Stardog - via Mail, 10-10-2009

Saranno anche loro al MI AMI ANCORA e per l'occasione li abbiamo intervistati e visti dal vivo in un'inedita versione acustica in uno dei bar storici di Milano. Gli Stardog presenteranno dal vivo il loro ultimo "Oltre le nevi di piazza Vetra", Margherita di Fiore è andata a indagare meglio su questo lavoro, le tante influenze che nasconde, miti adolescienziali e moderni. Desideri di Bellezza, di mondi migliori, di scrivere canzoni con la C maiuscola.



Partiamo da "Oltre le nevi di piazza Vetra". Come nasce questo lavoro? Qual è la scintilla che ne è alla base?
La gestazione del disco è stata piuttosto lunga e si è articolata attraverso due fasi: una prima parte di registrazioni era stata completata già un anno e mezzo fa. A quel punto avevamo riscontrato un forte interessamento (a parole…) da parte di una major, che ci ha fatto perdere tempo e soldi, lasciandoci in stand-by per mesi, prima di farci capire, senza mai peraltro dircelo apertamente, che non eravamo più nei loro piani. Nel frattempo avendo scritto altri brani, c'era la volontà di non disperdere il lavoro fatto. E' qui è intervenuta la Frequenze Records, con cui abbiamo registrato e remixato il materiale più vecchio al quale abbiamo aggiunto le nuove canzoni. Direi poi che alla base non c'è semplicemente una scintilla, ma da un lato la voglia di dire "eccoci qui", con l'impeto e la necessità del raccontarsi, appena mediati da una teenage angst oramai alle spalle. Dall'altro, la voglia di parlare del nostro universo, riferibile a Milano, e che pur non ambientandovi esplicitamente le canzoni, con lei ci si confronta, in una veste slegata dall'immaginario comune… è piuttosto un teatro delle nostre vicende esistenziali: palcoscenico romantico, casa a ringhiera che si affaccia sul cortile della nostra umanissima commedia.

Nelle vostre canzoni c'è il gusto per la citazione musicale e cinematografica: quali sono i vostri riferimenti, e quale l'ispirazione primaria?
Penso alla citazione da un punto di vista postmoderno: non un omaggio a qualcuno o a qualcosa, o peggio, un dire a tutti "guardate che ho studiato", ma un appropriarsene contestualizzando la "citazione" al tuo modo di fare musica senza mai perdere di vista la leggerezza, una caratteristica che ci appartiene e che ci diverte includere nei nostri lavori. Il mio mondo è fondamentalmente novecentesco e profondamente europeo, nonché italiano. Se Virginia Woolf dovesse fare una nuova stesura di "Orlando" dedicandola a Stardog, lo descriverebbe vestito da samurai, e partendo dalle avanguardie degli anni 20, lo accompagnerebbe da Pavese, Celine e Ceronetti, facendogli compiere un giro sui set di Michelangelo Antonioni e François Truffaut, ma solo dopo essersi azzuffato con Artaud e Carmelo Bene. A questo punto gli farebbe sciacquare i panni nell'Arno dei grandi autori della Canzone italiana sorseggiando un pastis rubato a Serge Gainsbourg, per poi accasarlo in un casermone della Berlino di fine anni 70 sperando di incrociare David Bowie e quindi tuffarlo negli 80 più spericolati e sperimentali, tra Milano e Tondelli. Infine, dopo aver assorbito la lezione della musica italiana degli anni 90, farlo giungere disincantato ma ancora impetuoso ai giorni nostri, mentre si affanna a cercare d'inventarsi un'isola che forse mai ci sarà.

Sul vostro sito descrivete il vostro mood come "il Duca Bianco a confronto con Luigi Tenco". Cosa prevale alla fine, la vena innovativa e sperimentale o piuttosto la passione malinconica da cantautore?
Bowie e Tenco sono in effetti i due cardini estremi su cui disegnare le nostre coordinate sonore. Non credo di volere che una delle due parti della bilancia prevalga definitivamente, ma lascio che a seconda dei momenti sia più forte una o l'altra predisposizione. Ora come ora sono propenso a pensare che sia molto più un gesto "avanguardistico" avere l'audacia di scrivere Canzoni con la "C" maiuscola, che possano resistere al tempo non per un suono particolare o una connotazione più o meno legata a questo o a quell'anno. Se penso ad esempio a "L'ufficio in riva al mare" di Bruno Lauzi, o ad "Oceano di Silenzio" di Battiato, beh… mi danno proprio questa idea.

E' moderno essere esistenzialisti? Ed è importante essere moderni?
Volenti o nolenti, questi sono tempi ormai non più moderni, ma post-qualcosa, senza per giunta mai esser stati niente. Magari fossimo ancora pronti a definirci moderni! Tuttavia ci si può considerare individualmente tali, e allora sì, l'esistenzialismo è senz'altro moderno; come quello di Camus, del mito di Sisifo, che continua imperterrito a portare in cima al monte le rocce che poi regolarmente gli cadono giù, anche a rischio di sembrare ai più, vagamente stupidi. E comunque l'importanza dell'esser moderni, per noi ragazzi degli anni 80, è quasi un dogma incontrovertibile!



Quali sono le realtà dell'attuale panorama musicale italiano che apprezzate di più?
Devo dire la verità… Non per snobismo o spocchia (che senso avrebbe?), ma faccio fatica a appassionarmi davvero a artisti di questo periodo. Mi piacciono gli artisti "anziani", che hanno un percorso che posso esplorare. E inoltre non mi capita, vuoi anche per ragioni anagrafiche, di innamorarmi di un gruppo come è potuto avvenire da adolescente con Bluvertigo o Marlene Kuntz. Detto questo, mi piace moltissimo Morgan e trovo che i suoi dischi di inediti siano veri gioielli, che offrono - cosa rara - sfaccettature diverse ad ogni ascolto. Ma apprezzo veramente tanto anche gli Amari e Bugo. Trovo abbiano un gran perché i Ministri, e non posso che provare simpatia "ideologica" con Il Teatro degli Orrori, anche se sono entrambi ascolti lontani dalle mie orecchie. Mi piacciono gli Egokid e il disco solista di Edda, così come il clown dark Tristano Testa. Ma devo dire che in questo momento l'artista attuale che trovo più decisivo è senz'altro Goffredo Rovesi, un eroe ancora sconosciuto ma che uscirà spero a breve con il suo disco: lui è davvero il crooner di cui in Italia c'era bisogno, e un artista con cui mi piacerebbe molto lavorare.

Il vostro disco vanta importanti collaborazioni (Andy, Luca Urbani, Blixa Bargeld): come nascono, e qual è secondo voi il loro peso specifico sul risultato finale?
Le collaborazioni con Andy e Luca Urbani sono nate prima di tutto dall'amicizia e dalla stima: con Andy in occasione di alcuni dj set fatti insieme in locali milanesi, con Luca per via di alcune registrazioni effettuate presso il suo studio. Con Blixa Bargeld la cosa è stata più romanzesca: mi fu chiesto di intervistarlo in occasione della pubblicazione dell'ultimo disco degli Einsturzende Neubauten, ed essendo un mio mito musicale da sempre, mi presentai da lui con una bottiglia di Passito di Pantelleria. Saltò fuori che quel vino, da me scelto sostanzialmente a caso, era il suo vino preferito in assoluto: l'intervista si tramutò ben presto in una chiacchierata confidenziale. Gli feci allora sentire la versione demo del brano su cui lui poi è intervenuto, che gli piacque; ma non c'era tempo per farlo venire in studio, quindi registrammo dei suoi interventi rumoristici con lo stesso registratore usato per l'intervista e lui mi diede il permesso di usarli, campionarli, metterli in loop… insomma farne ciò che volevo. Il valore specifico delle collaborazioni ha aspetti per ognuna differenti, vorrei ricordare a questo proposito anche quella con Davide Arneodo che segue dal vivo i Marlene Kuntz e Paolo Milanesi dei La Crus. Se quella con Bargeld è più uno sfizio alla quale per nulla al mondo avrei rinunciato, e quella con Luca Urbani è un lavoro a quattro mani (mio testo e melodia, suo l'arrangiamento), le altre sono più sostanziali, e in qualche modo mettono una firma d'autore molto riconoscibile su brani che però sono miei al 100% per atmosfere, mood e tematiche.

Che cos'è che distingue gli Stardog da tutti gli altri gruppi?
Non è una questione che mi pongo, per lo meno non nella forma di un paragone del tipo "Stardog vs resto del mondo". Forse non è stato facile in passato comunicare la sincerità e la genuinità di ciò che suoniamo in maniera immediata e diretta: sento che stiamo decisamente migliorando in questo senso. Credo e spero, che chi viene a sentirci o ascolta il disco, possa percepire la cura e l'amore per queste canzoni e per la musica in tutti i suoi aspetti artistici e comunicativi. E' una questione d'amore scegliere di esprimersi con la musica, e riuscire a far percepire questo a chi ti ascolta, credo sia molto importante. Più che ritenerci diversi da altri mi piacerebbe che si potesse dire che gli Stardog possono entrare nel club di chi fa musica con approccio amorevole, senza fughe di sincerità che non siano quelle concesse alla poesia.

Qual è il momento in cui scrivere sulla carta d'identità 'professione:musicista'?
Subito, se ci si sente tali, o sarà troppo tardi! Il musicista è nella sua espressione migliore, molto vicino a un samurai, o a un monaco guerriero. E' una vocazione che ti porti dentro per tutta la vita, anche se fai il peggior pop da classifica. Funziona realmente come al "Suonatore Jones" di De André: che se la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita, e ti piace lasciarti ascoltare.

Si tende a definire indierock o alternativo una gran quantità di gruppi che fanno generi anche molto diversi: voi, in due parole, come definite la vostra musica?
La nostra è musica fatta di canzoni. E' musica - perché no? - italiana, che flirta coi tutti i generi ma ha in testa solo il suo. Mi considero un artigiano che nella sua fucina si dedica a un labor limae di musica e testi. Non mi indie o alternativo (a chi o cosa, poi?)… anzi, mi piacerebbe scrivere cose che possano poi diventare dei classici! Ho ascoltato in passato fino al più oscuro gruppo new wave tedesco, ma è "The Long And Winding Road" dei Beatles, che vorrei scrivere, o "Pezzi di Vetro" o di De Gregori, non la discografia del side project giapponese del secondo bassista della prima formazione degli Uncle Tupelo (con tutto il rispetto)!

Qual è per voi il traguardo da raggiungere, l'aspirazione massima?
Mi piacerebbe riuscire a fare dischi che senti e risenti e ogni volta ci scopri qualcosa che non avevi colto: quello che succede con "Low" di Bowie o con "Abbey Road" dei Beatles. Fare il musicista non solo per scelta di vita, ma allargare il perimetro e scoprire quali e quante esperienze puoi fare, e vedere di nascosto l'effetto che fa. Poi ho sogni professionali come quello di scrivere una canzone per Alice: questo sarebbe davvero un grandissimo onore.

Qual è il vostro rapporto con Milano?
Amo profondamente Milano, come penso si evinca dal titolo del nostro disco, che fa riferimento a uno dei luoghi-simbolo della città. E' evidente che è molto facile parlarne male, e se ne ha ben donde per carità… Milano si livida e sprofonda per sua stessa mano, per dirla alla Fossati, da oramai troppo tempo. Proprio per questo però ha senso affermare che non c'è solo il fango, e che tuttora la città è custode non solo di luoghi di infinita bellezza e poesia, ma anche di oasi di umanità meravigliosa: penso ad alcuni bar davvero leggendari che si affacciano sui Navigli o in zone appena fuori dal centro, in via Padova o a Città Studi, lontani dai locali "fighetti". Piazza Vetra è stata, e ci piace immaginare che possa esserlo di nuovo, il simbolo di una vitalità e creatività che ha più che mai necessità di aver voce. Eleggerla a punto focale del nostro disco è stato il nostro atto d'amore per la città che ospita il nostro agire, e per questo abbiamo deciso di ambientarvi il nostro primo video, quello di "Canzone del Dove", mostrandola esplicitamente e con piacere attraverso scorci chiaramente riconoscibili.

Che cosa c'è, davvero, oltre le nevi di piazza Vetra?
C'è, da un punto di vista "tematico" legato al disco, la Milano vera, quella oltre la finzione cosmica che la gran parte della gente ha di lei. E poi, più nel profondo, la Bellezza, senza dubbio. C'è tutto quello che vorresti ci fosse nella tua personale concezione del mondo, c'è il mondo dove vorresti portare la persona che ami, e soprattutto anche il coraggio di invitarla a venire con te.







Live al Bar Magenta, 8 gennaio, Milano
Quale luogo migliore dello storico bar Magenta, nel centro di Milano, per ascoltare dal vivo gli Stardog in formazione ridotta e in una dimensione decisamente confidenziale? In una sala in fondo al locale, tra luci soffuse e tavoli di legno come ogni vecchio caffè impone, vediamo agli strumenti, oltre al frontman cantante tastierista e chitarrista, nonchè autore dei pezzi, Manuel Lieta, Alberto Culot alle tastiere e ai synth, Isaia Invernizzi alla chitarra, Simone Limardo al basso e Feyzi Brera al violini, al tamburello, ai cori e a tutti i giochini sonori. L'atmosfera è velata e particolare, intima d'inverno che intende scaldarsi, il concerto, in data 8 gennaio, non può che iniziare con una cover di David Bowie che proprio in questa giornata festeggia i suoi 63 anni; è "Let's dance" quindi ad aprire le danze in grande stile, ben arrangiata per l'occasione, capace di sembrare quasi una love ballad pur mantenendo del tutto invariata la linea melodica. Seguono al grande inizio i due singoli del gruppo, il primo "Canzone del dove", brano di traino al disco uscito in settembre, il secondo, "Quale estate", in uscita tra poco ma è "Gli addii di Anita" a stupire, l'arrangiamento da electro com'è nel disco si fa più baroccheggiante live, scheggia impazzita come fossimo a un cabaret, capace di mantenere l'incedere e l'esplosione straziante anche in questo nuovo abito d'occasione che il pubblico di affezionati sembra apprezzare particolarmente. Altra menzione davvero positiva va a "Il metodo", sicuramente uno dei pezzi più interessanti dell'album, reso benissimo nel live grazie alla bravura di Culot e alla scelta di rallentarlo e protrarlo a lungo in una bellissima coda di synth non presente nella versione su disco. "Brindisi", eseguita a metà concerto, si conferma un pezzo immenso che da solo, con quel pianoforte in cui è impossibile non risentire il modus di Mike Garson, basta a rendere "Oltre le nevi di piazza Vetra" un disco non solo valido ma importante, a tratti persino altisonante, di suoni nobili. Sono forse "Tridimesionale" e "Sai Carmelo" a perdere un po' dal vivo anche per la complessità dei suoni e la varietà di essi nelle versioni originali. Prima di lasciare spazio a una bellissima cover di "Space Oddity", gli Stardog eseguono l'ultimo brano del disco, si tratta della ballata romantica "Ninna nanna", dove al pianoforte e alla voce di Manuel si aggiungono strumenti di varia estrazione giocosa suonati da tutti gli altri componenti del gruppo. Ottimo l'affiatamento della band su questo palco che non c'è, in questo spazio retrò della stessa antica Milano che non esiste più e che gli Stardog hanno voluto vagheggiare e omaggiare con il loro album. // Giulia Cavaliere

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L'articolo Stardog - via Mail, 10-10-2009 di margherita g. di fiore è apparso su Rockit.it il 2010-01-25 00:00:00

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