Mistaman - L'era della simulazione

Abbiamo scambiato due chiacchiere col rapper trevigiano per farci spiegare alcuni aspetti del nuovo album "Realtà aumentata"

Mistaman
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Mistaman, insieme a tutta l'Unlimited Struggle, rimane uno dei nomi più seguiti quando si parla di rap italiano. Famoso per i suoi schemi metrici intricati e i giochi di parole complessi, con questo nuovo "Realtà Aumentata" ha cercato di scrollarsi di dosso quell'autoreferenzialità in cui si può incappare dopo quasi venti anni di carriera. Gli abbiamo quindi fatto due domande sul suo nuovo disco, da Matrix alla musica trap.

Ciao Mistaman! Cominciamo subito: "Realtà Aumentata" è un titolo che mi piace molto perché lo trovo semioticamente molto interessante. Mi fa venire in mente prima il Matrix e ovviamente Baudrillard. La condizione iper-reale, i temi della simulazione e dell'illusione sono stati degli input da cui sei partito?
Viviamo in un'era in cui la realtà è costantemente mistificata dall'estetica e dalla trasposizione digitale attraverso la quale la viviamo. Mi piaceva l'idea che la mia visione si sovrapponesse alla realtà senza alterarla ma aumentandone la comprensione. Negli artwork che hanno accompagnato l'uscita del disco ho voluto rappresentare anche visivamente il concetto mentre nel disco ricorre spesso l'idea di un ritorno all'essenza delle cose.

Quali sono stati gli spunti culturali e multimediali che ti hanno accompagnato durante la stesura del disco?
Gli input arrivano da ovunque ed è ormai un riflesso automatico declinarli nella mia scrittura anche quando potrebbero sembrarne distanti. Forse più del solito mi sono immerso nella musica e ho ascoltato quanto più possibile dei disci che uscivano, anche questo mi ha portato a mettere a fuoco un sound più compatto e fresco rispetto agli altri miei dischi.



Ascoltando il tuo disco mi sembra che tu ormai abbia trovato una formula per scrivere ogni lavoro e che tendi sovente a riutilizzarlo. È così?
Sicuramente negli anni ho preso confidenza con gli aspetti più tecnici della creazione e nei miei pezzi alcuni temi ritornano come filo conduttore, ma ad ogni album ho sempre cercato si spostare i miei limiti e questo si traduce in una difficoltà sempre maggiore nel creare qualcosa di originale. In quest'album ci sono degli elementi di continuità con i precedenti lavori ma credo di aver spostato anche stavolta qualche limite e son felice di aver toccato tanti tasti nuovi.

Da dove si muove il tuo processo creativo?
Sono una persona abbastanza cerebrale e ho bisogno di strutture mentali anche per esprimere il mio lato più selvaggio. Di solito parto dal concept che deve avere il pezzo, poi una volta trovato il beat su cui svilupparlo inizia una fase di raccolta delle idee, qui mi capita anche di recuperare rime tra quelle che mi appunto continuamente e che centrano con il concept del pezzo. Solo quando ho una massa critica sufficiente inizio a scrivere mettendo assieme i pezzi o creandone ovviamente di nuovi. Successivamente lavoriamo sull'arrangiamento del beat.

Il disco si apre con un brano molto pesante ma che secondo me è capace di parlare a tutti. Il mood poi si stringe molto sul rap. A cos'è dovuta questa scelta?
C'è stato un momento in cui mi ero detto che il disco avrebbe dovuto parlare a tutti, non avrei dovuto parlare di hip hop, flow, mc o qualsiasi cosa ne precludesse la comprensione. Ne ero davvero convinto ma quando scrivendo mi sono aperto e hanno preso il sopravvento le mie riflessioni molte erano proprio sull'hip hop e sul ruolo della musica nella mia vita. Non tutti facciamo musica ma credo che molti meccanismi ognuno li possa ritrovare nelle proprie passioni e questa trasposizione possa rendere i pezzi fruibili a tutti.



Di "Non c'è domani" hai detto che intendi questo brano «come una critica alla superficialità con la quale si tenta di sfuggire alla complessità della realtà». Ecco, cosa pensi della situazione politica italiana? Dove ti poni rispetto alle attuali forze politiche?
Al momento in ognuna delle forze politiche trovo qualcosa che non va e non mi permette di abbracciarne in toto il pensiero. Viviamo in un'era in cui la la realtà è alterabile a piacimento e possiamo benissimo fare a meno della verità, non sono più importanti i fatti ma le emozioni che vengono suscitate. Probabilmente è sempre stato così ma la moltiplicazione dei media da cui recepiamo le notizie e la superficialità con cui ne fruiamo ha sicuramente peggiorato la situazione, basti pensare alla vittoria di Trump.

Sempre parlando di "Non c'è domani", hai detto che è un tentativo d'interpretare la crisi. Ma, esattamente, crisi di cosa? È soltanto economica o veramente vedi una qualche crisi in ambito culturale/etico-morale?
Ormai sono anni che sentiamo recitare il mantra della crisi, ma la crisi dovrebbe essere un evento che arriva ad un culmine e poi porta a un cambiamento. Sembra invece che la crisi sia accettata come uno stato normale delle cose nel nome del quale si giustifica tutto, compreso il fatto che non cambi nulla. Sicuramente mi preoccupa di più la crisi culturale che quella economica visto che è quella con conseguenze più disastrose sulle nostre vite. La soluzione sarcastica che propongo nel pezzo è quella di fare festa e fregarsene ma si tratta ovviamente di una provocazione.

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Abbiamo avuto "Irreversibile", "M.I.S.T.A.M.A.N", "Mista 2.0", "A100", "Lost in translation" e tanti brani simili, da dove nascono queste strofe? Sono effettivamente una tua cifra stilistica, e come l’hai sviluppata?
Di solito parto da un'idea e cerco di applicarla ad un intero pezzo declinandola in più modi possibili. È un processo con una fase di elaborazione abbastanza lunga ma mi piace l'idea che una volta ultimato il pezzo tutto si incastri alla perfezione. Nell'arte tutto è opinabile e soggetto ai gusti, e quando scrivo questi pezzi so che non sono per tutti ma lo faccio con lo spirito di fare centro dove nessuno si era accorto ci fosse un bersaglio.

Sei nel rap da 20 anni. Come hai vissuto quest'ultima nuova fase che il genere sta vivendo? Ne parli in "Operazione Nostalgia" e sei ben chiaro. Come si traduce questa tua posizione all'interno della carriera? Puoi farci degli esempi?
Come dico nel pezzo la nostalgia non fa per me ma credo anche che il passato sia una fonte inesauribile di energia e di conoscenza. Non sono critico rispetto alle nuove sonorità, capisco benissimo le influenze che sentiamo anche in Italia e sono il primo a volerle cogliere ma sempre con coerenza e credibilità. Credo che l'ultimo obiettivo di un artista sia comunicare la sua essenza, la sua visione deve essere il filtro ultimo attraverso il quale passano tutti gli stimoli. Non mi sono mai buttato a capofitto sul nuovo sound del momento ma non mi sono nemmeno chiuso a riproporre la stessa ricetta.



Parlaci della rilevanza che ha mantenuto Unlimited Struggle in questi anni.
Credo che la gente riconosca la nostra costanza e la nostra ricerca della qualità. Siamo rimasti imperturbabili di fronte alle fasi alterne dell'hip hop italiano e il segreto sta nel fatto che non c'è nulla di costruito e la nostra passione è fottutamente vera. Mi ritengo fortunato a condividere questa realtà con persone ognuna a suo modo straordinaria, e avere dato il mio contributo a costruire Unlimited Struggle lo ritengo uno dei miei più grandi successi.

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L'articolo Mistaman - L'era della simulazione di Raffaele Lauretti è apparso su Rockit.it il 2016-11-29 10:59:00

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