To Rome with love: Galeffi racconta "Scudetto"

Galeffi racconta il suo album "Scudetto" parlando di Kerouac e della Roma, di cinema francese e di poesia, ma soprattutto dell'importanza di essere se stessi.

Galeffi
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Qualche giorno fa vi abbiamo fatto ascoltare in anteprima il disco di esordio di Galeffi, "Scudetto", un album che ha il pregio di unire due cose che in Italia vanno fortissimo: la musica pop e la passione calcistica. Ma "Scudetto" è soprattutto un disco che parla d'amore, da una storia che finisce a una che nasce, di quell'inebriante sensazione di trovare una persona nuova che ti fa sentire come dopo un goal segnato davanti a tutto lo stadio Olimpico. La nostra intervista.

Il 24 novembre è il giorno del mio compleanno. È un anno che aspetto l’uscita del disco di Cremonini per poi scoprire invece che il mio album preferito per questi 26 anni, in realtà, è il tuo.
Mi fa veramente piacere perché credo di poterti capire, Cremonini è uno dei miei autori preferiti. Io ho tatuati Cremonini e Totti. Sapevo che usciva il suo disco questo venerdì, la data non è stata scelta a caso.

E da romanista, come mai la scelta di questo titolo?
Certo, da romanista lo scudetto ha un significato profondo, un po’ come il Sacro Graal. Noi non siamo una squadra che vince il campionato ogni anno. Ma al di là del significato sportivo e della relativa scaramanzia, io venivo da altre esperienze musicali, la possibilità di riuscire a stampare un album con un'etichetta forte e avere del riscontro per me equivale ad una grande vittoria. È il raggiungimento di uno scudetto personale.

Ma il Galeffi non è anche una specie di digestivo effervescente, c’entra qualcosa col nome con cui ha deciso di presentarti?
Assolutamente sì, oltretutto mia mamma sostiene siano nostri parenti alla lontana, un ramo della nostra famiglia in Toscana. Comunque a casa mia siamo grandi fan del Galeffi.

Ci sono molti cantautori che ultimamente si presentano con il loro cognome, penso ad esempio a Germanò. È una scelta stilistica che specifica il fatto che la vostra musica è molto personale?
Il progetto Galeffi nasce circa un annetto fa, suonavo già da tempo, almeno in giro per Roma. Comunque quando ho deciso di intraprendere questo percorso ho passato mesi a scervellarmi sul nome migliore da adottare, a cercare di trovare un nome veramente fico che mi piacesse. È stata proprio una cosa patologica: aprivo libri a caso e vocabolari alla ricerca di un’ispirazione. Alla fine, sfiancato da questa situazione, la mia scelta è ricaduta sul mio cognome - che comunque ritengo dotato di un suono molto elegante. Sui risvolti personali della scelta probabilmente hai ragione tu, non ci avevo mai pensato prima d’ora. Perché in fin dei conti Galeffi sono essenzialmente io. Ma di base non ho avuto nessuna illuminazione geniale e alla fine ho deciso di optare per il mio cognome.

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Ci sono molti punti in comune con i giovani cantautori romani, penso a Gazzelle e Calcutta. In che cosa ti senti diverso da loro?
Io sono una cantautore, nel senso che mi scrivo i testi, ma sono innanzitutto un “tizio che fa musica”, un tizio che appartiene all’indie, un tizio che fa parte di quella roba lì con un'etichetta che fa parte di quel panorama. A me sia Calcutta che Gazzelle piacciono molto. Ovviamente, col secondo ho un rapporto un po’ più stretto perché ho avuto modo di conoscerlo in quanto membri della Maciste. Io volevo fare un disco molto minimale - piano e voce o chitarra e voce - ma sapevo di incorrere in questo rischio dell’assomigliare a qualcuno. Di essere etichettato come il nuovo Tizio o il nuovo Caio. Quindi, se dovessi risponderti proprio a livello tecnico, ti direi che ho cercato di infilarci tutte le mie influenze che, prevalentemente, provengono dall’Inghilterra. Chitarrone slide che nell’indie italiano non ho mai sentito, batterie registrate in analogico come faceva Ringo Starr, siamo andati alla ricerca di un sound più internazionale. E poi comunque penso di avere un voce un po’ più graffiata, un po’ più sporca degli altri artisti italiani. È anche una questione di interpretazione. Al di là di tutto poi faccio canzoni pop, cioè, canzoni normali.

La definizione di "canzoni normali" è molto bella. Alla fine la musica dovresti ascoltarla e basta, ti piace bene, se ti arriva qualcosa ancora meglio.
Esatto, invece esistono gruppi come Diesagiowave utilizzati quasi esclusivamente per insultare gli artisti. Non me la sto prendendo con i meme o quel genere di ironia da social, ma una volta su Diesagiowave un tizio mi ha paragonato a Gheddafi. , ho fatto una canzone, se non ti piace non ascoltarla. Cioè che senso ha darmi del Gheddafi? Non mettermi like, non venire al concerto. Non mi offendo. Sciallo.

Sei un appassionato dei Beatles e, in generale, della musica anglosassone. Quali sono i gruppi che ti hanno influenzato di più?
Be', i Beatles ovviamente, sono un gruppo che non ti abbandonerà mai, non può esserci un periodo in cui non ti va di ascoltare i Beatles. Hanno spaziato così tanto nella loro carriera che hanno sempre una canzone adatta ad ogni situazione, da “Twist and Shout” a “Let it Be”. Ti faccio comunque 5 nomi, a parte i Beatles i miei artisti preferiti sono gli Oasis, i Verve, Amy Winehouse e Ray Charles.

Prima di diventare Galeffi, se non sbaglio, avevi una band?
Diciamo che ho avuto diversi progetti negli ultimi 5 anni, tutti più o meno fallimentari, con cui cantavo principalmente in inglese. Queste di “Scudetto” sono le mie prime 10 canzoni scritte in italiano. Però, da quando è nato il progetto Galeffi, ho sempre suonato piano-voce\chitarra-voce accompagnato al massimo da un elemento, Luigi, mio chitarrista nonché migliore amico. La vera e propria band l’ho formata ora, circa un mese fa, in vista del tour. Tre anni fa suonavo in una band che faceva un incrocio tra Jeff Buckley e i Coldplay ma, chiusa questa parentesi, non ho mai suonato in una band.

Quindi, come hai formato la tua squadra di turnisti?
In fin dei conti, suonando da tanto tempo, conosci diversi musicisti. Quindi la band l’ho formata scegliendo chi ritenevo più compatibile al mio progetto, le persone più idonee a questa avventura. C’è Walter, il bassista dei Thegiornalisti, che è formidabile, alla batteria Andrea Palmeri che ha accompagnato diverse volte anche Daniele Silvestri, un ragazzo ai synth che ho conosciuto alla scuola di musica che continuo tutt’ora a frequentare e poi Luigi che, insomma, è mio fratello.

Che differenza c’è tra comporre in inglese e in italiano?
La differenza è il coraggio. Non avrebbe senso che musicisti come i Bloody Beetroots facessero musica in italiano. Ma se proponi un altro tipo di musica in italiano ovviamente la gente ti giudicherà anche per il testo. Devi avere più palle.

E per quanto riguarda libri e film a cosa ti sei ispirato? Oltre a Kerouac, Pessoa e gli Harry Potter già citati nelle canzoni.
Ho fatto la triennale in Cinema, sono un grande appassionato. Sto in fissa totale col cinema francese, ora sto completando la filmografia di Ozon che è un esponente del cinema francese moderno. Poi ho proprio un debole per le attrici francesi Marine Vacth, Isabelle Huppert. Mi sento male, le sposerei tutte. Sono anche un amante di Harry Potter. Per quanto riguarda Pessoa, il "Libro dell’inquietudine" è il testo più bello che una persona possa leggere nella vita. Detto questo, Kerouac è stato il mio fedele compagno del periodo universitario. Ma adoro anche Herman Hesse Neruda.

Quindi ti piace anche la poesia?
Sì, anche Carducci.

"Scudetto" è un disco che essenzialmente parla d’amore? Per i libri, per la Roma o per una donna poco importa.
Bravissimo, è un disco che parla d’amore. Anche perché io personalmente non mi sentirei ancora credibile (prima di tutto nei miei confronti e poi nei confronti di chi fruisce della mia musica) ad affrontare argomenti politici o sociali come artista. A parte che, a me personalmente, la politica annoia tantissimo, come la storia o la geografia. Quindi credo che il modo migliore per arrivare alla gente sia quello di essere il più possibile me stesso sperando poi che il me stesso musicale possa piacere alle persone. Almeno sono a posto con la coscienza. Ho messo me stesso in quest’album e quindi le cose che amo, da Kerouac alla Roma. Le canzoni di “Scudetto” hanno iniziato a prendere forma con la fine di una storia d’amore e sono evolute con l’inizio di una nuova relazione con la mia donna attuale. Quindi sì, è un disco sull’amore.

Intendi la tua Ilary, quella che ti fa sentire “Tottigol”?
Esattamente, volevo esprimere quella sensazione del sentirmi un eroe quindi la mia scelta iniziale era ricaduta su Achille. Ma non mi convinceva né nell’immagine né nel suono. Alla fine ho penssato che il mio vero eroe è Totti e che la sensazione che può darti l’Olimpico ad un gol sia la sensazione più forte che un uomo possa provare, di amore incondizionato, vero. Poi "Tottigol" stava bene sul ritornello. Ed è nata la canzone.

Perché, fra tutti i materiali, la scelta è ricaduta proprio sul polistirolo?
La risposta non è molto bella per chi leggerà, ma non si tratta assolutamente di cocaina. Stavo sperimentando nuovi metodi di scrittura per capire quale si sposasse meglio con me. A volte parto dal testo a volte dalla melodia. Per "Polistirolo" pensavo che il testo fosse già contenuto nella melodia e quindi la melodia era come la pietra da scolpire per trovare le parole. Quindi il polistirolo (intendo la parola non il materiale) è nato come una specie di esperimento, su questa melodia, non so perché, sentivo suonare bene questa parola e poi è nata un canzone che racconta della fine di una storia d’amore. In tanti hanno interpretato il polistirolo come un materiale che si sgretola come una storia d’amore giunta al termine ma in realtà non è così. Queste sono cose che sono venute dopo. Forse è stata una cosa inconscia.

Sto uscendo con una ragazza che si chiama Camilla. Usciamo da poco, quindi in tantissime canzoni del tuo disco ci rispecchiamo, come è probabile dato che molte tracce parlano dell’inizio di una storia. Detto ciò, le cose con la mia Camilla stanno andando molto bene, il disco sta diventando il nostro disco, questa storia che con la Camilla della tua canzone vada male mi ha un po’ infastidito.
Sono felice che il mio album possa accompagnarvi ma non preoccuparti, la mia Camilla in realtà si chiamava Clelia. Ho dovuto cambiare il nome quando ho scritto la canzone ma ormai sono passati due anni. La storia è questa: uscivo massacrato dalla relazione precedente, ho iniziato ad uscire con sta pischella superfica, bella, intelligente, che in qualsiasi altro momento mi sarei sposato. Lei era veramente perfetta, a parte gli scherzi, ma in quel momento non ero pronto neanche alla sua bellezza. È una canzone un po’ ironica, il suo significato detto in parole povere è: mi è capitata sta fregna tra le mani e non me ne frega un cazzo. Forse meglio così, ora sono felicemente fidanzato.

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L'articolo To Rome with love: Galeffi racconta "Scudetto" di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2017-11-29 11:00:00

COMMENTI (1)

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  • joetriglia 7 anni fa Rispondi

    di certo non e' gheddafi, ma quanto e' diverso da calcutta?