Girless & The Orphan - Onestà e calcioscommesse

Ci hanno conquistato al primo ascolto, al punto di chiedere loro di mettere insieme un ep solo per Rockit. Adesso è il momento di andare a fondo, per capire cosa c'è dietro agli intrecci di chitarre e voci che li contraddistinguono. Marcello Farno intervista Girless & The Orphans.



Io mi toglierei subito la prima curiosità. Perché Girless & The Orphan?
Tommaso: In realtà il nome Girless è nato più o meno quando avevo 15 anni. Nel periodo in cui suonavo tra le tante band che si formano da ragazzini (e che durano qualche settimana nella maggior parte dei casi), mi capitò di ascoltare un disco, "The places you have come to fear the most", dei Dashboard Confessional, che mi ispirò a tal punto da decidere di scrivere canzoni da solo. E decisi così di chiamarmi Girless, perché all'epoca era un mio status vivendi, cioè non avevo uno straccio di ragazza.
Franz: Nel mio caso la scelta del nick è stata invece abbastanza semplice. Orphan suonava bene nonostante i miei genitori si mantengano tuttora in forma. E poi c'è una bellissima canzone dei Gaslight Anthem intitolata appunto "Orphans". All'inizio lui suonava da solo come Girless, poi sono arrivato io, abbiamo notato che i due nomi si sposavano bene ed eccoci qui.
Tommaso: In effetti entrambi decretano questa mancanza, non in senso necessariamente figurativo.

E questa cosa poi traspare anche dai pezzi. Secondo me (e detto così può sembrare anche banale, me ne rendo conto) è una grande dichiarazione di onestà. Ogni band, in particolar modo agli esordi, ha bisogno di costruirsi un'immagine, col risultato che poi si finisce con il peccare di artificiosità. Voi invece vi mettete a nudo e, almeno così sembra, mostrate questa vostra personalissima indole romantico-cazzara in maniera molto spontanea. Il punto è: ci state prendendo per il culo o siete davvero degli hard-rocker di provincia finiti tra le grinfie dei chitarroni acustici?
T: Io direi metà e metà. Siamo nati col punk rock entrambi e le prime esperienze musicali sono state caratterizzate da tempi veloci e 4 accordi. Io poi personalmente ho iniziato suonando il basso, e solo in un secondo momento ho imparato a strimpellare la chitarra da autodidatta, quindi la mia tecnica è molto terra terra. Sono sempre stato abituato all'immediatezza e soprattutto al messaggio che una canzone deve trasmettere, all'ironia e al sarcasmo. Se unisci tutto questo, hai un quadro di come nascono le nostre canzoni: un giro semplice, una melodia vincente e soprattutto un testo che racconta di vita vissuta o comunque che cerca di celarla dietro a parole semplici, in modo tale da rendersi accessibile a tutti.
F: Diciamo che senza dubbio il nostro animo punk rock ci ha accompagnato sempre nel corso di questi anni. Arrivati a questo punto ci siamo guardati negli occhi, abbiamo imbracciato le chitarre e abbiamo cercato di trasmettere nella maniera più diretta possibile tutto questo. Quindi spontaneità prima di tutto, che sia acustica, elettrica o fuzz folk. Noi siamo così, siamo questi e lo siamo in tutte le salse.

Spontaneità, genuinità, alla fine si finisce per girare attorno agli stessi concetti. Ognuno poi li classifica come meglio crede. Anche parlare di punk secondo me, oggi come oggi, non è che sia così funzionale come si crede. Mi limiterei a parlare di attitudine. Per dire, voi ne avete a bizzeffe. Con quali altre band, altri artisti condividete questo modo di essere, di fare?
T: In effetti è innanzitutto una questione di attitudine, soprattutto di che idea si ha del fare musica. Se ti dovessi dire un artista di livello internazionale il primo nome a venirmi in mente sarebbe quello di Frank Turner: anch'egli è un punk rocker prestato all'acustico, che dopo anni di carriera continua a fare tutto con una mentalità DIY che io personalmente adoro. Se dovessi poi citarti gruppi della zona ti direi dei nostri compagni d'etichetta Shelly Johnson Broke My Heart, o altri amici come Lantern e Up there: the clouds, tutti accomunati da un certo modo di approcciarsi alla musica.
F: Il primo nome che posso farti è senz'altro quello di Frank Turner anche per me, ma penso anche a Rocky Votolato, songwriter americano che adoriamo e che, per dirti, si è presentato qualche mese fa a Varese davanti a forse trenta persone felice come uno scolaretto, emozionato quasi ad essere lì anche se solo per due gatti. Io adoro questi artisti che credono con fermezza alla loro musica e al loro modo di interpretarla, a prescindere dal volume e dalla qualità della platea. A noi piace pensarci così e in fondo lo siamo.


La vostra etichetta, la Stop Records si accomuna ad altre che si rivolgono, con le dovute differenze ovviamente, allo stesso pubblico, producono e distribuiscono dischi in un certo modo, etc. Secondo voi il fatto che si vengano a creare questi giri, il fare tutto tra amici, non può presupporre anche un'altra faccia della medaglia? Non c'è secondo voi il rischio che poi le cose girino solo in un circolo ristretto, che magari manchino aspettative adeguate, non ci sia il gusto di rischiare, la voglia di osare più di tanto?
T: Questo è sicuramente un rischio plausibile, ma non penso in questo caso. Noi paradossalmente stiamo ricevendo più riscontri fuori dalla nostra città, fuori da un certo giro, piuttosto che dai soliti noti. Poi è ovvio che bisogna sempre capire quali siano le aspettative: noi non pensiamo in piccolo, il nostro obiettivo è quello di farci conoscere da più gente possibile, ma soprattutto che questa gente ci apprezzi per quello che veramente siamo, e non solo per una canzone magari o per un videoclip.
F: Quello che dici è assolutamente vero, il rischio c'è ed è reale. Penso però che la differenza la facciano alla fine sempre le persone, con la loro esperienza, il loro background e la loro intelligenza. Noi siamo così, abbiamo questo materiale e queste idee. Voi siete cosà e avete le vostre, mettiamole insieme e vediamo cosa di bello viene fuori, anche se questo ci porta qualche volta a scornarci. Questo penso sia costruttivo a qualsiasi livello, figurati nella stesura e nella produzione di un disco.

Andiamo sulle canzoni. In "Wings behind our backs" cantate di questa cosa di sognare un altrove, di mettersi a fantasticare su un domani che non arriva, delle ali dietro la schiena, di Berlusconi che non è più in carica. È solo ironia o ci sono altri perché per capire un testo come quello?
T: Ci sono mille modi. Mi fa piacere ogni volta che mi viene posta questa domanda perché è proprio l'effetto che volevo suscitare con quel testo. Di primo acchito sembra una canzone meramente ironica e leggera: si parla di Berlusconi, si parla di scopare, di avere gran soldi, eccetera eccetera. In realtà è un testo che nasconde un'amarezza di fondo. La si può leggere tra le righe.
F: Io penso che nonostante sia un pezzo terribilmente d'impatto, veloce, cantato a squarciagola e assolutamente coinvolgente, celi dietro una malinconia considerevole. Il fatto di sognare quotidianamente questo, quello, soldi, donne, successo e tutto il resto appartiene senz'altro ad ognuno di noi. E penso che questo fatto, almeno personalmente, sia dovuto ad una mancanza di qualcosa o di qualcuno, qui, adesso e subito. Questa cosa ancora oggi quando rileggo il testo mi spiazza e mi intristisce un pochino. Sarà per questo che mi piace così tanto.

Perchè cantate di "Berlusconi not in charge"?
T: Perchè è una delle prime cose che inserirei in una società utopica. Ovviamente il discorso è ben più complesso, Berlusconi è soltanto la punta dell'iceberg di un sistema malato. Non siamo una band prettamente politica, e questo non può nemmeno essere definito come un messaggio politico, ma è una delle cose su cui è più facile ironizzare, perciò mi sembrava filasse bene in mezzo a tante fantasticherie.

Secondo me un grande pregio di "Same names for different girls", che poi si nota anche nell'altro ep, è quello di passare agilmente da un mood all'altro, da "SNL" e la voglia di annegare le sofferenze in un bicchiere a quella di raccontare da un angolo, con la timidezza e la paura di non pronunciare le parole giuste, le storie d'amore di "As you fall" e "November 17th". Giocate molto coi chiaroscuri, avete un mood ballerino in questo senso.
T: È che noi siamo effettivamente così, siamo abbastanza lunatici, siamo incazzati e allegri, musoni e burloni, anche nel corso della stessa serata. A volte facciamo i duri ma in realtà siamo degli agnellini, a volte siamo ottimi amici, a volte ci rispondiamo male ad ogni frase e a volte tiriamo il cellulare contro al muro o tiriamo pugni contro i cruscotti delle macchine. Forse è per questo che siamo così amici.
F: Si, è incredibile come spesso riusciamo a fare viaggi di ore scambiandoci a malapena tre mugugni, tra cui il saluto iniziale, e di come altre volte ci ubriachiamo di parole, racconti, aneddoti o semplicemente sciocchezze. Una roba che a vederla da fuori si direbbe inquietante. E come può una cosa del genere rimanere scollegata dalla nostra musica?
T: Però di fondo siamo sempre cazzoni e soprattutto irriverenti, tant'è che abbiamo rischiato di prendere più volte le botte durante concerti per quello che diciamo, anzi, principalmente a causa di quello che dico io.

Sempre musicalmente parlando, quali sono i dischi che vi hanno formato? Prima Tommaso citava "The places you have come to fear the most" dei Dashboard Confessional, quindi avete anche questa patina emo oltre alla ruggine folk. Io tipo poi ci vedo anche Neil Young nel vostro suono.
T: Eh, magari. Neil Young, è un paragone un po' ardito, ma io lo adoro. La patina emo c'è, anche se ormai la parola emo è stata travisata. Per quanto riguarda il lato folk invece dobbiamo sicuramente tanto ad artisti come Johnny Cash o a band come i Creedence Clearwater Revival. Ci vorrebbe però troppo spazio per citare i mille dischi che mi hanno emozionato o ispirato nel corso della mia vita, così citerò una sola band, i Jawbreaker. Semplici, diretti e immediati. Eppure profondissimi. I testi di Blake Schwarzenbach sono delle opere d'arte sofferte, che ti mettono con le spalle al muro e ti sembra di sentire ciò che lui ha provato mentre stava scrivendo quelle parole. Ogni disco è incredibile, e li prendo come mia costante fonte di ispirazione seppure facciano un genere totalmente diverso dal nostro.
F: Per quello che mi riguarda invece, adoro come già detto Rocky Votolato, Frank Turner e Chuck Ragan, e poi ascolto tantissimo i Gaslight Anthem e tutte le band della nuova ondata punk.


Ma per voi il fatto di mettere i dischi in free download che tipo di risorsa può rappresentare?
T: L'unica risorsa possibile per sopravvivere. L'unico modo per avere la possibilità di farsi conoscere e soprattutto apprezzare. Tutti scaricano qualcosa se è gratis, anche solo per il gusto di averlo gratuitamente. Ovviamente nel nostro caso coincide perfettamente con la nostra idea di musica, quindi è stata facile come decisione, anzi, non ci abbiamo mai nemmeno pensato sopra. Le band dovrebbero guadagnarsi il pane quotidiano suonando dal vivo, è lì che si valutano veramente degli artisti.
F: Il download gratuito penso sia al momento l'unico strumento per realtà come la nostra per entrare nelle case, per avere nuovi adepti e più in generale per farsi apprezzare su disco. Per le etichette piccole è vitale, inutile girarci intorno. Poi penso che a tutti possa far piacere possedere la copia fisica del lavoro, ma solo in un secondo momento, solo quando effettivamente i pezzi te li sei già masticati ingoiati e digeriti. Non vedo altre strade al momento, anche per come stanno andando le cose a tutti i livelli, anche per gli artisti più affermati.

Com'è Rimini per chi cerca di fare musica?
T: Molto diversa rispetto a un tempo. Una volta c'erano tanti locali, piccoli e grandi, e suonare in giro era molto più facile e la scena era ampia e vitale. Ora comunque ci sono un sacco di band valide, ma assolutamente pochissimi posti dove aver la possibilità di suonare. Per esempio il Velvet, da locale storico per i concerti è diventato un posto per dj elettronici che, per carità, potranno anche essere bravi e piacere alla gente, però a mio parere hanno snaturato l'essenza che il locale aveva prima. Nonostante questo però, se ci si sbatte tutti insieme, tra i diversi gruppi si riescono a creare delle belle situazioni live.
F: Paradossalmente per noi è molto più facile suonare altrove, magari a 30 km da casa, ma comunque non nella nostra città, dove è pieno di ottime band ma i posti sono sempre meno. È stato un declino lento e costante.

Voi in realtà vivete a Viserba, in provincia di Rimini. Com'è lì?
T: Vivere a Viserba è stressante d'estate e avvilente d'inverno. Ad agosto non si riesce a girare per le orde di turisti, prettamente tedeschi o over 80. A dicembre fa un freddo becco e non gira anima viva. A parte questo la amiamo, per una sorta di attaccamento sentimentale. È un posto tranquillo dopotutto ed è a due passi dal mare e da Rimini, che è una città un attimino più viva. Quindi non posso dare un giudizio negativo del nostro paese.

Avete mai provato a cambiare aria?
T: No, a parte qualche breve periodo per studio o lavoro, non abbiamo mai vissuto fuori dalla regione. E personalmente non mi dispiace la zona in cui viviamo, non so se la cambierei con qualche altra regione. Per quanto riguarda l'estero, nemmeno. Personalmente parlando ogni volta che vado in vacanza all'estero, dopo un tot di giorni non vedo l'ora di tornare in Italia. Sono un abitudinario, lo so. L'Italia è piena di contraddizioni e non si può dire che sia un paese in cui si viva bene, ma non posso starne troppo lontano.

Ma ci sperate che coi Girless & The Orphan riusciate ad arrotondare il vostro stipendio? O sarete costretti a tentare il colpaccio in maniera diversa?
F: Per carità, non ne parlare. Già metà dei nostri introiti vengono scommessi da Girless alla Snai. Il calcioscommesse lo sta rovinando. Non parliamone neanche.
T: Ecco, infatti io spero che gli introiti di Girless & The Orphan un giorno possano essere sufficienti per investirli totalmente nel calcioscommesse. Perdendoli ovviamente tutti, ma non dovendo in questo modo intaccare magari lo stipendio lavorativo.

Quindi suonate in giro, scrivete pezzi nuovi, what's in the future?
T: Tra autunno e inverno suoneremo tanto. Abbiamo tante date in via di definizione, abbiamo in programma di girare molte regioni diverse, quindi in tanti potrebbero avere l'occasione di vederci. Alcuni pezzi nuovi ci sono già, e comunque siamo sempre in fase di scrittura, è un processo continuo, ma presumibilmente rientreremo in studio soltanto la prossima primavera. Per ora vogliamo concentrarci sull'aspetto live e suonare il più possibile in più posti diversi. Anzi, se ci volete dalle vostre parti, basta chiedere: costiamo poco, sporchiamo ancora meno.

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L'articolo Girless & The Orphan - Onestà e calcioscommesse di Marcello Farno è apparso su Rockit.it il 2011-09-16 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • girless 13 anni fa Rispondi

    T e G sono la stessa persona.