Video première: Paolo Saporiti racconta "La mia Luna"

Paolo Saporiti racconta "La mia Luna", il suo nuovo video che presentiamo oggi in anteprima.

Un'immagine del video di "La mia Luna" di Paolo Saporiti
Un'immagine del video di "La mia Luna" di Paolo Saporiti

Oggi vi presentiamo in anteprima il video di “La mia Luna”, traccia che chiude “Acini”, settimo lavoro in studio di Paolo Saporiti uscito lo scorso marzo per GoodFellas. L’artista stesso ha descritto questo singolo come “il brano più autobiografico del disco”. Impregnata di un romanticismo sognante e nostalgico, la canzone trasmette la serenità dell’amore ma anche i tipici timori e le speranze che esso porta con sé, racchiudendo in pochi versi ciò che c’era (o meglio non c’era) ieri, la magia dell’oggi e le incertezze del domani. Il tempo e lo spazio diventano così concetti semplici e al tempo stesso universali, e anche il videoclip che accompagna il brano, a cura di Sans Film, proietta in una duplice dimensione. Nel video assistiamo infatti all’appassionato gioco di due ragazzini che costruiscono un razzo diretto sulla Luna e, contemporaneamente, al viaggio solitario di un astronauta all’interno di quel razzo.

Paolo Saporiti "La mia Luna"

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Paolo Saporiti per farci raccontare meglio questo suo nuovo lavoro.

Ciao Paolo, il tuo nuovo singolo è “La mia Luna”. Cosa rappresenta per te questa luna?
Uno specchio, lo specchio della mia realtà. Oggetto di desiderio e campo di gioco. Restare per viaggiare, resistere per raccogliere i frutti di un’esistenza, da lasciare comunque agli altri, a chi viene dopo.

Il brano è, a tuo dire, il più autobiografico del disco. Vuoi raccontarci la sua genesi?
Stavo guardando fuori dalla finestra, attraverso le grate di una notte in campagna. La luna piena che si riflette nella piscina e illumina a giorno i campi alle mie spalle. Io che voglio tenere e portare tutto ciò ben stretto, dentro di me. La stanza e Silvia che dorme sul bellissimo letto a baldacchino. Scricchiolii. Mantignana, Umbria. Qualche giorno prima del terremoto. Ho pensato a quanto fossi felice di essere lì con la donna che amo, attaccato alla nostra vita e a quello che siamo diventati, dopo tutto quello che abbiamo vissuto e condiviso, a partire dalla crescita di Alessandro, suo figlio, uno dei due bambini protagonisti del video.

Il videoclip è un doppio viaggio: il primo è quello del razzo giocattolo costruito dai due bambini e il secondo è quello dell’astronauta solitario diretto sulla luna. Cos’hanno in comune questi protagonisti nell’immaginario e nella metafora?
Tutti i protagonisti sono parti dello stesso mondo, sognano a occhi aperti. Giocano e agiscono, trasformano a proprio piacimento la realtà senza mai esagerare, nel rispetto altrui. Il poeta viaggia, forse vuole fuggire da questa realtà, forse ci ha pensato qualche volta, forse è infelice e si inventa un altro mondo ancora da raggiungere, senza violenza, la luna. I bambini immaginano di volare e lanciano il loro razzo nello spazio ma sono i primi protagonisti sulla Terra, amano il cinema e desiderano. Fare un film. È tutto un intreccio di passioni e di piani sovrapposti, la vita, la realtà e la finzione, il video, per lasciare agli occhi del protagonista una scelta, legata a una sensazione: quando si aprirà il portellone, una volta sulla luna, la terra ti mancherà? Era proprio necessario partire? Perché lo hai fatto? Che cosa sarà successo dopo? Da che cosa stavi fuggendo? Le risposte migliori le otteniamo sempre mettendoci di fronte agli ostacoli, affrontandoli. Non schivandoli. Come pubblicare un disco, un’Odissea.

Il singolo “La mia Luna” è l’ultima traccia dell’album e va a chiudere anche un cerchio iniziato con “A due passi dal cielo”. Le due canzoni, diverse per tema, sono accomunate dai riferimenti astronomici nei titoli. La scelta di aprire e chiudere il disco con questi brani vuol sottolineare il senso universale delle storie raccontate oppure la loro complementarietà è stata puramente casuale?
La complementarietà di cui parli, l’universalità e la circolarità che citi, non sono che il risultato, il frutto del lavoro nel suo insieme e sono molto felice che tu abbia usato questi termini. Apprezzo tantissimo questa tua lettura. Vuol dire che funziona. In “A due passi dal cielo” mi pongo una questione: è corretto contraddire tutto quanto dichiarato antecedentemente, nel corso della propria carriera, nel nome del proprio tornaconto contingente? Ne “La mia Luna” è come se dichiarassi che il bello è proprio lo stare fermi, coerenti ad aspettare, senza giudicare, perché il mondo si trasforma e il bello è stare ad assistere, fare parte della trasformazione generale come attori.

Sappiamo che questo disco è ispirato a un romanzo inedito scritto da tuo padre e intitolato “Acini d’uva”. Puoi dirci qualcosa di più a riguardo?
Quando mio padre è mancato, io, mio fratello e mia madre abbiamo ristampato le sue poesie, una raccolta intitolata “Schegge”. Un altro disco di cover che avrei dovuto pubblicare in coppia con “Acini” si intitolava “Atomi”. Mi piace parcellizzare, per poi unire i puntini. Mio papà era un chimico, uno che voleva conoscere le molecole per poterle controllare e osservare, come i pensieri, ma è rimasto vittima sia delle reazioni delle molecole, che dei suoi pensieri. Io ho voluto riaprire lo sguardo di casa, spalancando le finestre al possibile e lasciando libero accesso alla musica, che ha cambiato me e chi seguirà. Il mio bisnonno era un panettiere.

Com’è nata la collaborazione con Gabriele Ottino e Paolo Bertino di Sans Film?
Ci sono due ragioni per cui devo ancora ringraziare Francesco Carlucci per il suo aiuto e Fleisch Agency, nella persona di Nora Bentivoglio, per la mano che mi danno da anni nel seguire i miei miei progetti, e vorrei cogliere l’occasione per farlo qui ufficialmente. Una è la collaborazione con Paolo e Gabriele, che Francesco ha coadiuvato, parlandomene e mostrandomi alcuni lavori di Sans Film - quando ho visto il video di Andrea Laszlo De Simone, ho deciso di lavorare con loro - e l’altra è l‘avermi ricordato di dover mettere a terra la collaborazione con Alberto Turra, pendente da anni, chitarrista col quale ormai condivido il palco da mesi.

Come la tua musica, anche i videoclip girati per i tuoi brani sono spesso sperimentali e alla ricerca di nuove soluzioni creative. Segui con interesse il mondo del cinema? Quali sono i tuoi registi o i tuoi generi preferiti?
Amo il cinema ma non sono un cinefilo. Attualmente riesco a leggere, più che andare al cinema, ma è di sicuro la forma d’arte che trovo più completa, perché in grado di contenere e dialogare con tutte le altre. Vorrei avere più ore al giorno perché il tempo è diventato tiranno a quasi quarantacinque anni e con la vita che conduco. Cito quattro cose però che mi hanno letteralmente impressionato in questi ultimi mesi: la serie “Taboo” di e con Thomas Hardy, il libro “Essere una macchina” di Mark O’Connell, “Finale di partita” di S.Beckett con Glauco Mauri visto al Piccolo Teatro di Milano e il nuovo disco di Marianne Faithfull o Elza Soares. Amo emozionarmi e pensare a chi me lo permette.

Volevo dedicare qualche parola alla copertina di “Acini”. Nel disegno c’è il mare, il vento, alcuni edifici storici, vulcani in eruzione… E tutti insieme in realtà compongono il tuo profilo. L’artwork è di Alessandro Adelio Rossi, qual è il concept da cui è nato?
Alessandro disegnava queste “isole metafisiche”. Così le ho chiamate, una volta incrociate con gli occhi, le sue montagne rocciose colorate. Gli ho chiesto di provare a depositarle sulla copertina di “Acini”, immaginando poi come farle scaturire nel mio viso, nel mio profilo, la barba, i capelli. Mi interessava impressionare, con un tratto pittorico/grafico contemporaneo, il mondo interiore ed è andata come vedi. Il giallo dello sfondo del CD è una mia richiesta, il bianco del LP, la scelta di classe superiore di Alessandro.

Spesso nei tuoi testi ti soffermi sulla figura paterna o su quella del figlio e sul loro rapporto. Proiettando questo discorso in campo musicale, che rapporto hai con gli artisti della nuova generazione e quali sono quelli che segui con maggior interesse?
Se per nuova generazione intendi, in Italia, la Trap o l’hip hop o il nuovo cantautorato, non ho alcun rapporto con loro. Ci ho provato ma non mi ritrovo, amo troppo altre cose. Altri suoni delle chitarre e voci diverse, un certo modo di cantare e arrangiare e non riesco ad adattarmi a quello che sento. A parte Riccardo Sinigallia che trovo davvero bravo nel giocare coi suoni. Tendenzialmente ormai, sono i miei coetanei, gli artisti contemporanei che ascolto e questo mi rende felice. A parte i più anziani, quelli che considero i veri Maestri, noi ci stiamo tutti provando a sopravvivere e diventare grandi ma il mondo sembra non avere troppo bisogno di noi purtroppo, neanche dei migliori. Si accontentano quasi tutti della mediocrità della massa, mi spiace dirlo. Mi fa un male pazzesco assistere a questa caduta senza fine. Però non dispero, proprio perché esiste una comunità di fratelli e compagni bravissimi, spero che prima o poi qualcosa possa tornare in auge, anche fosse soltanto per una questione ciclica. Hai ascoltato l’ultimo disco di Daniel Blumberg o Ryley Walker? Ecco, nel mondo “altro” mi hanno colpito Chino Amobi, Jpegmafia, Sons of Kemet, Tyondai Braxton, Vessel, Clipping, è pieno di gente in gamba!

Il tuo lungo percorso musicale è stato sempre un cammino a tappe in continua evoluzione e con la costante voglia di continuare a camminare per vedere fin dove si può arrivare. Quali sono quindi le tue prossime tappe e le idee per il futuro?
Un disco, tra non troppo tempo, che metta a terra quello su cui sto già lavorando. Nuovi suoni, nuove chitarre nello specifico, nuova vocalità. Qualche tuffo nel passato per uscirne con qualche idea nuova, ma non posso fare nomi.

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L'articolo Video première: Paolo Saporiti racconta "La mia Luna" di Doriana Tozzi è apparso su Rockit.it il 2018-12-12 08:54:00

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