Analisi del testo: Fabio Cinti spiega "Centro di gravità permanente" di Franco Battiato

Fabio Cinti ha da poco pubblicato un disco di cover de "La voce del padrone" di Franco Battiato: chi meglio di lui per spiegare "Cerco un centro di gravità permanente"?

"Analisi del testo" è la nostra rubrica in cui chiediamo ai musicisti di analizzare un testo di un altro artista a loro caro, spiegandolo come si faceva a scuola con le poesie. Oggi Fabio Cinti ci spiega "Centro di gravità permanente" di Franco Battiato. La scelta non è casuale, infatti Fabio Cinti ha di recente pubblicato un "adattamento gentile" de "La voce del padrone"del Maestro Battiato, grazie al quale si è anche aggiudicato una Targa Tenco nella categoria miglior interprete.

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Nel 1982 avevo cinque anni e i miei ascoltavano ”La voce del padrone”: esattamente come avviene nel processo di imprinting, nel mio periodo sensibile, stavo inconsapevolmente seguendo un maestro. Che, fortunatamente, era Franco Battiato.
In effetti non capivo granché di quei testi, quasi niente a dire la verità, e una serie di fraintendimenti mi avrebbero portato, più tardi, da adolescente, a farmi delle grandi domande.
Mi ricordo nitidamente, per dirne uno, l’associazione tra il divieto di sosta permanente, la permanente di mia madre (“ogni tanto devo fare la permanente”, diceva, “i bigodini tengono poco…”) e quella frase che martellava in tutte le radio, in tutti i juke-box e nella mia piccola testa: “cerco un centro di gravità permanente”.

Ma cosa ho scoperto, negli anni successivi alla mia infanzia, attraverso l’approfondimento e la ricerca e, soprattutto, attraverso l’incontro, a mia volta, con uomini straordinari? Moltissimo. E l’essermi cimentato con un adattamento cameristico di questo album mi ha fatto entrare ancora di più nei meandri dell’opera.

”Centro di gravità permanente” è una canzone che funziona, magicamente, per un misto di maestria della scrittura e fortuna, ma soprattutto per un’alchimia perfetta tra il mondo alto, colto e quello irriverente e giocoso tipici della natura di Battiato, non solo di quella musicale, ma anche di quella umana.

Tralasciando la struttura armonica, melodica e ritmica e gli arrangiamenti (che trovano un preciso equilibrio, fondando un nuovo genere, grazie soprattutto agli interventi di Giusto Pio), lo stratagemma lirico di Battiato è ancora quello di fondere realtà e finzione, mettendo l’ascoltatore nella sua stessa posizione e quindi facendogli rivivere a sua volta realtà e emozioni come in un gioco di ruolo. Nell’album precedente aveva scritto “Un giorno sulla Prospettiva Nevsky per caso vi incontrai Igor Stravinsky”: e in effetti tutti noi che abbiamo amato quel brano ci siamo ritrovati al centro di quella prospettiva immaginandoci quella scena, e l’incontro con quel grande musicista…

Lo stesso avviene qui: Battiato si immagina e ci fa immaginare alcune situazioni come fossero vissute da lui in prima persona, al limite del surreale, mettendo dentro citazioni letterarie e dislocando nello spazio e nel tempo il protagonista, che è lui e che siamo noi. La forma della strofa è quella tipica dell’elenco, un susseguirsi di immagini e situazioni.

(Fabio Cinti, foto di Piero Martinello)

E allora iniziamo col vedere… dove? Nella Francia del nord? una donna con un ombrello cinese (la Cina ritornerà spesso nella canzone…)

Una vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù


Poi arriva la prima citazione letteraria: Franco è un grande lettore e dunque attinge e rielabora le sue visioni:

Capitani coraggiosi (il famoso romanzo di R. Kipling), furbi contrabbandieri macedoni


Dalla Francia ci siamo spostati in Macedonia, e da qui ancora più a est:

Gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia di Ming


Il riferimento è al gesuita italiano (euclideo, cioè seguace degli insegnamenti rigorosi e razionali del matematico greco Euclide) Matteo Ricci, vissuto nel XVI secolo, missionario in oriente che si camuffava da monaco buddista per entrare nelle grazie dell’impero orientale e evangelizzare la Cina dal suo interno. La critica, anche se molto sottile, è diretta all’ordine della Compagnia di Gesù e dunque alla Chiesa Cattolica che nei secoli ha sempre cercato la supremazia sulle altre dottrine.

La strofa fa mezzo giro del mondo in termini spaziali e resta indefinita in termini temporali, eppure abbiamo vissuto quelle precise immagini le quali, anche se non abbiamo colto il senso storico e i riferimenti, ci hanno incuriosito. Suona tutto perfettamente.




Il ritornello non si fa attendere e va dritto al punto dando un senso anche a quelle immagini che apparivano solo elencate:

Cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente - over and over again -

Battiato non ha mai fatto segreto dei suoi studi e delle sue letture e, assieme alla sua stretta cerchia di amici e collaboratori (su tutti Francesco Messina) ha divulgato l’opera di Georges Ivanovič Gurdjieff, filosofo e mistico armeno vissuto a cavallo tra l’800 e il 900. E proprio da Gurdjieff, anzi, dal libro più noto in cui vengono spiegate e divulgate le sue teorie dal suo allievo Piotr D. Ouspensky (“Frammenti di un insegnamento sconosciuto”), arriva l’ispirazione del nostro ritornello, il senso e il titolo della canzone:

Il centro di gravità permanente è lo stato intermedio (in tutto sono sette) della coscienza di un uomo dai comportamenti completamente meccanici e vittima dei suoi centri motorio, emozionale e intellettuale che di volta in volta predominano sulla vita cosciente. Attraverso un lungo lavoro su se stesso e in seguito a sforzi di carattere ben definiti, l’uomo può raggiungere il primo stato di coscienza che porta a un equilibrio tra i centri - il centro di gravità permanente, appunto - che, a questo livello, non possono avere una preponderanza sugli altri. Uno stato in cui anche l’osservazione del mondo esterno è in perfetto equilibrio con le proprie idee e non in balia di quelle degli altri.

Il discorso rischia di dilungarsi davvero molto, ma spero di avervi dato lo stimolo per continuare la ricerca da soli… Ma, in sostanza, che cosa ci ha voluto dire Battiato? Che il mondo, quello descritto nella prima strofa in quelle tre immagini così inusuali, è letto dal nostro io e dalla nostra coscienza in modo sempre diverso per via della meccanicità dei nostri comportamenti e della schiavitù che ci impongono di volta in volta le emozioni, finché non troviamo un equilibrio che ci possa dispiegare la verità.


Tornando al pezzo, ora Battiato, con la seconda strofa, per la terza volta ritorna in Cina:

Per le strade di Pechino, erano giorni di maggio, tra noi si scherzava a raccogliere ortiche

Quindi, mentre Matteo Ricci evangelizza l’impero, alcuni ragazzi si divertono per strada: ma di nuovo Battiato si immedesima (tra noi…), forse facendo confluire nell’invenzione un vero ricordo della sua infanzia siciliana. E noi, di nuovo, ci immedesimiamo in un’immagine, a mio avviso, la più poetica del brano.




Improvvisamente (lo attesta anche una serie di sferzate di chitarra elettrica) Battiato si lancia in un’invettiva. Qui il punto, spesso frainteso, è questo: Battiato non pensa quello che dice (così come non preferiva l’insalata a Beethoven o l’uva passa a Vivaldi…) ma si fa portavoce di un sentimento comune, allora e oggi, di critica estrema e spesso insensata, il classico “non mi piace niente (anche quello che non esiste…il free-jazz-punk-inglese è al limite dell’esistenza…) e quindi mi lamento”, proprio in virtù del fatto che siamo perennemente vittime dei nostri comportamenti meccanici, delle idee degli altri e lontani da un centro di gravità permanente.

Non sopporto i cori russi, la musica finto-rock, la new wave italiana, il free-jazz-punk-inglese e neanche la nera africana


Di conseguenza, allora: cerco un centro di gravità permanente… Il resto del testo è un perfetto cut-up di brani famosi, già sperimentato in album precedenti e in questo (“Cuccurucucù”), tutti raccordati e inanellati in un rotolante giro di DO.
Vi consiglio, se volete capire meglio come Battiato arriva a scrivere un testo così e se volete conoscere una serie di aneddoti interessanti su questo album, il nuovo e interessante libro di Fabio Zuffanti, “Battiato, La Voce del Padrone - 1945 -1982: nascita, ascesa e consacrazione del fenomeno”.


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L'articolo Analisi del testo: Fabio Cinti spiega "Centro di gravità permanente" di Franco Battiato di Fabio Cinti è apparso su Rockit.it il 2018-07-16 14:09:00

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