Sulla fine de Le Luci della Centrale Elettrica (e il futuro che verrà)

Le Luci della Centrale Elettrica finisce qui, una nuova vita per Vasco Brondi e il punto sul nostro passato

Cammina, corri, fermati. Oggi finisce Le Luci della Centrale Elettrica. Non la musica, quella continuerà la strada sulle proprie gambe e su quelle di Vasco Brondi, cuore, corde e anima del progetto da cui ora ha deciso di scendere. Si ferma però quel nome e tutto ciò che contiene, insieme al doppio album in uscita e all’ultimo tour nei teatri. Dietro la decisione due anni e un pensiero. Il primo, il 2008, anno in cui nasce Le Luci Della Centrale Elettrica. Dietro non c’è una band, come pensavano molti e come pensa ancora qualcuno, ma solo un ragazzo che scrive qualcosa di diverso da tutti gli altri. Il secondo è il 2018, questo anno qui, dieci anni dopo e dieci anni oltre il primo album. 

video frame placeholder

Dietro l’idea di un cerchio che si chiude dopo un decennio di evoluzione continua, come per tenersi la benedizione di qualche strana piccola simbologia tascabile, c’è la riflessione di chi il progetto l’ha fatto nascere per seminarci dentro se stesso. Qui sotto, ve la riportiamo per intero. 

Tra due giorni esce il doppio disco 2008/2018 tra la via Emilia e La Via Lattea. 
Con questo disco doppio per me si chiude il progetto Le luci della centrale elettrica. 
Non so ancora spiegarmi del tutto il motivo, ma è una cosa che percepisco con grande sicurezza e serenità. Sento oggi di poter chiudere un progetto nato all’improvviso e con stupore dieci anni fa e che si è evoluto tantissimo nel tempo, cambiando insieme a me, regalandomi anche un “futuro inverosimile”. E’ arrivato il momento di alleggerirsi, di ripartire in altre direzioni e di farlo senza questo nome, credo sia rispettoso non utilizzarlo solo come sostegno o scudo.
Quando ho iniziato ero un ragazzino, sono cresciuto all’interno delle Luci e sono cresciuto in pubblico, e credo che questo processo sia giunto ad una fine. 
Proprio il nome, Le luci della centrale elettrica, per me è stato molto importante fin dalla prima volta che mi è venuto in mente: è un nome corale, controproducente, sembra quello di una band – anche se ero sempre io da solo – dietro cui mi sono anche nascosto, da cui a volte mi sono fatto proteggere. Molte persone tuttora sono convinte sia un gruppo, e per me è stato un bel gioco, un aiuto, anche se poi mi ha forse reso più impreparato a essere accerchiato, fotografato, insultato, idolatrato. Un gioco a nascondino che ha funzionato solo fino a un certo punto.
Sento che sono cambiate tante cose e che è arrivato il momento di fare spazio ad altro, per la bellezza e la follia di ricominciare. 
Ho cercato di raccontare questi dieci anni in un libro, con l’aiuto di Tiziana Lo Porto. Uscirà il mese prossimo e si intitola semplicemente Le luci della centrale elettrica e dentro ha il racconto in prima persona di questi dieci anni visti da dentro e visti dal finestrino, ci sono gli appunti, le voci degli amici incontrati per strada, i disegni, le foto e le grandi imprese nate per caso.

Per moltissime persone questo progetto si chiude senza che ne abbiano neanche mai sospettato l’esistenza e anche questo mi diverte molto, relativizza tutto. Chissà se un segno minimo in questo tempo è stato lasciato, orme sulla sabbia che un po’ di vento cancella ma che per qualche strano motivo qualcuno ricorderà per un po’, anche se sono orme qualsiasi di essere umano in cammino, di passaggio. Volevo ringraziarvi tantissimo ma per questo non ci sono parole, grazie a chi è cresciuto con queste luci della centrale elettrica, a chi mi ha incrociato, incoraggiato o semplicemente ascoltato. Grazie per l’accoglienza. E soprattutto grazie alle persone che mi sono state vicine realmente indipendentemente dalle luci. GRAZIE!!

v.

Genio, stronzo, poeta, insopportabile, lucido, velleitario, architetto, demolitore, oro, merda. Quando si parla de Le Luci Della Centrale Elettrica, il lo ami o lo odi è sempre stato comune. Alla fine, è una reazione giusta a quello che si presenta come autenticamente nuovo o radicale o destrutturante. Se fai qualcosa di forte ti rispondono in modo forte. Per crescere poi come voce degli anni zero, cantante del vuoto, Vasco Brondi ha messo nero su bianco il disagio, la rabbia, la deriva e la pelle di un’intera parte della sua generazione (e non solo), urlando qualcosa che non era semplice nemmeno capire cosa fosse. O cos’è, perché se ha cambiato faccia e nome non significa non ci sia ancora. Le Luci non arriva preciso, non ti dice cosa ma dove. Non trovando un punto o una singola parola per indicare il disagio Vasco Brondi le ha usate tutte, smontando e rimontando la lingua, per dare forma al casino e farne una bandiera issata fiera su una finestra accesa di notte, da sola, in una palazzina color crema. Non per tutti, certo, ma per molti, per chi scrive, è stato questo. E se vieni dalla provincia, se sei nato nei ’80 o '90 o se una decina di anni fa provavi disperato a fare qualcosa che non capivi, la prima volta che hai ascoltato le Le Luci te la ricordi. E se oggi anche Le Luci si spengono, perché invecchiano anche i musicisti, anche i tempi postmoderni, comunque resta Vasco Brondi. 

A fare cosa? Qualsiasi cosa. Scriverà un libro, farà l’attore, il poeta o altra musica. Farà un fumetto o adotterà un cane. Andrà a vivere ancora a Ferrara o finalmente sulla luna. Il punto è che qualsiasi cosa continuerà a fare, quello che è successo prima non avrebbe più senso oggi. Se le epoche sono fatte per finire, gli anni per passare e il tempo per scorrere, questo è uno di quei momenti fatti per ricordarti che certe cose sono da mettere in un cassetto per tutti, sempre. Che crescere, anche se sei la voce di una generazione, a volte è soltanto fare pace con se stessi. Fare bilanci, tirare le somme e mettere ordine. Poi, una volta per tutte, mettere via, chiudere a chiave e ripartire. Se allunghi troppo un capitolo gli togli importanza. Per non svuotarlo, per tenerlo saldo e ripartire e fare qualcosa di nuovo e importante ancora, fermarsi può essere l’unica strada che ha senso percorrere. 

Le Luci della Centrale Elettrica, dieci anni fa, ha trovato un posto anche qua dentro, dove un posto da quel momento lo ha sempre avuto. Il primo demo, le prime recensioni, i commenti nel forum. Era qui, tutto, e c'è ancora, negativi di uno slancio diverso che c'è stato e che non è più oggi, ma nemmeno abbastanza ieri. Che cos'è la giovinezza in fondo, cosa doveva essere? Io non ve lo dico che non lo so, da questo momento non ve lo diranno più nemmeno Le Luci. Ve lo diranno però altre persone, un altro Vasco, altri di noi che parleranno ad altri che forse non siete voi. Meglio di prima? No. Peggio? Nemmeno. Nuovi, tutti, per andare da un altra parte in cui non riusciremo mai ad arrivare, ma per la strada forse scopriremo qualcos'altro di nuovo, bello e lucido per spiegare quello che non riusciamo ancora a dirci. Niente finisce davvero se lo trasformi in qualcosa di diverso. Prendere e lanciare in avanti, tutto. Ed è tutto perfetto, è tutto perfetto.

La consapevolezza più importante è che se metti via il passato ti rimane comunque tutto il resto. La rabbia di oggi forse non si riconosce più in quella voce, forse quella voce non si riconosce più nella rabbia di oggi. E che la rabbia, poi, lascia le rovine. Nelle rovine, forse, ci trovi un nuovo scontro tranquillo. Indaghi, metti insieme, scolpisci e distruggi tutto quello che ti sta intorno. Nel frattempo cresci e alla fine le uniche cose che possono aver ancora senso sono cinque o sei cose, tra cui te stesso. Tanto vale farci pace allora. Una parola, nel post/comunicato/flusso di Vasco Brondi, assume un valore particolare: alleggerirsi. Che alla fine, mentre fuori andava a fuoco, nei disastri il futuro era sempre lì a sorriderci. Eccolo, è arrivato, ora è il presente. E non si sta poi così male. 

video frame placeholder

---
L'articolo Sulla fine de Le Luci della Centrale Elettrica (e il futuro che verrà) di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2018-10-03 11:56:00

COMMENTI (3)

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia
  • darioflautista 6 anni fa Rispondi

    in molti festeggiano

  • RobertoP 6 anni fa Rispondi

    Ma chi l'ha scritto questo articolo? Me sembra uno sfogo depresso de Proust sur cesso.
    E dacce n'taglio. Va' che Brondi non è mica morto.

  • mario.miano.39 6 anni fa Rispondi

    Ricordo la copertina su Blow Up e l'impatto emozionale delle prime canzoni. Il progetto è giusto che si concluda perché aveva detto tutto quasi subito e il terzo album era già debole. Poi ci sta che uno si evolve e diventa più pop ma solo perché arriva una canzone molto bella come "stelle marine" che però è stato un flop formidabile. Diciamocelo pure che 10 anni prima l'avrebbero passata le radio e tutto avrebbe fruttato e magari fatto continuare il progetto. Oggi questi artisti sono (o si sentono) costretti a curare il social, a fare questi sermoni del cavolo nel congedarsi e la musica conta sempre meno. Non ha alcun senso fare musica oggi se un'artista come Mesa non è ancora abbastanza conosciuta o apprezzata. Che cavolo di senso ha fare questo mestiere quando un disco come touche viene praticamente ignorato e si preferisce parlare di Angel Olsen o Cat Power! Se oggi nascesse Lucio Battisti 2 non se ne accorgerebbe nessuno. O forse ne parlerebbe Rockit una o due volte e poi ciao