Una giornata nella fabbrica del pop

Levante, Colapesce, Dimartino, Birthh e tanti altri chiusi in una villa per una settimana a scrivere canzoni per Sony/ATV: ecco com'è andata

- Levante e Dimartino

Quando scendi dal treno alla stazione di Garlasco la sensazione è quella di avere di fronte la quinta sbiadita della provincia italiana: case basse, nessuna automobile, nonni che pedalano con indolenza, qualche manifesto pacchiano.
Non diresti mai che proprio dentro uno di quei portoncini di legno c'è una strana catena di montaggio che impiega tanti operai intenti a definire cosa uscirà dalle radio italiane nei prossimi mesi.

La catena di montaggio si chiama Sony/ATV Camp, si tiene ogni anno (a volte anche due volte l'anno, a seconda delle esigenze del mercato discografico italiano) ed è una specie di campo scuola musicale che consiste nel chiudere in una casa per una settimana tutti gli autori della scuderia Sony, farli scrivere insieme ad oltranza e vedere cosa ne esce fuori. 

Quest'anno, a dividere letti, divani e studi di registrazione c'erano Levante, Colapesce, Birthh, Dimartino, i Serpenti, Michele Bravi e molti altri nomi (Filippelli, Flora, Napoleone, Gargiulo, Maiello, Martorelli, Palmosi, Romitelli, Ferrara, Simonelli) che magari non vi diranno niente ma che hanno firmato alcune tra le canzoni pop più note degli ultimi anni in Italia, per artisti come Malika Ayane, Gianni Morandi, Marco Mengoni, Francesca Michielin, Marracash e tantissimi altri. 

(Una veduta dall'alto del salotto comune)

Appena arrivo nella casa mi faccio spiegare come è organizzato il lavoro: ogni giorno vengono predisposte delle coppie o dei terzetti (solitamente composte da due autori e un produttore) per garantire la rotazione degli artisti, di modo che nel giro di sette giorni tutti si trovino a lavorare con tutti: Colapesce e Levante, Birthh e Dimartino, produttori rap con autori di musica leggera.
La prima domanda che sorge di fronte ad un'operazione di questo tipo riguarda la spontaneità: non è un po' forzato "costringere" degli artisti a scrivere e produrre canzoni a tavolino che poi canterà qualche pop star appena uscita ad un talent show?

A giudicare dalla frequenza delle risate e dal costante clima di leggero cazzeggio la risposta è no, anzi è proprio la consapevolezza che i pezzi non sono destinati al proprio repertorio a garantire agli autori una certa libertà di scrittura che trascenda generi, atmosfere, lingue ed identità personali.

Birthh si è ritrovata per la prima volta a cantare in italiano, e le viene benissimo; lo stesso si può dire di Colapesce alle prese con un pezzo quasi funk, e Levante con ritmi black (twerking incluso).
D'altronde la mancanza di spontaneità non suppone per forza anche una mancanza di autenticità: nel giro di qualche ora ho avuto la fortuna di ascoltare molti bellissimi pezzi, e per ognuno di questi ho fatto una grande fatica ad immaginarli cantati da qualche anonimo (si fa per dire) interprete alla radio invece che dai rispettivi autori.

Suppongo che, una volta pubblicate, faranno lo stesso effetto che fa ascoltare "Bruci la città" di Irene Grandi: per istinto, in testa la ricanti con la voce baritonale di Francesco Bianconi di Baustelle, autore del brano.

(Levante, Birthh, Dimartino e Colapesce riascoltano assieme una canzone)

D'altronde, prima di prendersela con le major per la mancanza di visione e supporto a questi artisti in grado di scrivere musica valida e originale, è il caso di ricordarsi che il mondo degli autori è sempre esistito senza mai scatenare troppo clamore: sono innumerevoli i casi di grandi artisti italiani che durante tutta la propria carriera si sono avvalsi del supporto di altri autori, per i testi o per le musiche (Lucio Battisti e Mina sono solo i due esempi più ovvi), senza che questo screditasse il lavoro di entrambi. In più, molto spesso sono gli stessi artisti a non voler entrare nell'ala protettrice di una grande casa discografica, nonostante ricevano offerte.

Quello su cui si potrebbe discutere invece è la qualità degli interpreti che occupano le classifiche italiane, e la validità dei talent show come unico metodo per ingaggiarli. In Inghilterra (dove X Factor è nato) e in altri paesi anglofoni il declino della popolarità di questi format televisivi è ormai tangibile, ma in Italia sembra ancora lontano il momento in cui la formula smetterà totalmente di attirare l'interesse del pubblico (siamo alla 16esima edizione del Grande Fratello, alla 15esima di Amici di Maria e alla 10ma di X Factor, e gli ascolti dei programmi sono ancora buoni).  

(Una delle mini postazioni per registrare i pezzi)

Dopo aver ascoltato almeno cinque potenziali hit, cerco di capire il percorso che le aspetta una volta che il camp sarà terminato: i pezzi vengono di norma presentati ai produttori e ai cantanti, che li provinano e decidono se possono funzionare o meno. Nel caso vengano scartati, rimangono comunque "in circolazione" in attesa del giusto interprete, un'attesa che può durare anche anni, come è già successo per moltissimi brani di grande fortuna che sono rimasti "orfani" a lungo prima di arrivare davanti al giusto microfono. 

(Dimartino)

Alla fine, quel che resta di questa giornata è uno strano senso di sollievo: pensare che la musica commerciale italiana è finalmente in mano ad autori in grado di scrivere canzoni allo stesso tempo leggere, belle e complesse è quello che, per troppo tempo, abbiamo solo osato desiderare.

 

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L'articolo Una giornata nella fabbrica del pop di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2016-09-27 12:37:00

COMMENTI (7)

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  • thesounddj8 anni faRispondi

    @antonio.manco.52 nessuno critica chi si fa due soldi, ma un conto è fare un qualcosa di genuino, un altro è fare la mozzarella, solo che al posto del latte ci metti le note. l'argomento dell'articolo è una catena di montaggio, non arte. siamo sinceri, e visti i risultati della classifica pop italiana, dove le robe più interessanti vengono comunque dall'estero a livello di scrittura e produzioni, tanto vale.

  • pons8 anni faRispondi

    Si è sempre parlato per il pop di lavori a tavolino e questo è. Bello. Un approfondimento interessante.

  • dagorpheus8 anni faRispondi

    @Teo TheSound Non sono molto d'accordo con te. Mi spieghi perchè è meno artistico di uno che un brano da solo o con il suo gruppo? E' solo un modo per fare brainstoming e produrre facendo attenzione sia all'aspetto artistico che a quello economico. Mi sembra ragionevole quando la musica deve generare profitti (per l'artista/autore e per la discografica). Credo non sia più il tempo degli artisti che si struggono sulla chitarra per giorni per produrre un pezzo. Poi, se vogliamo guardare l'aspetto più romantico è ovvio che hai pienamente ragione. Ma anche i musicisti devono poter mangiare e massimizzare i profitti. Colapesce è grande anche se produce qualche hit a tavolino, io credo che questo non debba sminuire il suo valore.

  • Inco8 anni faRispondi

    Molto positivo per il pop Italiano e molto lungimirante da parte di Sony! Però attenzione, la frase " In più, molto spesso sono gli stessi artisti a non voler entrare nell'ala protettrice di una grande casa discografica, nonostante ricevano offerte." non è davvero corretta: nel momento in cui un'autore firma un contratto di edizioni (come in questo caso) lega sè stesso al suo editore (in questo caso Sony Atv, cioè il ramo editoriale di Sony). Questi autori in pratica hanno ricevuto un'offerta (editoriale) e l'hanno accettata. Non che la cosa sia sbagliata, anzi, di solito a questi livelli lo si fa in cambio anche di un importante anticipo che dà ossigeno alla carriera di un giovane musicista, e per qualcuno di loro potrebbe essere anche l'inizio di una carriera parallela da autore. E' dal punto di vista delli Indie che invece stampano i dischi per questi artisti che bisogna interrogarsi. A loro rischia di rimanere in mano solo il costo della plastica dei Cd, che saggiamente la major spesso non è interessata ad assumersi, e le scarse entrate che ne derivano (se esistenti). I piu' strutturati hanno già da tempo intrapreso la strada parallela del management dell'artista cha hanno portato in grembo (come per Levante o Dimartino), strada che permette tra l'altro loro di beneficiare indirettamente anche degli anticipi e delle entrate editoriali. Questo, di nuovo, non è giusto o sbagliato a prescindere, ma deve essere chiaro che in questo modello che si sta affermando le Major detengono comunque un'importante grado di controllo su pezzi importanti della carriera di un'artista. Il chè può andare benissimo all'artista! Ma è bene che lo si sappia.

  • antonio.manco.528 anni faRispondi

    Ciao @thesounddj, non capisco dove vuole arrivare il tuo commento. Se l'arte deve essere valorizzata e considerata un lavoro alla stregua di tutti gli altri (l'espressione artistica come fonte di guadagno e sostentamento), perché dici che non c'è nulla di artistico se certi artisti svolgono determinate attività sotto pagamento? Allora non dovrebbero vendere i dischi o fare i live, perché ci guadagnano. O dovrebbero farlo senza guadagnarci?
    Fa parte della loro attività artistica, ovvero del loro lavoro.

  • thesounddj8 anni faRispondi

    Possiamo stare qua a dire che stanno a cazzeggiare e sono carini tutto il tempo che vogliamo. Lo sappiamo bene che lo fanno solo perché la paga non è male (e non c'è nulla di male nemmeno in ciò), ma non c'è nulla di artistico. E' come andare al fast food e farsi il panino.

  • collaattack8 anni faRispondi

    Interessante approfondimento sul lato nascosto del pop!