I Cani - Come i Ramones

De I Cani si è detto e scritto tanto, ancora prima di ascoltare il loro album. C'è poco da fare, sono il caso pop dell'anno. Nati come progetto solitario di un ragazzo che dalla cameretta arriva su internet e passa ai grandi media. Che vi piaccia o no, che li amiate o li odiate, stanno lasciando un segno. Dopo aver ospitato il loro esordio live al MI AMI, abbiamo provato a capire per bene da dove viene colui che si cela dietro il progetto e - soprattutto - dove ha intenzione di arrivare.

L'intervista di Stefano Rocco.

Foto in apertura di Federico M. Tribbioli.



Scusa ma quando parlo de I Cani devo dire "voi" o "tu"?
Boh. Mi piace sto casino.

Partiamo dall'inizio: sei spuntato quasi dal nulla, cosa facevi prima de I Cani? Come sei arrivato a concepire questo progetto: puro divertimento o progetto ragionato?
Provengo da altre scene, altri ambienti artistici. Principalmente dal mondo electro più puro. Il progetto de I Cani è nato come una cosa fatta male a modo mio. Scrivevo canzoni da quando avevo 16 anni. Canzoni con la chitarra. Non sono bravo a suonarla, se non in spiaggia, ma quasi tutti i pezzi del disco sono nati così, anche se poi la chitarra nel disco è totalmente assente. Provando a scrivere, sono nati alcuni pezzi che mi piacevano, che avevano un linguaggio che reputavo non fosse presente in altri artisti italiani. Avevo l'impressione di aver realizzato qualcosa di diverso, anche se quando fai qualcosa di diverso il confine tra bellezza e cagata può essere molto labile. Comunque ho deciso di andare avanti. All'inizio pensavo a un progetto tutto suonato, senza particolari idee di arrangiamento, ma provando a organizzare una band classica. Mi sono accorto di essere un po' viziato dai miei trascorsi nella composizione elettronica, dove se hai un'idea la puoi realizzare subito, senza doverla spiegare ad altri. Allora ho fatto questo esperimento di composizione al computer. Alla fine ho realizzato un disco praticamente tutto da solo, salvo un paio di piccolissimi aiuti esterni, lavorando inizialmente sui due pezzi che più mi convincevano: "I pariolini di 18 anni" e "Wes Anderson", che poi ho messo su Internet.

Nelle tue canzoni riesci a sintetizzare un immaginario generazionale che va dai 18 ai 35 anni, parlando soprattutto a universitari, gente di quartiere, neo laureati, fuori corso attempati, precari, giovani e tardo giovani. Comunichi spesso attraverso gli elementi più ricorrenti e concreti che hanno caratterizzato la quotidianità cittadina degli ultimi anni. In un certo senso le tue canzoni sembrano quasi un epitaffio degli stereotipi anni zero.
Ha senso, ma è un effetto collaterale del mio vissuto. Il mio primo concerto l'ho visto nel 2000: The Smashing Pumpkins al palaghiaccio di Marino, poi i Sonic Youth. Ho cominciato quindi a vivere intensamente le cose proprio dieci anni fa, cambiando progressivamente sguardo, diventando via via meno affascinato e molto più attento ai cambiamenti, alle dinamiche quotidiane, alla realtà dei fatti. Non ho mai pensato però di fare un disco che parlasse ad una qualche "scena". Ho semplicemente parlato dei cazzi miei, per come l'ho vista e vissuta io.


(Foto di Antonio Campanella)

Nelle tue canzoni c'è quindi una forte componente autobiografica.
La mia musica è quasi 100% autobiografica, ma nel momento in cui devi raccontare la realtà, devi comunque trasformarla in fiction. I personaggi di cui parlo nelle canzoni sono basati su personaggi che ho conosciuto, ma non sono persone fisiche. Così come le storie che racconto: sono ispirate dalla mia vita, ma non sono la mia vita. Ho dovuto comunque inventare molto, ma restando sempre vicino al mio vissuto.

È per questo che il tuo modo di scrivere è sempre molto concreto? Non ci sono parole astratte, concetti metafisici, voli poetici, parole difficili. Fai nomi di quartieri, marchi, siti internet, mestieri, oggetti.
Si tratta di una scelta precisa. Per indole non ho mai letto poesie, raramente mi emozionano. Ho voluto fare un disco senza ambiguità. Ogni singola frase doveva comunicare subito emozioni e significato. Ad esempio, io nomino Facebook in tre canzoni di seguito, parlo di cocaina, vestiti. Cose che possono sembrare banali, ma a me interessa parlare di aspetti caratteristici e caratterizzanti della società contemporanea. Mi accusano di fare tormentoni pop con argomenti alla moda, ma io cerco solo di lasciare qualcosa a chi ascolta, prendendomi il rischio di usare concetti che mettono a nudo il mio modo di scrivere, senza darmi la possibilità di nascondermi dietro espedienti stilistici.

Piuttosto ovvio definire I Cani un progetto pop su basi elettroniche. Allargando lo sguardo, emergono però alcuni tratti somatici vicini a punk e hip hop.
Dal punk ho ripreso sicuramente l'attitudine nel farmi le cose autonomamente, con risorse prossime allo zero. Tutto è nato in casa, in solitudine. Sono Do It Yourself nel senso sociopatico di Wavves, non in quello antagonista e contro il sistema dei Fugazi. Per quanto riguarda l'hip hop, è stato il migliore esempio da cui trarre ispirazione per scrivere i miei testi, perché modello perfetto di un uso non paraculo delle parole. Secondo me, o sei un vero poeta, e ne nascono pochi, o fai la fine di troppi artisti italiani che cercano la poesia per la poesia. Io preferisco dire qualcosa, a costo di essere insultato per questo.


(Foto di Marco Leone)

Nelle tue canzoni c'è tanta, tantissima Roma. Non è strano che così tanti dettagli legati al vivere quotidiano di una città diventino patrimonio emotivo di un pubblico da tutta Italia?
E' vero, nelle canzoni c'è solo Roma, in fondo ho vissuto solo lei, ma questo credo non limiti la possibilità di comunicare in modo ampio. Reputo una cazzata quell'ottica secondo cui per dire cose universali sia necessario spogliarle dei contenuti specifici. Faccio un esempio: la serie televisiva "The Wire", che parla di spacciatori a Baltimora, mi comunica molto di più rispetto ad "Un posto al sole", che parla di italiani generici. Più racconti una realtà nel suo dettaglio, in modo credibile come spero di aver fatto, più riesci a parlare a tanta gente. Altrimenti dovrei dire che "Guerra e Pace" parla della Russia dell'ottocento e non può dire nulla ad un italiano di oggi. Per comunicare bisogna far trasudare umanità, verità.

E tu hai cominciato a comunicare da Internet, pubblicando gratuitamente due brani. Mi racconti la strategia di marketing, il progetto furbo e ragionato di cui ti accusano?
Ho pubblicato due brani senza aspettative. Non sapevo se qualcuno li avrebbe ascoltati, non immaginavo come sarebbero stati accolti dalla "comunità indie", che nemmeno conoscevo o frequentavo, perché venivo da altri ambienti. Le ho buttate là, senza alcuna idea precisa, in fondo il progetto era fatto a cazzo. Questa cosa del marketing studiato e paraculo io non capisco da cosa derivi. Il marketing geniale de I Cani è stato mettere due canzoni su Soundcloud e Youtube, fare qualche richiesta di amicizia su Facebook, senza mai scrivere mezza riga a nessuno. Sarò stato geniale nel marketing, ma non l'ho fatto apposta. E anche se fosse, non capisco perché si debba alludere ad una sorta di "cupola dell'indie" che ha deciso che un signor nessuno come me dovesse andare avanti.

Bisogna ammettere però che, senza parlare di odio, il piccolo successo della vostra musica ha dato fastidio a tanti.
Possiamo anche parlare tranquillamente di odio, forse dovuto al fatto che tutto è accaduto solo e soltanto per le mie canzoni, belle o brutte che siano. E questo magari infastidisce. Specialmente se qualcuno è convinto di avere canzoni molto più belle e geniali delle mie, che non ricevono attenzioni. Allora può far comodo pensare alla cospirazione, cercando di sminuire un progetto. Una delle accuse che più mi fa rodere il culo è sentirle definire spregevolmente "canzoni per ragazzine". Anche i Beatles erano "musica per ragazzine" negli anni sessanta. A noi però non lanciano reggiseni.


(Foto di Antonio Campanella)

Non ricordo, a memoria, un esordio dal vivo come il vostro, con così tanta gente, così eterogenea, da tutta Italia, a cantare parola per parola ogni canzone di una band che non era mai salita su un palco e di cui non si conosceva nemmeno la faccia del cantante. Tutto questo è accaduto praticamente solo grazie ad Internet. Tu sei un po' il paradigma del nativo digitale che ce la fa?
Forse sì. E non mi dispiace questa definizione. Spesso si considera meno valido un gruppo che emerge da Internet rispetto a chi fa migliaia di concerti prima di trovare la consacrazione. Per certi versi posso anche capirlo, ma nel momento in cui esistono mezzi nuovi, perché non possono essere usati come strumenti di affermazione? In Italia questo meccanismo funziona frequentemente per elettronica e hip hop, con un po' di fortuna ha funzionato anche per un progetto come il mio.

Come ti stai muovendo in relazione al panorama musicale romano e rispetto agli altri musicisti della capitale?
Intanto ne ho presi un bel po' a suonare con me. Considera che mi hanno accusato di campanilismo, forse dovevo prenderne uno per ogni regione. A parte questo, in generale mi sembra che in città ci siano realtà valide. Penso ai giovanissimi The Jacqueries, al progetto in italiano de I Quartieri. Forse si è un po' spostato l'asse rispetto ad alcuni anni fa, con nuove realtà che ancora devono raggiungere quella visibilità che avevano, tanto per fare esempi, Masoko o Carpacho.

Una domanda banale: ma tu cosa ascolti?
Devo ammettere che tanti dei nomi di riferimento fatti nelle varie recensioni sono effettivamente dei miei ascolti. Battiato, Gazzè, gli anni ottanta, gli anni novanta, la musica alternativa da ascoltatore medio. Io sono pop nella vita. Non sono figo, non sono strano, non sono snob. Ho il gusto per tutto ciò che ha un respiro ampio, diffuso. Forse dovrei preparami una lista di band sconosciute e di nicchia per rispondere a questa domanda, così potrò evitare di citare gli 883.

Se fossi nato artisticamente negli anni novanta, probabilmente saresti stato uno della "scuola romana". Quella con i vari Silvestri, Gazzè, Tiromancino e tutto il giro de Il Locale.
È un mondo che mi è vicino e che conosco. Tra tutti, sicuramente Gazzè è quello che ho ascoltato di più. Silvestri invece è troppo "primo maggio" per i miei gusti, non fa per me.

Certo, se continuate così, al Primo Maggio potreste essere chiamati presto anche voi. Che fai, non ci vai?
No, proprio no. Forse un giorno mi pentirò di averlo detto, però spero proprio di non arrivarci mai ad essere un artista da Primo Maggio.


(Foto di Marco Leone)

Parliamo allora di dove vuoi arrivare. Il vostro nome comincia a girare anche tra quelli che presidiano i vari posti al sole, dalle discografiche ai grandi media. Molti addetti ai lavori parlano di voi. La tua musica potrebbe raggiungere le grandi platee. È un obiettivo a cui stai puntando?
Non è questo il mio ruolo. Io devo solo scrivere canzoni. Dove arrivano, arrivano. Se il mio disco vende abbastanza copie per rientrare delle spese, sono contento. Se ai concerti vengono abbastanza persone per non andare sotto con le spese di benzina, è un successo. Se poi arriva altro, tanto meglio.

Apparentemente non stai puntando con determinazione degli obiettivi di carriera. Il ruolo di manager del tuo progetto non sembra interessarti molto.
Se uno mette avanti gli obiettivi e poi inizia a scrivere canzoni in funzione di quegli obiettivi, non sta facendo qualcosa di creativamente valido. Dalla musica che ascolto, io voglio cogliere un artista nei suoi momenti più intimi e sinceri, non qualcuno che stia pensando a costruirsi una carriera. Tanta gente mi ferma e mi dice: "occhio a rimanere sulla cresta dell'onda". Vaffanculo alla cresta dell'onda, non so se ci sto adesso, non so se voglio restarci. A me non interessa stare in classifica per i prossimi dieci anni, a me interessa fare qualcosa di davvero bello, che mi piaccia. Non strizzo l'occhio a nessuno. Se poi la mia musica ha la massima risonanza e piace a tanti, ne sono felice.

Per I Cani Internet è stato strumento determinante fino ad ora, ma tu credi ancora al disco?
Su questo argomento io sono anni sessanta, zero digitale. Io credo nell'album, nel costruire un lavoro traccia dopo traccia. Questo disco è stato concepito come un corpo unico, studiato nei dettagli, per portare avanti un discorso musicale che sia compiuto nel suo insieme. Per quanto non sembri, io cerco anche di dire cose complicate, che con il mio linguaggio possono essere fraintese se prese singolarmente. Ad esempio "I Pariolini di 18 anni", ascoltata senza contesto, presta il fianco ad interpretazioni sbagliate.

Sono d'accordo sul fatto che per cogliere il significato delle tue canzoni, occorra inserirle nel discorso complessivo. Ti lancio però una provocazione: ma le canzoni de I Cani non sono tutte uguali?
Rispondo così: avete mai ascoltato i Ramones, i Suicide, i Sex Pistols, i Joy Division, i Jesus and Mary Chain? Qualcuno mi dirà: "ti paragoni ai Ramones?" Si, cazzo. Bisogna sognare quando si fa Musica. Puntare alto, mettersi sul piano dei dischi che ami. Non puoi accontentarti di raggiungere gruppetti del cazzo. Devi sognare di essere come i Beatles, confrontarti con chi ti ha cambiato la vita. Voglio sognare di fare un disco che cambi la vita a qualcuno, come l'hanno cambiata a me The Smiths, LCD Soundsystem, Sonic Youth. Ci proverò fino a quando avrò idee.


(Foto di Piero Cruciatti)

I Cani hanno appena calpestato un palco per la prima volta. Visti al MI AMI, non siete un po' troppi dal vivo?
Sul palco in effetti siamo parecchi, ma c'è un motivo che mi ha portato a questa scelta. Avevo due regole. La prima era che ci fosse una batteria sul palco, perché io non mi sono mai divertito a un concerto in cui non ci fosse la batteria, dj set a parte. E la batteria chiama il basso. L'altra regola è che dal vivo non voglio basi. A parte qualche campione che mando ogni tanto, volevo che tutto fosse suonato per dare lo stesso impatto e le stesse sensazioni che ci sono nel disco. E per farlo non c'era altro modo che chiamare un bel po' di gente a suonare con me. Immaginarmi da solo con le basi da laptop è davvero uno squallore. Quella del MI AMI è la formazione ufficiale con cui ci esibiremo. Tra l'altro abbiamo ufficializzato un accordo con DNA Concerti, che da ottobre ci porterà a suonare un po' in tutta Italia.

Inizialmente c'era un fitto mistero su chi ci fosse dietro I Cani, poi qualcosa è trapelato, ma ancora la gente sa poco di voi. La storia dell'anonimato continuerete a portarla avanti?
Ormai mi interessa poco. Continueremo a non pubblicare ufficialmente foto e nomi. Se però non avere un'immagine diventa una cosa troppo studiata, complicata e faticosa, meglio lasciar stare. Tutto era nato perché all'inizio ero da solo e non mi andava di mandare in giro mie foto solitario, mi sembrava una cosa ridicola. Il nome poi non avevo voglia di mettercelo perché non volevo essere tirato in mezzo, qualunque cosa fosse successa. Inoltre ho pensato che potesse essere una componente curiosa per suscitare interesse.

Un disco che vende bene, l'interesse dei grandi media, operatori del settore entusiasti, un pubblico che conosce a memoria le canzoni, un tour in arrivo. Che ruolo gioca l'hype in tutto questo?
Questa storia dell'hype come qualcosa di negativo è un atteggiamento tutto italiano. Io penso sempre al mio nume tutelare, James Murphy degli LCD Soundsystem. È uscito con un singolo come "Losing My Edge" che poteva essere anche la cazzata di uno che voleva solo divertirsi, cavalcando un hype del momento. Invece poi ha fatto tre dischi incredibili, dimostrandosi artista immenso. Il male non è l'hype. Il male è quando dietro l'hype c'è musica brutta. Il male è la musica brutta.

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L'articolo I Cani - Come i Ramones di Stefano "Acty" Rocco è apparso su Rockit.it il 2011-07-05 00:00:00

COMMENTI (7)

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  • boheme77 13 anni fa Rispondi

    Una bella intervista, con tanti spunti interessanti e tanta buona e sana ambizione :)
    Un solo appunto.,,le canzoni dei Sex Pistols, dei Joy Division e degli Smiths NON sono tutte uguali, per dio, un po di orecchio! [:

  • matuk 13 anni fa Rispondi

    Bravo Cane..analisi lucida e interessante. Premesso che e' del tutto legittimo criticare o esaltarsi di fronte ad una proposta musicale, spero che si ponga fine all'inutile (e poco interessante) sparare a zero su di un personaggio che dimostra di fare bene una cosa in cui crede (ovvero il consueto tentativo di demolizione di novita interessanti da parte di chi teme l'ombra sul proprio orticello). Parliamo di musica, e' piu divertente..

  • nickwire 13 anni fa Rispondi

    Napoletana e bassoliniana fino al midollo :D

    Comunque ci voleva gente che parlasse così....

  • fab10 13 anni fa Rispondi

    infatti si, è l'unica osservazione che avrei fatto anch'io

    bell'intervista...è un artista interessante!

  • ierioggidomani 13 anni fa Rispondi

    Parlando di Beatles: "...la loro evoluzione li portò al risultato straordinario di Rubber Soul (1965, a metà carriera), album raffinato e ricercato [...] le cui le sonorità presero il sopravvento sui temi trattati nei primi anni di carriera, volutamente non impegnati e frivoli, atti a conquistare più pubblico possibile".
    Non riferisco questo pezzo col fine di insegnare con aria saccente o ignorando decenni di separazione da quel mondo, ma solo con l'invito a restare sì autentici, però crescendo. Lo dobbiamo fare tutti, nessuno escluso.

  • nicko 13 anni fa Rispondi

    Bella intervista... anche se a quanto ne so "Un posto al sole" è quintessenzialmente napoletana... :?

  • chiesaincendiata 13 anni fa Rispondi

    Onesto