The Juniper Band - e-mail, 17-02-2003

Ecco a voi il dialogo telematico avvenuto con The Juniper Band qualche tempo dopo l’uscita di “Secrets of summer” su etichetta Suiteside. L’occasione è buona per conoscere Francesco ed Alessandro, i due portavoce dell’intera band...



Un nuovo album, per Suiteside, e una (speriamo enorme) manciata di concerti. Come sta la Juniper Band in questo periodo?
(Francesco) Stiamo molto bene, forse un poco stanchi perchè “Secrets...” è stato un lavoro molto impegnativo; inoltre da 2 anni a questa parte non ci siamo mai fermati, continuiamo a provare ed a suonare in giro il più possibile... lato positivo: abbiamo già una bella manciata di brani nuovi.

Siamo anche molto felici del ritorno di Alessandro, l’unico apporto - ma fondamentale - che a mio parere mancava per essere una ‘vera’ band, e che per vari motivi, personali e prettamente musicali, solo lui poteva darci.

Secrets of summer” è il vostro primo lavoro - come si dice - sulla lunga distanza. Come è nato e come si è sviluppato?
(Francesco) Dopo l’uscita di “Of debris...” abbiamo cominciato subito a comporre le canzoni di “Secrets...” e devo dire che sono venute con naturalezza, fra improvvisazioni ed idee portate dai singoli. Alessandro ha fatto il suo ingresso nella band poco dopo l’uscita dell’ ep, quindi alcuni brani sono stati riarrangiati, mentre altri, la maggior parte, sono nati assieme alle tastiere. Quando siamo entrati in studio il disco era già pronto al 90%. Un po’ di rifiniture e l’aiuto di David hanno ultimato il tutto. Detta così può sembrare più semplice di quanto sia stata, ma “Secrets...” non è un album facile, e non è stato facile renderlo come volevamo. Alla fine però siamo rimasti molto soddisfatti del nostro lavoro e di quello di David, forse (per quel che mi riguarda) più di quanto mi aspettassi...

La vostra è musica rock: Neil Young, Motorpsycho - solo per citarne due - sembrano vostri artisti di riferimento. Da che background nascono i pezzi e verso che direzione cercate di portarli?
(Francesco) Mi fa molto piacere che tJB sia descritta come una rock band: è un sogno che si avvera. Ho sempre voluto suonare in un gruppo veramente rock, e direi che ormai ci siamo.

Per quel che mi riguarda amo la musica americana, da Johnny Cash fino ad oggi, anche se il folk, il rock e la psych del periodo 60/70 non hanno eguali. All’interno della band abbiamo ascolti musicali abbastanza variegati, cerchiamo di mettere tutto insieme e lasciare che ciascuno interpreti i brani come vuole in base al proprio stile, il più delle volte lasciando che la canzone stessa decida dove portarci.

Diciamo che a livello compositivo siamo tutti molto liberi: ognuno porta le proprie idee, i propri testi, e poi ci si lavora sopra. In teoria potremmo suonare qualunque cosa, anche una polka: ormai la band ha un suo stile, e credo sia abbastanza riconoscibile.

Nei vostri pezzi vi alternate alla voce. Tu (Francesco, chitarra) e Gianluca (basso) infatti vi scambiate il microfono e le parti cantate dei pezzi. Secondo quale ‘criterio’ scegliete il cantante?
(Francesco) Ci sono canzoni che nascono a casa, con la chitarra e la voce o magari soltanto con un testo da proporre: in quel caso chi porta la canzone di solito è anche destinato a cantarla. Quando improvvisiamo il discorso è diverso: mi posso mettere io al microfono oppure Gianluca, ma è un qualcosa di casuale... chi viene illuminato da una buona idea si mette a provarla sull’improvvisazione, si registra e si sente se può essere buona o meno. Non seguiamo criteri in questo senso.

Parlate di qualche cosa in particolare nei pezzi? Se vi piace raccontare, che cosa vi piace raccontare?
(Francesco) I testi sono un po’ una sorta di terapia personale, sfogare se stessi nelle parole. Credo di parlare anche per Gianluca quando dico che le nostre parole sono di solito indirizzate forse più a noi stessi che all’esterno: è tutto quello che ci accade intorno e quello che viviamo, cosa ci colpisce, cosa ci fa star male e cosa ci rende euforici e storie vissute anche da persone vicine a noi. In questo senso credo che molto di ciò che è scritto possa essere anche capito o rivissuto da chi ascolta, perchè in fondo i testi parlano di condizioni umane in cui ci si può ritrovare...

(Alessandro) alle tastiere sembra avere assunto un ruolo molto importante nell’economia musicale del gruppo. Come è maturata la decisione di proseguire e consolidare il vostro rapporto?
(Alessandro) Una persona come me, che fatica a credere nelle proprie capacità, facilmente si abbatte quando le cose non vanno bene o non ingranano. Dopo anni come chitarrista nel gruppo - che agli inizi aveva nome Code:Selfish - nel ‘99 ho deciso di lasciare un po’ perdere la musica perché la band rimaneva chiusa nel suo guscio, gli stimoli scarseggiavano e mi capitava spesso di andare in sala prove senza voglia, e credo che sia stato giusto per me staccare un po’. Successivamente ho sempre rifiutato i frequenti inviti a rientrare in ballo, anche se mi faceva molto piacere sentire che gli altri desiderassero il mio ritorno... pensavo di dover prima di tutto ritrovare la voglia di suonare in generale. Poi mi é rinata un po’ di convinzione grazie a nuove richieste di rientrare con la tastiera, e anche il pensiero di provare a cogliere quest’occasione, visto che il gruppo, già un po’ lanciato, mi avrebbe permesso di suonare dal vivo e registrare in studio. Se avesse funzionato, insomma, avrei fatto qualcosa di molto gratificante in un tempo abbastanza breve! Alla fine, non senza sforzi, le cose sono andate bene, e direi che la scelta é stata giusta.

David Lenci e RedHouse Studios, Thali Zedek in “Lights from a bar”: rapporti che si consolidano e collaborazioni che nascono. Che ci dite a riguardo?
(Francesco) Con David siamo già al secondo lavoro: il primo era andato bene nonostante il poco tempo a disposizione, stavolta abbiamo avuto tutto il tempo che volevamo e siamo molto soddisfatti... David è un amico, capisce la nostra musica e ci aiutato a renderla ancora più efficace. É stato il fonico giusto per “Secrets...”
Con Thalia Zedek, invece, si è sviluppato un rapporto di amicizia durante questo ultimo anno e ci siamo incontrati ogni volta che è venuta qui in Italia. Le abbiamo fatto sentire il provino di “Lights...” e lei ha accettato di interpretarla per noi. Ci ha raggiunti in studio, ha inciso la sua parte di voce, ed è rimasta con noi qualche giorno. Thalia è una bellissima persona, molto gentile e disponibile, abbiamo avuto l’occasione di conoscerci meglio e di condividere molte cose... mi piacerebbe continuare ad averla come ospite, oltre al fatto che la consideriamo una grande artista, proprio per questi motivi.

Avete un vostro, personale concetto di musica? Se doveste darne una definizione, potreste collocarla più vicina al concetto di sacro o al concetto di divertente?
(Alessandro) Non penso che si debba considerare la propria musica troppo sacra. Si fa musica per sé e per gli altri, ma la soddisfazione per sé è alimentata anche da quanto gli altri la potranno apprezzare, e se diventa qualcosa di troppo intimo o troppo criptico perde di comunicativa. All’estremo contrario diventa troppo entertainment di uso facile e superficiale. A me pare che in questo noi siamo abbastanza equilibrati.

Mi piacciono molto alcune vostre cose esclusivamente strumentali. Non avete mai pensato di dare alla vostra musica una dimensione più estrema o, più semplicemente, più strumentale?
(Alessandro) Le radici musicali del gruppo complessivamente causano la nascita di brani spesso abbastanza lunghi, dove le parti strumentali si allargano e dilatano gli spazi tra le parole. Ma credo che siamo in fondo ancora tutti legati ad una forma di canzone, che spero risulti sempre abbastanza personale, non troppo classica, ma non estrema. Comunque il fatto che due di noi su cinque ci mettono le loro idee e creazioni in forma di testi e cantato aumenta le probabilità che si continui su questa strada.

Con l’estero come la mettiamo? Avete possibilità o prospettive in tale senso?
(Alessandro) Cominciamo ad avere buone recensioni anche all’estero, abbiamo un ufficio stampa a Londra e si prospetta la possibilità che “Secrets of summer” sia distribuito anche in UK. Tutto questo ci fa sperare di poter suonare anche in giro per l’Europa, credo che sarebbe una grande soddisfazione per tutti noi.

Buona fortuna, Juniper Band, in qualunque cosa accada. Lasciateci con il vostro sogno, un sigillo a questa modesta intervista.
(Alessandro) Resto in tema ‘live’: avere sempre più possibilità di fare sentire la propria musica dal vivo sarebbe molto bello, e anche molto benefico per evolvere il nostro modo di stare sul palco e di rendere i pezzi ogni volta più vicino a come li abbiamo in mente, o anche a come li sentiamo in quel momento. La mia idea di musicista è molto basata sul fare ascoltare al pubblico la tua musica direttamente dalle tue mani... fare un disco è una gran cosa, e ovviamente spero che ci sia il prossimo e che sia un ulteriore passo avanti, ma se dovessi scegliere paradossalmente tra fare solo dischi e fare solo concerti non avrei dubbi.

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L'articolo The Juniper Band - e-mail, 17-02-2003 di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2003-03-07 00:00:00

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