Massimo Volume - via skype, 11-07-2008

(I Massimo Volume - Foto d'archivio)

Tornano. Al gran completo. L'occasione è quella del Traffic Festival di Torino (sabato 12 luglio, insieme a loro Afterhours e Patti Smith). I Massimo Volume si rifanno sotto sei anni dopo lo scioglimento e dopo un bel po’ di dischi da amare e rimpianti da sospirare per chi negli anni Novanta aveva vissuto l’epopea di questo gruppo che masticava rock ansiogeno e narrava testi di spessore letterario non comune. Emidio Clementi, voce e basso della band, racconta il dietro le quinte di questo inaspettato ritorno, tra nostalgie per ciò che era e nebulosi progetti per il futuro. L'intervista di Manfredi Lamartina. Il live report di Sandro Giorello.



Perché tornano i Massimo Volume?
La proposta che ci ha fatto il Traffic per il concerto di sabato 12 luglio ci è sembrata bella perché da una parte c’è l’esibizione diciamo celebrativa della nostra storia, dall’altro c’è stata la rimusicazione di “Chûte de la maison Usher” (film del 1928 diretto da Jean Epstein, NdR) che ci ha permesso di mettere in scena del materiale nuovo. Questo pacchetto, insomma, ci è piaciuto molto, e ci ha dato gli stimoli giusti per presentarci live. Tra l’altro, la proposta è arrivata al momento giusto perché avevamo voglia di riprendere in mano gli strumenti.

Chi partecipa a questa reunion?
Il nucleo storico, cioè io, Vittoria Burattini alla batteria ed Egle Sommacal alla chitarra. Per l’occasione saremo accompagnati da Stefano Pilia, un ottimo chitarrista che viene dal mondo dell’elettroacustica.

In questi casi il rischio è che il concerto si trasformi in un elogio della nostalgia canaglia dei bei tempi che furono. Cosa fanno i Massimo Volume per smarcarsi da una situazione simile?
Sai, il rischio c’è però noi in fondo ci andiamo incontro volentieri. È vero che i Massimo Volume hanno parlato alla mia generazione, quella dei quarantenni di oggi, però devo dirti che in questi anni ho incontrato tanti ragazzi di venti o venticinque anni con questo cruccio di non aver mai visto i Massimo Volume dal vivo, anche se hanno amato i nostri dischi. Quindi tornare a suonare dal vivo mi sembrava anche un’occasione per loro. Magari poi facciamo un concerto terrificante, da dimenticare, però non mi spaventa il fatto che sia celebrativo. Tra l’altro, noi ci siamo sciolti nel 2002, può essere vissuta come una lunghissima pausa però non è un lasso di tempo esagerato.

Che tipo di atmosfera si respira in questi giorni in casa Massimo Volume?
Stiamo provando belle sensazioni, al di là di un primo momento di spiazzamento, perché devo ammettere che non è stato semplicissimo tornare su pezzi che un tempo facevamo a occhi chiusi. Tra l’altro, i pezzi mi sono sembrati anche piuttosto attuali, in questo tritatutto che è diventata la musica di oggi. Però non generalizzerei troppo, anche perché torno a dirti che tanti ventenni hanno ascoltato i Massimo Volume. In fondo, penso che nonostante oggi l’ascoltatore medio sia molto veloce nella fruizione della musica ci siano ancora persone che si soffermano sulla sostanza delle cose. Magari non tantissime, come d’altronde non siano mai state tante le persone che ci hanno seguito. Però ci sono.

Questo senso di attualità in effetti si sente in molti brani dei Massimo Volume. Secondo te le canzoni che hai scritto possono parlare dell’oggi? Ti interessa descrivere il tempo che ti circonda?
Credo che le canzoni parlino dell’oggi perché abbiamo trattato poco la politica, la cronaca o la stretta attualità, che poi sono gli argomenti che avvizziscono prima. Quindi io spero che conservino una certa universalità che vada al di là dello scorrere del tempo. Poi tutto ha un limite, magari sei anni è un arco temporale troppo breve per capire se questi pezzi reggeranno ancora in futuro. Io comunque da ascoltatore torno volentieri su dischi di Dylan degli anni Sessanta che ancora mi parlano e mi commuovono, quindi credo che ci sia spazio per qualcosa che non si deteriori nel giro di una stagione.

Che cosa resta allora di ciò che è stato lasciato dai Massimo Volume?
Se penso ai primi dischi credo che ci sia un senso di disagio in cui possono rispecchiarsi molti giovani. Degli ultimi album, che erano più posati, resta forse la poetica, se restiamo in ambito letterario. Poi dal punto di vista musicale credo che l’uso delle chitarre o anche la batteria di Vittoria siano molto attuali. I ritmi hanno qualcosa di post rock, anche se quando abbiamo iniziato a suonare non ascoltavamo ancora quel genere, perché siamo usciti più o meno in contemporanea. Però mi sembra uno stile che possa ancora reggere il passo con i tempi.

Parlando dei testi, l’impressione è che le band più giovani non siano riuscite a metabolizzare quell’uso ricercato della lingua italiana nel rock che probabilmente è stata la vera eredità della seconda metà degli anni Novanta. Che ne pensi?
Io ammiro molto i testi di Bugo, anche se facciamo cose diverse. Poi ovviamente ti dico Manuel Agnelli, ma anche se sono attuali stiamo comunque parlando della mia generazione. Piuttosto, magari è un mio limite però non mi convince tanto la moda del cantato in inglese. Credo che dicendo questo si apre una discussione che non finirà mai.

Apriamola.
È vero che io accetto senza problemi il fatto che i dEUS cantino in inglese pur proveniendo dal Belgio, se lo fa però un gruppo italiano… Non è che io lo critichi ideologicamente, però mi rendo conto che molti di loro suonano bene però gli manca qualcosa perché i testi mi scivolano addosso senza lasciare tracce particolari.

Stai dicendo che l’inglese è poco più di un escamotage per risolvere il problema del contenuto lirico di un brano?
No, non necessariamente. Non escludo il fatto che i loro testi possano essere molto belli, però non mi ci soffermo più di tanto. Questo mi dispiace, il fatto è che preferisco chi canta in italiano. Trovo che un disco di Marco Parente, degli Afterhours o di Bugo possa comunicarmi molto di più. Poi è anche vero che c’è un discorso sulla lingua che va conservata e stimolata.

La cosa curiosa è che continui a citare persone che in un modo o nell’altro ruotano intorno alla tua stessa orbita.
Devo darti ragione. Diciamo che ora non sto seguendo molto la scena musicale attuale, e quindi magari mi mancano un po’ di appigli su quanto sta succedendo. Bugo però è più giovane di me, dai (ride, NdA).

È vero.
E comunque anche il disco dei Teatro Degli Orrori, che è in italiano, mi è piaciuto molto. In effetti, pure loro sono vecchi, ora che ci penso. Però è vero che non c’è stata una scena che ha spazzato via quella precedente come è successo in altri momenti storici.

Ma gli Offlaga Disco Pax ti piacciono?
Sì, mi piacciono. I dischi loro in realtà non li conosco però li ho visti dal vivo e li ho trovati abbastanza potenti. Poi credo che le affinità siano più nello stile anche se ci sono poi molte divergenze sia musicalmente, perché loro sono più elettronici, che a livello di testi, che si riallacciano a quel filone da socialismo emiliano che va dai Cccp ai C.S.I e che arriva a loro. La nostra era una poetica più rarefatta, intimista, anche se la parola intimista mi fa abbastanza orrore.

In Italia sembra che ci sia qualche problema in ambito indipendente nel fare progetti a lunga scadenza. È una cosa che può creare delle difficoltà per una crescita musicale globale. Il caso della Mescal è esemplare in tal senso. Come uscire da questa situazione?
La questione è complessa e mi sembra che non riguardi solo la musica ma anche il mondo letterario, dove non si coltivano gli autori ma si cerca di spremerli in quei due o tre anni in cui funzionano. Lo stesso, in fondo, avviene anche nel calcio: ormai le squadre vengono costruite anno per anno e vengono smantellate alla fine della stagione, tanto che il sistema sta crollando e si va avanti per prestiti. Il punto focale per quanto riguarda la musica è che non esce mai da un ambito che rimane comunque hobbystico, perché non ci guadagni uno stipendio che ti riesce a mantenere. E nel momento in cui hai una famiglia diventa molto difficile. Specialmente in un periodo di spiazzamento generale che vede finito il vecchio mondo discografico e non si capisce dove sta andando quello nuovo.

Il modello-Radiohead (vendita fai da te dei propri brani) può essere una risposta valida? O si tratta di un progetto dalle scarse prospettive economiche per un gruppo indie?
Non lo so. Internet pare essere la strada e potrebbe rappresentare un ritorno agli albori della musica, quando non si ragionava in termini di long playing ma di pezzi singoli da mettere sul mercato di volta in volta senza una veste grafica. Ne ho parlato con gente più giovane di me ma non ho avuto risposte chiare. Starò ad aspettare in attesa di quello che verrà.

Una decina di anni fa dicevi “Io non ho speranza, ma credo nella cura”. Oggi è ancora così?
(attimo di pausa, NdA) Oggi potrei dirlo ancora. Sicuramente non ho speranza ma forse credo nelle cose che accadono, nelle cose che faccio. Credo anche nell’esistenza, nella sua bellezza, nelle sue contraddizioni. Forse oggi ho accettato di più la realtà, la vita.

Sei più pacificato?
Sì, anche se alla fine non si è mai pacificati del tutto.

Ci lasci invece una speranza? Arriverà un nuovo disco?
Stiamo valutando. In questi giorni ci siamo trovati molto bene insieme sia umanamente che in studio, e allora non ti dico che questo pensiero non è passato attraverso le nostre menti. Però vogliamo viverci adesso questo momento per quello che è, per poi andare in vacanza e al ritorno vedere cosa succede. Lavorare a progetti nuovi come quello della rimusicazione di “Casa Usher”, che secondo me è venuto molto bene, ci ha dato speranza che ci sia ancora spazio di manovra per i Massimo Volume di fare un lavoro che possa essere bello. Tra l’altro non so che tipo di direzione potrebbe prendere un nostro lavoro oggi, di sicuro non vorrei ripetere pedissequamente quello che abbiamo già fatto, pur mantenendo il nostro stile perché noi sappiamo suonare in quel modo, da musicisti autodidatti.

MASSIMO VOLUME - live al Traffic Festival
(di Sandro Giorello)

(Emidio Clementi - Foto di Alex Astegiano)

Mixo arriva sul palco e per presentarli dice: “Una realtà della musica italiana”, nonostante la bruttezza della frase nessuno reagisce; l’importante è che se ne vada in fretta. Siamo parecchi per essere le otto di sera: tantissime facce – molte conosciute, è una specie di appuntamento obbligato, sapevamo da tempo che ci saremmo rivisti tutti qui – hanno negli occhi la stessa sicurezza mista ad emozione. Emidio Clementi sembra lo stesso di sempre. Solo un mese fa, al MI AMI, mi era parso stanco e in sovrappeso, al Traffic di Torino invece è longilineo e fottutamente magnetico. Partono con “Atto Definitivo”. Sono lenti, quasi dub, inizia a caricarsi una tensione che si sfoga quando viene urlato in coro: “potrei consumare ora la cena, la cena che domani sera mi spetterebbe di diritto”. Egle Sommacal è preciso e delicato. Vittoria Burattini riesce ad essere percussiva nonostante sfiori appena i tamburi. Entrambi procedono costanti rilasciando un senso ipnotico alla canzone. A fine pezzo Clementi è inquadrato sorridente nel maxischermo. Fanno “Il Primo Dio” e tra il pubblico inizio a contare i primi con gli occhi lucidi. Dopo “Seychelles '81” – leggermente meno aggressiva che su disco – infilano quasi a tradimento “La Città Morta”. Quel “Perché siamo stanchi di novità” lo ripetono in molti: pare sintomatico di un sentimento diffuso, come se ciclicamente avessimo bisogno di un gruppo così, di qualcuno che riprenda di nuovo in mano le parole e le racconti imponendole con forza (e l’attuale successo di Le Luci Della Centrale Elettrica non mi sembra estraneo a questo discorso).

Sommacal è inquadrato mentre si toglie i capelli dalla fronte. Fanno “Fuoco Fatuo”: “C’è la carica del toro, il particolare delle corna per terra, spezzate, ma manca la foto del contatto tra le corna e la mano”. E tutti gridano: “Leo è questo che siamo”. I pezzi vanno via veloci. “Qualcosa Sulla Vita”. “Ronald, Tomas E Io” e inizia a piovere molto forte. Si aprono ombrelli e tanti si lamentano dicendo che non vedono più nulla. Resisto ancora un paio di brani sotto l’acquazzone. Loro salutano gentili e poco dopo l’area si libera completamente (quasi nessuno dei presenti si fermerà anche per Patti Smith e gli Afterhours).

Non so se è solo una malinconia di un ristretto club privato o se è un momento - questo che stiamo vivendo – dove la descrizione del quotidiano assume nuovamente un suo fascino e una sua importanza. Certo è che quando Mimì allarga le braccia e attende un attimo prima di pronunciare la parola successiva (quasi dovesse prendere la mira) colpisce a fondo. Un gruppo capace di trasformare le persone in uragani, le stanze in giorni, i nomi propri – Annalisa, Roberto, Mirko, Bencivegni, Kappa, Giovanni – in figure mitiche che ricorderai a lungo (senza che tu ne capisca realmente il perchè).

Clementi tornerà anche durante il live degli Afterhours per inserirsi velocemente in “Simbiosi” con “Peckinpah in ralenti” (come in “Il Meraviglioso Tubetto”, 2000), sarà il punto più alto di tutta la serata.

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L'articolo Massimo Volume - via skype, 11-07-2008 di Manfredi Lamartina è apparso su Rockit.it il 2008-07-14 00:00:00

COMMENTI (4)

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  • enver 16 anni fa Rispondi

    con gli Okkervil River
    per Frequenze Disturbate

  • nuciari 16 anni fa Rispondi

    egle è quello che sull'attacco de "la città morta" ha fatto svenire mezza platea.
    (capelli scuri..)
    non so se sia più un effetto dell'emozione, quella cosa che finchè non li vedi sul palco tutti insieme pensi a uno scherzo, però mi è sembrato di aver sentito un concerto della madonna.


  • rudefellows 16 anni fa Rispondi

    non è vero che tanti sono andati via per after e patti... siamo quasi tutti rimasti lì e ci siamo beccati un'acqua apocalittica, sotto arrivava fino alle caviglie (e non è un'iperbole).
    comunque loro grandissimi, li ho scoperti l'altra srea (non li conoscevo prima). chi mi dice quale dei due era il chitarrista originale (egle sommacal)? il rosso malpelo-fender jaguar bianca o l'altro con i capelli neri-gibson rossa credo?

  • lant 16 anni fa Rispondi

    "qualcosa sulla sconfitta"? bel lapsus!
    non avevo mai visto mimì sorridere così tanto durante un concerto, non riusciva proprio a trattenersi e la sua emozione amplificava le nostre... è stato un concerto meraviglioso, loro tutti in forma, noi la sagra del brivido. mancavano solo rigoni e un po' più di volume al chitarrista di destra.