Almamegretta: Viviamo in tempi neri

In questa intervista gli Almamegretta raccontano "EnnEnne", il nuovo album che ancora una volta coglie l'anima meticcia e bastarda della Napoli di ieri e di oggi

almamegretta ennenne
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Gli Almamegretta sono tornati con il nuovo album "EnnEnne", con lo stesso produttore che 20 anni fa li accompagnò nel loro capolavoro "Sanacore". Anche la formazione è la stessa di allora, e quindi è inevitabile un confronto tra passato e presente, non solo musicale. Come è naturale quando si parla di una città meticcia come Napoli, in questa intervista non si racconta solo il disco, ma anche il 2016 dei social, l'eterna questione meridionale, la città dei centri sociali e anche del facile richiamo, spesso ineluttabile, del crimine organizzato. Tempi neri, in cui il dialogo e il compromesso sono più necessari che mai.


"Nescio Nomen", nome sconosciuto, questo è il significato della doppia N nel titolo del vostro ultimo album. Più che una citazione latina, una nuova dichiarazione di intenti.
Gennaro T
: Direi che si tratta di una dichiarazione di intenti che vuole confermare e sottolineare quello che siamo sempre stati. Un progetto che pone le proprie basi sull’idea di provenienza incerta e bastarda e che ne fa il proprio punto di forza. Sembra un paradosso, dal momento che il nostro sound è immediatamente riconoscibile dopo poche battute. Ma questo mix così fortemente connotato ha la sua origine nella commistione di elementi molto diversi tra loro e amalgamati dalla nostra chiave interpretativa. Abbiamo sempre pensato e detto che per noi la diversità è fonte di ricchezza, mentre l’appiattimento, la chiusura e l’omologazione sono sterili e nemici di qualsiasi crescita culturale e umana.

Penso che parecchi, come me, avranno un tuffo al cuore sentendo nel disco il ritornello di "Karmacoma (The Napoli Trip)" dei Massive Attack. Qual è la sua storia, com’è che era finito in mano ai Massive Attack e come è ritornato in un vostro disco nel 2016?
Raiz: La storia di "Napoli Trip" è questa: i Massive avevano ascoltato la nostra musica ed avevano pensato di affidarci un remix del singolo che avrebbero pubblicato di lì a qualche mese, ovvero "Karmacoma". 
Io avevo in mente quel ritornello perché era in un pezzo che stavamo mettendo su con gli Alma e che avrebbe dovuto essere parte di "Sanacore". Ho provato a cantarlo sulla base di "Karmacoma" ed era perfetto, ai Massive piaceva molto e glielo abbiamo "regalato". In "EnnEnne" abbiamo semplicemente portato avanti il lavoro iniziato - e mai completato - nel '94.

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"Karmacoma (The Napoli Trip)" mi ha fatto capire che qualcuno era riuscito a trasporre l’anima bastarda e meticcia di Napoli in maniera più efficace di qualunque discorso, utilizzando sonorità e mezzi che apparentemente non ci appartenevano. Mi sembrò un fatto rivoluzionario, una cosa che prima era presente solo in embrione nei dischi di precursori dei tempi come Enzo Avitabile o Napoli Centrale, ma voi all’epoca vi eravate conto di star facendo questa rivoluzione?
GT: Non credo che abbiamo mai pensato di star facendo qualcosa di così rivoluzionario, perché se ci fai caso, a Napoli questo discorso a cui accennavi c’è da molto tempo prima di noi. A partire da Carosone, passando per Pino Daniele, fino ad arrivare agli ultimi artisti della scena hip-hop.
Potrei fare decine e decine di nomi che hanno contribuito a creare questo continuo sviluppo e “aggiornamento” della musica prodotta a Napoli, che ha il suo comune denominatore nel confrontare e mischiare il globale con il locale, dando così origine a un linguaggio che è comunque proiettato al futuro.

Com’è stato tornare a lavorare con il produttore Adrian Sherwood della On-U Sound Records, 21 anni dopo "Sanacore" e dopo che vi ha seguito nei live dello scorso anno?
GT: La prima volta lo contattamo durante la lavorazione di "Sanacore", chiedendogli di mixare l’album e lui accettò di buon grado. C’è da dire che noi ci siamo formati ascoltando tutte le sue produzioni e di conseguenza il progetto Alma deve la sua esistenza e la sua connotazione proprio alla “folgorazione” che ci è arrivata dai dischi della sua label On-U Sound.
Prima di questo nuovo lavoro, come hai già ricordato, abbiamo fatto una serie di concerti con Adrian al live mixing. E proprio da questa esperienza ci è tornata la voglia di lavorare insieme anche in studio. Così una volta ultimata la fase di composizione e registrazione, siamo partiti per Ramsgate dove Adrian da qualche anno ha trasferito casa e studio, dopo aver lasciato Londra.
Rispetto ai tempi di "Sanacore", l’elemento in più è stato un rapporto che si è consolidato nel tempo ed è diventato un vero e proprio legame di amicizia. Infatti siamo stati ospitati per tutto il periodo necessario a casa di Adrian, facendo, oltre al lavoro in studio, anche altre cose di ordinaria amministrazione come mangiare insieme, portare i cani sulla spiaggia, andare al pub (i pub di Ramsgate sono troppo divertenti per come sono concepiti e per la varia umanità che incontri). Insomma ci siamo trovati praticamente a vivere con Adrian oltre che a lavorarci insieme. Questa grande e affettuosa disponibilità da parte sua ha inciso molto positivamente sull’esito finale dell’album e credo che si senta.

Oltre alla produzione di Adrian, stavolta anche il nucleo degli Alma è quasi lo stesso di vent’anni fa. Oggi vi sentite più vicini al vostro sound originale rispetto agli anni dei cambi di formazione o ai primi tempi del ritorno di Raiz?
Polcari: Con il tour dello scorso anno abbiamo voluto festeggiare i 20 anni di un album per noi molto importante e quindi il sound e lo stile di tutto il concerto sono stati volutamente molto ispirati a quella esperienza e al periodo "Sanacore". Però in tutti questi anni abbiamo sempre continuato a ricercare, a sperimentare nuove ricette, e a provare ad alzare l'asticella partendo da quelle che erano le radici fondanti di questo progetto. In ogni album abbiamo sempre provato ad aggiungere una parola ad un discorso iniziato con "Figli di Annibale". E anche in questo caso, con "EnnEnne" cerchiamo di proseguire su una traccia battuta ma, come d'abitudine, senza guardarci troppo indietro. È chiaro che percepiamo, dopo tanti anni, di avere uno stile e un sound alquanto riconoscibili sia live che in studio e in questo disco abbiamo provato a farlo venir fuori nella maniera più naturale possibile. Ecco, in questo senso si può dire che "EnnEnne" sia un disco molto "Almamegretta".

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Nel frattempo però ne è passata di acqua sotto i ponti, anche se l’attitudine meticcia che rivendicate anche nel titolo del disco è la stessa. Cosa è cambiato, se qualcosa è cambiato, nel vostro approccio alla scrittura e agli arrangiamenti?
P: Credo che i cambiamenti siano riconducibili alla naturale crescita anagrafica e professionale di tutti noi. È logico che affrontiamo le cose con meno istintività, il bagaglio di vita personale e di gruppo si è "appesantito" nel frattempo e questo si porta dietro anche una certa dose di disillusione rispetto ad alcune dinamiche che regolano questo mestiere. Abbiamo fatto tanti dischi e tantissimi concerti e ciò si riflette anche nell'approccio alla scrittura di un nuovo lavoro. Ci sentiamo più sereni nell'affrontarla e abbiamo la percezione di sapere, molto meglio di vent'anni fa, dove mettere le mani. In questa occasione, specie negli arrangiamenti , abbiamo lasciato scorrere il nostro stile, il modo in cui suoniamo come gruppo, dal vivo, senza forzarlo più di tanto. Una parte delle canzoni nasce da idee venute fuori in lunghe live sessions in cui suonavamo tutti insieme e registravamo tutti gli spunti interessanti che venivano fuori, per poi dopo svilupparli in studio. Perché ci tenevamo che il disco aderisse nello stile il più possibile a quello che è il nostro sound di band. Un sound che sentiamo essere discretamente oliato da anni e anni passati a suonare insieme.
GT: Alcune di queste sessions di cui parla Paolo si sono tenute nel cortile esterno di un recording studio di Napoli (NUT Studio) e si sono concluse con una sorta di prova/concerto/happening aperta al pubblico con inviti limitati. È stata una situazione molto interessante che consentiva di vivere, a noi e al pubblico, una dimensione molto intima e informale. Un’esperienza che varrebbe la pena di ripetere.

A proposito di songwriting, nel disco ci sono due cover, da un lato un classico di Nino D’Angelo, “Ciucculatin d’a ferrovia”, dall’altro "A’gente" scritta da Danilo Turco (musicista per i The Jackal e membro de Il cielo di Bagdad), un giovane chitarrista che ha fatto da turnista per voi.
Dopo aver vissuto da protagonisti un periodo di profonda trasformazione della scena musicale napoletana, come vedete il suo presente e futuro?
P: In effetti Nino D'angelo e Danilo Turco posso sembrare dei poli opposti, anche se poi non è del tutto così. Ci piace pensare di essere la congiunzione tra espressioni così diverse provenienti dall nostra terra. In realtà le cose sono venute fuori in maniera molto più naturale. Collaboro con Danilo da alcuni anni e lo considero uno dei producer più interessanti presenti in Italia al momento, uno da tenere d'occhio insomma. Per quanto riguarda la scena musicale napoletana è come sempre in enorme fermento e non ha mai smesso di esprimere eccezionali individualità e progetti. La novità, dettata anche dalla totale trasformazione del mercato discografico e più in generale dell'industria musicale, è che, rispetto agli anni '90, nascono e si affermano in città anche molte realtà che si occupano di organizzazione come etichette discografiche, managements, insomma strutture atte a produrre musica e veicolarla da Napoli, senza doversi riferire necessariamente a Milano o Roma. Questo (al netto di sporadiche seppur importanti esperienze del passato) mi sembra un elemento nuovo, importante e sicuramente sintomatico di una maturazione. 

Mi ha incuriosito la scelta di riproporre un brano di un artista spesso snobbato da molti come Nino D’Angelo, e mi ha fatto pensare ad una vecchia intervista dove Raiz descriveva le sue linee vocali come “dub neomelodico”. Una definizione che forse sintetizza il vostro rapporto e in particolare quello di Raiz come cantante con la concezione napoletana di musica, ma che a molti potrebbe essere poco chiara.
R: Senza la profonda connessione con tutti gli aspetti della canzone napoletana il nostro sound non sarebbe quello che è. La definizione di "Dub Neomelodico" è un'iperbole che tuttavia rende molto bene l'idea di quello che facciamo noi: io rappresento la parte vocale e melodica della band e senza conoscere bene Sergio Bruni, i tre Mario (Abate, Trevi, Merola) o Nino non canterei come canto.

Anche “Musica Popolare” parla del vostro legame con la tradizione musicale, per altro con la collaborazione di Carlo d’Angiò, che come fondatore della NCCP ha fatto la storia del recupero del nostro patrimonio musicale. Però cantate di “accidere sta musica popolare primma c’accide a te”, una specie di parricidio mitologico.
GT: Sì, perché il nostro rapporto con la tradizione è stato sempre conflittuale. Il padre lo puoi uccidere anche, ma tu comunque ne se figlio e porti nel tuo DNA sicuramente qualcosa che gli appartiene. In verità la frase “accidere sta musica popolare” è di Carlo e noi l’abbiamo sposata con grande entusiasmo e convinzione. Perché la tradizione o la reinterpreti e la fai diventare una cosa viva “qui ed ora” , oppure ti affossa. Non la puoi riproporre così com’era, non è un’operazione onesta. La cosiddetta musica popolare è espressione di ritmi di lavoro e di vita che non esistono più e non ci appartengono. Non si possono resuscitare i morti, a meno che tu non sia un ciarlatano o un padreterno.



In questi 25 anni sono cambiate anche parecchie altre cose. Per esempio, diversamente da altri gruppi, non siete più vicini all’ambiente che è stata un po’ la vostra culla agli albori della vostra storia, quello dei centri sociali e della musica “politicizzata”. È stata una separazione indolore, o vi capita di sentirvi orfani di un mondo che in effetti si sposa bene con molti dei temi che, magari con meno slogan, affrontate anche oggi?
GT: Noi abbiamo sempre cercato di evitarli gli slogan e non abbiamo mai pensato di dare ricette sicure. Più che altro ci poniamo delle domande e raccontiamo della nostra vita che si svolge in vari contesti a partire dalla nostra città, che offre sempre spunti molto interessanti e universali. Questo è il nostro modo di fare musica e se vuoi anche di fare politica in maniera molto obliqua e indiretta.

Questa rottura la vedo legata ad alcuni screzi con certi ambienti, dovuti in parte a divergenze di opinioni ma anche a fraintendimenti e manipolazioni mediatiche, che si sono risolti in bagarre da social media particolarmente animate. Mi è sembrato che in “Tiempo Niro”, quando tu e Lucariello parlate dell’incomunicabilità dell’epoca dei social ci sia un riferimento anche a questi episodi, è vero?
R: viviamo appunto "tempi neri" e oggi vince chi sputa più lontano: noi siamo lontani da questo tipo di cose.  Da sempre crediamo che il compromesso sia un punto di forza e non di debolezza e che sia l'unica porta che conduca al dialogo e alla ricomposizione dei conflitti: la nostra musica rappresenta un mondo immaginario in cui le diversità diventano incontro invece che scontro. Mi sembra inevitabile che questo modo di pensare cozzi contro qualunque ortodossia granitica che bolla come "nemici" tutti quelli che non rispettano tutti i suoi dettami.

So che dietro “Votta a passà”, con Cristina Donadio, c’è un incontro fra le mura del carcere di Nisida, ce ne volete parlare?
R: Un giorno ho accompagnato il mio amico Sal Da Vinci a fare un concerto a Nisida, cantavamo insieme per i giovani del carcere minorile. Ho incontrato una ragazza timida e carina, molto intelligente, che scontava una condanna per detenzione di stupefacenti. Gli educatori del centro mi hanno poi detto che lei trasportava la "roba" per conto della sua famiglia nella speranza che nessuna pattuglia la intercettasse, anche perché per perquisire una ragazza ci vuole un'agente donna e all'epoca non ce ne erano molte. Anna - uso questo nome di comodo - non fu fortunata e naturalmente pur non avendo responsabilità (non ci si può sottrarre a un "servizio" se appartieni ad una famiglia di quel tipo) si era accollata il reato non denunciando i reali mandanti.  Il suo sguardo innocente e leale mi è rimasto da allora impresso e ho voluto dedicarle questo pezzo. 

Il primo singolo, “O ssaje comm’è” affronta un tema difficile, quello dell’esclusione sociale e di come rende vulnerabili al richiamo del “sistema” del crimine organizzato. Esclusione sociale che forse si fa ancora più stridente in un periodo in cui, come canti nei primi versi, la Napoli del turismo, quella di cui si parla quando non si parla di camorra, vive un periodo d’oro. Da napoletani cosa pensate del momento attuale della città?
GT: Napoli avrebbe bisogno di un grande e ambizioso progetto che tenti di trasformarla in una moderna metropoli del Mediterraneo, ancorata non solo al suo pur nobilissimo passato. Ma non vedo niente all’orizzonte che si ponga un obiettivo così impegnativo, a parte qualche esiguo sprazzo di piccola imprenditoria locale.

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Sempre rimanendo in tema Napoli, avete cantato canzoni come “Sud” quando la visione politica meridionalista e la critica alla visione classica dell’unità d’Italia e della questione meridionale era molto meno diffusa. Oggi però spesso questa voglia di riscatto politico sfocia spesso in un meridionalismo praticamente speculare al leghismo, o di stampo reazionario come quello borbonico. Ve lo sareste aspettato, vent’anni fa? Vi preoccupa?
GT: Ci sono cose ben più serie a Napoli che possono indurre in preoccupazione. Siamo molto distanti da una situazione che, oltre ad essere un sentimento più o meno diffuso, possa avere anche una rappresentanza e diventare un progetto politico, come è avvenuto con il leghismo al Nord. Sicuramente manca una riflessione e una eleborazione politico-sociale, che si ponga l’obiettivo di colmare l’ormai atavico gap tra Nord e Sud di questo paese. Non è un problema di poco conto, anzi sulla sua risoluzione si gioca la possibilità dell’Italia di diventare un paese realmente moderno. Questo l’avevano capito bene molti intellettuali del passato che ponevano grande attenzione alla “questione meridionale”, anche se poi non ci sono mai stati interventi concreti risolutivi. Ma è roba del passato, è un tema che non interessa più nessuno, adesso è Tiempo Niro.

Ultima domanda di rito: quando parte il tour e cosa dobbiamo aspettarci da "EnneEnne" dal vivo? Avete già annunciato la presenza sul palco di Adrian Sherwood alla data di Napoli, e tra l’altro a luglio saranno in città anche i Massive Attack, non ci scappa un’ospitata?
GT: Quien sabe

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L'articolo Almamegretta: Viviamo in tempi neri di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2016-05-06 12:07:00

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