The Jacqueries - Il pop è una cosa per ventenni, 21-02-2011

Vent'anni e un disco appena pubblicato. I romani Jacqueries sono riusciti nell'abile arte della canzone pop che rimane in testa e nei ritornelli bomba dal sapore brit. E ultimamente qualche super emittente radiofonica nazionale li sta passando in rotazione. Il loro "Excitement" è un ottimo esordio, di quelli che fanno sperare bene per il futuro, già il futuro è dei giovani. Alex Urso ha intervistato Andrea Catenaro, voce della band.



I Jacqueries sono una delle realtà musicali più giovani e promettenti d'Italia. Romani, vent'anni a testa, suonate brit-pop quando ai tempi del brit-pop non eravate nemmeno nati. Ti va di dirci qualcosa in più su di voi?
Siamo romani fino a un certo punto: Marcello alla chitarra è mezzo americano, Alex al basso mezzo australiano, ciociari veri e propri siamo solo io e mio cugino Giorgio alla batteria. Abbiamo iniziato a suonare seriamente, con la formazione al completo, solo da un paio di anni, ma il nome Jacqueries esiste da un bel po', diciamo dal 2005 (però fai conto che non sapevamo tenere nemmeno un 4/4). Siamo cresciuti insieme. Ora siamo tutti all'università e quando ne abbiamo la possibilità lavoriamo.

In "Excitement" si avverte una mutevolezza ed una varietà di generi forte. Quali sono state le influenze musicali della vostra adolescenza? E quali sono, oggi, i riferimenti del vostro suono?
Siamo partiti dal brit-pop anni 90, in particolare Oasis e Blur. Crescendo siamo andati sempre più indietro, scoprendo Slowdive, My Bloody Valentine, Smiths e Joy Division. Un percorso a ritroso che ci ha portati fino ai 60's, con i Beatles che credo neanche ci sia bisogno di citare. E poi tanto indie americano: aver scoperto gruppi come Pavement, Pixies, Guided by Voices e Dinosaur Jr ci ha veramente sconvolti.

Nelle recensioni tutti, me compreso, hanno sottolineato la vostra giovane età. Dunque, ok l'entusiasmo davanti a dei pischelli, ma c'è davvero da meravigliarsi se una band di liceali aspira a traguardi importanti?
Assolutamente non credo ci sia da meravigliarsi: Alex Turner (degli Arctic Monkeys, NdA) a vent'anni riempiva già gli stadi, figuriamoci. Il pop è una cosa per ventenni, o almeno: il pop come lo fanno i Jacqueries è una cosa principalmente fatta dai ventenni, per i ventenni. Certo siamo giovani, ma se si cominciassero a considerare storie tipo la nostra come la normalità potremmo smettere di essere invidiosi di quello che succede in molti altri paesi esteri culturalmente più avanti di noi. Il fatto è che in Italia non funziona così. Un gruppo di ventenni sul palco è visto ancora con sorpresa, come qualcosa fuori dall'ordinario: sai quanti fonici ai concerti ci guardano con la faccia tipo "questi sicuro sono raccomandati"?!

I Giovani sono il futuro

Mi stai dicendo che l'Italia è un paese per vecchi? Naaa...
Il fatto che i vecchi comandino ancora, anche uscendo un po' fuori dal discorso musicale, è un danno grande. Mettici anche che i giovani spesso, per forza di cose, oggi non hanno le spalle larghe. La maggior parte non ha competenze e conoscenze, e l'impoverimento della scuola italiana in questo è determinante. Tutto ciò li porta a crescere in difetto, incapaci di reggere il confronto col modello dominante. I giovani validi invece, se ci sono, scappano all'estero. Ma dobbiamo assumerci un ruolo e cercare di cambiare questa staticità.

La prendo larga: ultimamente mi pare ci sia una strana enfasi mediatica, magari stimolata dalle vicende studentesche, non solo italiane, come a voler ribadire che il futuro è dei giovani. Sarà una domanda banale, forse retorica: da ventenni sentite il peso di una responsabilità al cambiamento?
Il giovane di oggi ha un peso grande da sostenere e poca forza per sostenerlo. Come ti dicevo, la scuola non è più un posto davvero formativo; in più mettici la televisione coi suoi falsi miti e il benessere generale in cui molti ragazzi crescono. Sono d'accordo, un ventenne di oggi ha delle responsabilità grandi, ma non so quanto davvero voglia sentirsi l'incarico di queste responsabilità. Molti sono svogliati, molti rassegnati. Il giovane di oggi non trova lavoro perché non ha dentro di sé la spinta per inventarselo il lavoro. Io nella mia testa credo che chi con passione insegue il proprio scopo prima o poi qualcosa combina; chi ha i mezzi, se non trova il lavoro al Ministero, il lavoro se lo inventa da zero.

Jacqueries, ovvero "contadini francesi in rivolta", anche se di politico (o almeno, dichiaratamente politicizzato) nei vostri testi c'è ben poco; piuttosto quelli di "Excitement" sembrano testi in linea con la tradizione brit-pop anni '90: versi ambigui, a volte più rabbiosi, a volte più romantici, ma mai troppo espliciti. C'è qualcosa in particolare che vi interessa comunicare?
Sì, niente politica, o comunque pochi accenni: non siamo abbastanza presuntuosi da pretendere di elevarci a paladini sociali; semmai questa è una cosa che, prima dei musicisti, dovrebbero fare altre persone. Il disco parla d'amore, di esperienze personali, di irruenza giovanile, di voglia di farcela, di realizzarsi.

L'Inghilterra vista dall'Italia

Realizzarsi dove, in Italia?
Assolutamente.

E l'Inghilterra?
Siamo attratti dall'Inghilterra, è normale, ma è qui che vogliamo realizzarci. Che poi se vai in Inghilterra e fai musica di stampo inglese, come la nostra, hai di fronte una concorrenza spietata, più numerosa e oltretutto avvantaggiata in quanto inglese. Perché allora non restare qua, contribuire alla crescita culturale del nostro paese e combattere la legge dominante secondo cui a farcela può essere solo il cantautorato in italiano?

Roma?

Tornando al disco, sembra stia andando molto bene...
E' vero, non ce lo aspettavamo. Alla presentazione di "Excitement" a Roma c'erano settecento persone: non credo di aver mai vissuto nella mia vita un giorno del genere, c'era entusiasmo e allo stesso tempo intimità tra noi e il pubblico. Adesso siamo tutti eccitati per l'inizio del tour, cominciamo a fine febbraio, abbiamo un bel po' di date in giro per l'Italia.

Come conciliate il tour con scuola e famiglia visto che vivete ancora con i vostri genitori?
Ce la stiamo mettendo tutta per suonare, lavorare, studiare e mantenere un legame con la famiglia: è un equilibrio difficile da raggiungere, ma, almeno per ora, ci sembra di riuscire a farlo. I nostri genitori ad ogni modo ci appoggiano, sono contenti dei risultati.

Mi indichi qualche nuovo gruppo romano?
Roma è arrivata un po' tardi rispetto a Milano, ma si sta difendendo bene adesso, si sta creando una bella scena. Siamo amici ed estimatori di Micecars, Cat Claws, I Cani, Mamavegas, I Quartieri: molti di questi gruppi poi fanno parte della famiglia 42 Records.

Proprio nella 42 Records con "Child's Play", nel 2010, siete stati tra i primi gruppi ad inaugurare 24, la collana di ep distribuiti solo online a prezzo libero. In un periodo in cui il supporto fisico è sempre meno importante, sembra sempre più utile per una band esordiente puntare prima di tutto sul digitale, farsi le ossa, diciamo così, su internet. Sentite questa differenza con gruppi più vecchi di voi?
Oggi per un gruppo indipendente ed esordiente come noi già vendere 500 copie fisiche sarebbe un successo: internet è il presente e sarà il futuro, ovvio che in questo sentiamo la differenza con chi ci ha preceduto, è un modo completamente nuovo di arrivare alla gente. Puntiamo molto sul web, è inevitabile: penso a social network come Facebook: sarebbe stupido oggi non sfruttarne le potenzialità.

Avete già in programma concerti fuori Italia?
Per ora no, ci stiamo organizzando. Sarebbe stimolante confrontarsi con l'estero, ma abbiamo praticamente appena cominciato, vedremo in futuro. Prima di farlo dobbiamo migliorarci e fare più date possibili in Italia, anche perché, come ti dicevo, se dobbiamo ottenere qualche risultato noi vogliamo riuscirci qua!

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L'articolo The Jacqueries - Il pop è una cosa per ventenni, 21-02-2011 di alex urso è apparso su Rockit.it il 2011-02-21 00:00:00

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