Sparkle in Grey - Mail, 26-05-2008

(Gli Sparle in Grey al completo - Foto di Gaia Margutti)

Gli Sparkle in Grey sono uno dei gruppi più interessanti emersi ultimamente dal sottobosco della musica sperimentale italiana. Il loro "A Quiet Place" è un concentrato di post-rock, glitch, ambient e molto altro ancora. Davvero un ottimo disco. Marcello Consonni li ha intervistati in occasione della loro partecipazione al prossimo TagoFest (4-5-6 luglio a Massa, Rockit ne è media partner).



Cominciamo con una classica presentazione, come nasce il gruppo e qual è stato il suo percorso fino all'attuale formazione?

Matteo: Il nome Sparkle in Grey nasce attorno al 2001, come mio progetto solista a base di sola elettronica e field recordings. Con questa sigla è uscito un disco ufficiale nel 2003, "The Echoes of Thiiings", su Afe. Però in realtà suonavo assieme a Cris in un gruppo di nome Norm già da parecchi anni, quindi forse è lì che sono le radici degli Sparkle in Grey. Alberto suonava negli Yakudoshi e giocava a calcetto con me e Cris; inspiegabilmente apprezzava i dischi dei Norm (accozzaglie di un misto tra new wave e filastrocche alla Residents con ogni genere di strumento suonato impropriamente) e quindi un giorno, nella primavera del 2006, mi ha chiesto di fare qualcosa assieme e così abbiamo iniziato. L'inserimento di Franz invece è stato leggermente più tardo, nel 2007, nonché più rocambolesco, perché lui suona da anni nei Pulp-Ito da poco avevano perso (nuovamente) il bassista, così stava cercando di convincere Alberto ad unirsi a loro. Inspiegabilmente è successo il contrario, ossia Alberto è rimasto con noi e ci siamo presi pure Franz, che con i Pulp-Ito suona il violino.

Quindi diciamo che il gruppo è un po’ una tua creazione?

M: Assolutamente no, solo il nome lo è. Peraltro l'occasione di suonare per la prima volta assieme l'ha creata Alberto, cui era stato chiesto di suonare a settembre 2006 con gli Yakudoshi al Boccaccio di Monza. Il gruppo non era disponibile così lui ha chiesto a me se potevamo fare qualcosa assieme come duo chitarra/basso e laptop. Ho accettato e poi ho tirato dentro Cris perché tra tutte le persone con cui avevo suonato fino a quel momento era senza dubbio il più motivato e adatto a tentare l'esperienza dal vivo.

Franz: Io volevo cogliere un margheritone negli Sparkle in Grey, Alberto, e piantarlo nel giardino psichedelico e ben arato del mio gruppo, i Pulp-ito, che avevano bisogno di un bassista. Poi invece ho sentito subito che i tre erano sì malinconici, ma non così malinconici come avrebbero meritato. Allora ho portato il mio bagaglio di temi di violino strappamutande e una piacevole ventata di pessimismo.

Cris: io ero oramai tappato in casa da un bel po’ e soltanto una proposta cosi inaspettata poteva farmi uscire.

Come funziona per la costruzione dei pezzi, lavorate molto sull'improvvisazione o che altro?

Alberto: Se per improvvisazione intendi suonare "quel che passa per la mente" allora sì, l’improvvisazione è il punto di partenza, il mezzo di cui ci serviamo per generare un'idea. Non è mai capitato che uno di noi arrivasse in sala prove dicendo: “ho questo pezzo da farvi sentire”. Per i brani contenuti in “A Quiet Place” poi c’è stata una continua rielaborazione, sempre comunque all’insegna della condivisione, a volte di successive improvvisazioni quando sentivamo di dover rimettere tutto in discussione.

M: Il nostro metodo è trovarci il giovedì sera in un posto che si chiama Silos e che è una sorta di fabbrica abbandonata adibita saletta prove. In quel momento della settimana siamo stanchi e depressi, io costruisco una base elettronica gelida e gli altri si sfogano su di essa in improvvisazioni circolari ossessive.

Il vostro ultimo album "A Quiet Place” è molto bello… pezzi ispirati… suoni ben registrati… parlateci un po’ di come sono nati i pezzi contenuti in questo disco.

M: Beh, innanzitutto grazie. Alcuni pezzi ci sono riusciti molto rapidamente, come “Limpronta” o “Goose Game”, nate tra me ed Alberto ai tempi in cui si preparava il primo live. Per altri invece siamo passati attraverso innumerevoli versioni, come per “A Quiet Place” e ”Pim in Delay”, entrambe nate da delle session tra me e Cris a casa mia e poi stravolte tutti assieme in saletta. Il caso più strano è quello di “Teacher Song”, fatta in occasione di un concerto che abbiamo tenuto per i bimbi di un asilo... Il tutto è stato poi registrato da Giuseppe Ielasi, in modo davvero perfetto per noi, senza alcun arrangiamento aggiuntivo.

A: La nascita di un brano è forse il momento meno decisivo per la sua sorte. In alcuni casi siamo rimasti subito soddisfatti di quello che il caso e l’istinto ci hanno riservato, in altri invece eravamo solo affezionati all’idea iniziale, e con quell’affetto abbiamo cominciato a picchiare la testa l’una contro l’altra, a prendere le nostre idee e sbatterle sulla pietra fino a devastarne l’anima.

Ho visto che avete collaborato anche con una gloria dell'industrial italiano come Maurizio Bianchi. Come è nata questa amicizia?

M: L’ho conosciuto tramite Klaus Joachim (in arte Telepherique), anche lui tra i remixer del primo SiG (farsi remixare è davvero ottimo per i rapporti tra musicisti!). Ad ogni modo, Andrea Marutti di Afe Records aveva deciso di pubblicare un disco appunto di MB e Telepherique, ed aveva chiesto a me di farne le grafiche. A seguito di vari scambi di mail è nata tra me e Maurizio una certa amicizia, al punto che un giorno mi ha chiesto di collaborare anche musicalmente. Ne ero felicissimo, e ne sono nati due dischi, “Nefelodhis” appunto, ed “Erimos”, con anche Luca Bergero/Fhievel, un altro esponente del giro sperimentale.

A: Per me non credo si possa parlare di amicizia, Maurizio Bianchi era e rimane una figura misteriosa che ho conosciuto solo attraverso i suoi spunti e la sua umiltà nel concedere a quattro sconosciuti la libertà d’interpretare un suo disegno. Un’esperienza del tutto inedita che ho affrontato con timore e curiosità. In quest’ottica il risultato è stato davvero sorprendente.

C: Si respirava un’aria di libertà ed intelligenza ascoltando le basi di Maurizio Bianchi; è stato facile adeguarsi ed assecondare quelle atmosfere.

Domandone da mille: come trovate lo stato attuale della mobile scena indipendente italiana (in particolare quella noise del nord Italia)?

M: Io sono molto affezionato alla scena noise/sperimentale Italiana, molti dei miei più cari e folli amici ne fanno parte, ed io stesso ho iniziato dal rumore. Ci sono tante realtà, neppure troppo piccole, che per me sono eccezionali, come Afe, Ebria, Eibon, MCL o Palustre, cinque etichette cui qui voglio fare esplicita e vergognosa pubblicità, e poi artisti con cui collaboriamo in varia maniera, dagli ormai famosi OvO agli Harshcore o le inossidabili glorie, Tasaday ed MB... Tempo fa, per cercare di fare un po’ il punto, è stata anche assemblata una compilation in free download che racchiudeva molti degli artisti di questa estrazione, provenienti da tutta Italia (Per info: qui il link, Ndr)
F: Non conosco molto bene la scena noise del nord italia, ma, giusto perché è bello generalizzare, trovo che sia tutto un parlarsi addosso, e giocare a non ascoltarsi per evitare di scoprire che in fondo si fa tutti abbastanza schifo. Se suonano gli Einsturzende Neubauten, corro a vederli. Se suona un gruppo di musicisti che vivono nel raggio di 20 chilometri da dove abito non vado a vederli. La stupidità alberga nel mio cervello, a mezza pensione, ma qualche volta si ferma anche a cena.

A: Mi sforzo di pensare ad una “scena indipendente” ma non riesco ad associarla a nessuna identità specifica. L’universo della musica “sperimentale” è invece da sempre dedito ad una serena lotta per la sopravvivenza e questo se da un lato può portare fenomeni di arroccamento e chiusura parallelamente lo rende immune da tentazioni verso questo o quel trend.

Anche io trovo che le etichette che hai citato, più qualche altra, stanno facendo girare, con molta passione, parecchio materiale fuori dagli schemi che va dall’originale all’inascoltabile. Invece per il live come funziona, vi piace suonare in giro, trovare gente ai concerti?

A: Cinicamente dico che i concerti sono fondamentali per farsi conoscere e sperare di vendere qualche disco, finora le esperienze sono state molto diverse, alcune incoraggianti altre meno, tutte comunque utili per darci un’idea della potenzialità della nostra musica e dei nostri limiti nel proporla.

M: A me piace molto suonare dal vivo, ma dipende molto dai contesti. Ci siamo trovati in situazioni assurde, a volte divertenti, altre al limite dell’umiliante, con gente che minacciava di menarci perché la musica non era di loro gradimento. Adesso cerchiamo di selezionare meglio i contesti. Abbiamo selezionato così tanto che quasi non suoniamo più, quindi ora siamo di nuovo pronti per gli oratori e gli asili.

Sempre dall'ascolto di "A Quiet Place" mi vengono in mente ricordi dei Tuxedomoon, dei Neu… che altre band amate e ascoltate?

M: Di noi quattro credo di essere l'unico fan dei Tuxedomoon, e la cosa è buffa perché ci accostano a loro per l'uso del violino, ma il nostro violinista preferisce di certo Trent Reznor a Blaine Reininger. Senza dubbio con i Tuxedomoon condividiamo a una certa sfiga: se leggi la loro biografia ti tocchi le palle, ed anche per quello li adoro.

I Neu li ho scoperti da pochi anni, ma non pensavo potesse esserci qualcosa in comune con krautrock o simili... La cosa curiosa di Sparkle in Grey è che in ogni commento o recensione ci accostano a generi e gruppi diversi, e ciò per noi è fantastico, perché significa che siamo difficilmente etichettabili. Si è andati dai Durutti Column ai Tortoise, passando perfino per This Heat, Rachel's e Morricone!

F: Mio padre mi faceva ascoltare Neil Young, Bob Dylan, Alice Cooper e i Pink Floyd. Penso di non aver mai provato mai niente di così emozionante di come quando ha messo su per la prima volta il lato A di “Atom Hearth Mother”. Adesso ascolto cose un po’ meno melodiche e pompose, ma mi accorgo che sono molto affascinato dalle composizioni in cui l’istinto del musicista e della musica stessa riesce a devastare il concept iniziale, la storia che si vuole raccontare. Amo la musica a programma che fallisce il suo proposito iniziale, da Debussy ai Bluvertigo.

A: Ultimamente sono rimasto sorpreso da alcuni artisti francesi che hanno saputo fondere divinamente le proprie radici con una spiccata inclinazione per la ricerca: Pascal Comelade, Colleen, My Jazzy Child, Man. Per me sono un esempio di ideale accostamento alla musica. Per lo stesso motivo credo che il miglior gruppo italiano in assoluto siano i Tasaday.

“Half Mute” dei Tuxedomoon è un disco che mi lascia senza parole, pieno di emozioni. Quello che posso aggiungere io e che secondo me vi accostano a generi e gruppi diversi perché avete fatto un gran bel disco, molto curato, poi sicuramente le sonorità dei Tortoise sono un’influenza capitale per moltissimi, e da quello che sento soprattutto qua in Italia. Tornando a voi, é appena uscito il disco: progetti futuri, concerti in programma, festival?

M: Siamo fieri di suonare al Festival della Palude a fine giugno, organizzato dagli amici di Palustre records, e poi al classico TagoFest. Per il resto è dura trovare spazi se non hai una promo agency alle spalle. Ma ci proviamo indomiti. Se ce l'hanno fatta i Tuxedomoon...

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L'articolo Sparkle in Grey - Mail, 26-05-2008 di marcello consonni è apparso su Rockit.it il 2008-07-01 00:00:00

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