel 2013... Siamo in Italia da molti anni in più. Però è anche vero che anche in Brasile sta andando tutto molto bene, sia "Saudade" prima che adesso "Loreto Paradiso". Quando siamo andati a far uscire "Loreto Paradiso" ci ha stupiti tanto la reazione del pubblico, vedere i concerti pieni. Poi anche a livello di stampa siamo usciti ovunque. È stato veramente sorprendente. E quindi vediamo.

(I Selton sulla spiaggia di Ipanema)

Da musicisti non nati in Italia, quali trovate siano i maggiori pro e i maggiori contro del fare musica in Italia oggi?
Io credo che essere una band indipendente sia un lavoro difficile in ogni parte del mondo. Punto. Detto questo, credo che il giro del mercato italiano bene o male funzioni. L’unica esperienza vera che abbiamo è qua e da qualche anno anche in Brasile. In Brasile la scena indipendente è molto meno strutturata e ci si muove molto a fatica. Il fatto di fare avanti e indietro tra Brasile e Italia negli ultimi tre anni ci ha fatto anche capire che qui il mercato indipendente non è messo così male, anche se alla gente piace lamentarsi di qualsiasi cosa. Poi comunque torna quello che ho detto all’inizio, essere una band indipendente è difficile ovunque. Oggi con internet e tutti gli strumenti che una band ha a disposizione devi reinventarti ogni giorno e credo che questo sia universale. Però, la sensazione che abbiamo è che qui in Italia, se hai un prodotto forte, se sei bravo –perché quello è la base di tutto- e te la sai gestire bene, reinventandoti sempre, ci sia spazio.

Qualche anno fa ci avete raccontato di un'organizzazione molto precisa all’interno della band, in cui a ogni membro era affidato un ruolo per tutto ciò che riguarda i vari aspetti che coinvolgono un gruppo al di là della musica (SIAE, burocrazia, ufficio stampa, social...). È ancora oggi così? Quanto importante è questo per la libertà artistica di un gruppo?
Ci sono sempre i pro e i contro. Noi lavoriamo tantissimo per la band. Ognuno di noi è responsabile di un dato ambito e ci dedichiamo sempre a progetti. Ci sono varie cose da fare e c'è chi gestisce un dato progetto e chi si fa carico di un altro, a volte chiedendo comunque anche aiuto agli altri. Abbiamo trovato un sistema molto bello e che funziona molto bene, ma che appunto ci dà tantissimo lavoro da fare. Dobbiamo investire veramente molto tempo nella band, spesso non si ha idea dell'enorme lavoro che c’è dietro. Però abbiamo in mano la nostra carriera. A volte è un casino gestire certe cose, però nessuno le potrebbe fare meglio di uno di noi. E se escono esattamente come le vorremmo, è proprio perché dietro ci siamo direttamente noi.

(La copertina di "Loreto Paradiso" dei Selton)

La sognante “Hokkaido Goodbye” è dichiaratamente ispirata all’omonima isola giapponese e un’isola fluttuante è presente anche sulla copertina del disco. Che posto ha l'isola nell'immaginario musicale e culturale dei Selton?
Bella domanda questa! In realtà è da un po’ che parliamo tra noi del concetto di isola intorno a noi. In qualche modo crediamo che già ai tempi di Barcellona avessimo creato il nostro piccolo paradiso. Perché alla fine eravamo una band che suonava per strada, però per noi quella vita era veramente il paradiso... Poi ci siamo trasferiti in Italia: è stata dura e difficile e tutto quanto, però alla fine pian piano siamo riusciti a creare questo ecosistema che funziona quando siamo insieme. E quindi crediamo veramente di essere un po’ un’isola fluttuante. Adesso, andando sempre più spesso anche in Brasile, proviamo sempre a ricreare anche lì questo nostro universo. Credo che il simbolo dell’isola sia un po’ quello. E poi ci piacciono anche tanti altri aspetti dell’isola: quando pensi ad un’isola la colleghi a un ambiente paradisiaco, però l’isola può essere anche un posto molto duro o in cui vedi arrivare tanta gente e tanta gente andarsene. Questo riflette molto certi aspetti della nostra vita e della nostra condizione da quando siamo andati via di casa e stiamo provando, diciamo così, a ricreare questa casa volante.

Quest’anno vi esibirete sul palco del MI AMI: cosa vi aspettate da questa esperienza?
Non vediamo l’ora! Ci andavamo già quando siamo arrivati in Italia e ancora non riuscivamo a suonare. È sempre stato un po’ il riferimento di una cosa bellissima che c’è a Milano. Ci abbiamo già suonato una volta ed è stato bellissimo, mi ricordo che eravamo arrivati dal Brasile il giorno stesso e siamo andati direttamente a fare il soundcheck! Tra l'altro, sarà il primo concerto vero e proprio di "Loreto Paradiso"a Milano. Spero che stavolta saremo un po' più riposati.

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L'articolo Selton - Il paradiso fatto a mano di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2016-05-04 11:14:00

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