Saluti da Saturno - I cervi di via John Lennon

Dalle orchestre di liscio al cristallarmonio, passando per le strutture abbandonate di quello che doveva essere il Villaggio del Cantante. Saluti da Saturno è fuori dal tempo e fuori da tutto e ha pubblicato da poco "Valdazze", il secondo disco. Marco Villa ne ha parlato con Mirco Mariani

Dalle orchestre di liscio al cristallarmonio, passando per Valdazze e le strutture abbandonate di quello che doveva essere il Villaggio del Cantante. Saluti da Saturno è fuori dal tempo e fuori da tutto e ha pubblicato da poco il secondo disco, intitolato proprio "Valdazze". Marco Villa ne ha parlato con Mirco Mariani, fondatore del gruppo e autore di musiche e testi.

 

Valdazze pensavo fosse un luogo immaginario, un posto fuori dal tempo e dal mondo. E invece esiste davvero.
Sì, esiste, ma è fuori dal tempo lo stesso. È un non luogo, il nulla fatto luogo. È un posto sull'Appennino al confine tra Toscana e Romagna, in provincia di Arezzo. Negli anni sessanta volevano creare il Villaggio del Cantante: avevano comprato dei terreni gente come Gianni Meccia, Jimmy Fontana, Bobby Solo e all'inaugurazione c'era Pippo Baudo, ma poi non hanno fatto più niente e se ci vai adesso trovi un gruppo di case, un borghetto, un palazzo grande e una chiesetta bianca, che è la prima cosa che è stata costruita. Ma è tutto abbandonato. Quando arrivi lì capisci che qualcosa non ha funzionato: respiri proprio l'aria dell'abbandono. Lo avverti proprio.

A Valdazze hai organizzato anche una gita vera e propria.
Sì, ci andiamo il 25 febbraio. Ci troviamo a Bologna e lì prendiamo tutti insieme il pullman. C'è anche qualche temerario che arriva in aereo da Palermo. Io vengo da quella zona, da Bagno di Romagna, e Valdazze è una cosa che ho in testa da sempre. Quando prendevo la corriera per andare al conservatorio a Cesena, a ogni curva c'era scritto sul muro con la vernice bianca "Valdazze" e sotto una freccia. È un posto davvero incredibile: a un certo punto a Valdazze parte una strada sterrata, che va nei boschi, ma che è una via vera e propria, con un cartello come se fosse in città. Sai come si chiama quella via? Via John Lennon. Una volta ero lì con mia moglie e mentre camminavamo abbiamo sentito il rumore di qualche animale che stava arrivando di fretta. Ci siamo fermati e abbiamo visto due cervi. Io sono uno cresciuto in campagna, quindi sono abituato a vederli. Ma a vedere due cervi in via John Lennon non sono mica abituato.

Per il titolo abbiamo capito da dove è arrivata la suggestione. Per il disco, invece, cosa ti ispirato?
Le mie suggestioni sono sempre le solite, ovvero le sensazioni che mi arrivano nel corso delle giornate. Cose semplici, piccole, come può essere un viaggio in macchina con le mie figlie. Quello che mi piace e che spero di mettere nella musica e nei testi è la polvere delle cose. Io non sono un intellettuale, sono uno di campagna. Nelle canzoni non voglio dire cose grandi, andare a cercare nel vocabolario per trovare la frase a effetto oppure stare a studiare l'arrangiamento complesso per colpire. Piuttosto cerco il puntino bianco nel grande muro nero. Anche per questo ho dedicato questo album a Fiorenzo Carpi e Sergio Endrigo. Due maestri, che mi hanno insegnato questo punto di vista. Che poi vuol dire fare bene le cose e farle sembrare piuttosto semplici.


Hai una lunga carriera come musicista, ma solo da poco lavori anche ai testi. Hai iniziato a scrivere per il disco precedente o hai sempre scritto?
No no, te l'ho detto: io sono una persona di campagna. Non ho una grande cultura, non posso allontanarmi troppo da quello che vivo, non posso inventarmi cose che non ho. Sono un grande appassionato di film e sono un musicista. Però devo dire che a scrivere testi mi trovo bene e mi piace. Lo faccio senza sforzo. Forse il mio limite è proprio quello di essere troppo semplice, di raccontare solo quello che vedo e che vivo.

A proposito della tua carriera di musicista, ci racconti il tuo percorso?
Il percorso inizia in Romagna, dove ho iniziato a suonare la batteria nelle orchestre di liscio. Qualche night, qualche bella balera: aria di felicità. Lì mi sono detto: se questo è suonare, non voglio mai smettere di farlo, voglio vivere di questo. Ci si divertiva davvero tanto: io avevo sedici anni, magari gli altri settanta od ottanta, eppure i più pazzi erano loro. Lì ho vissuto la musica come arte di divertire e divertirsi, per questo sono molto legato alla tradizione romagnola.

E il liscio si sente nel disco...
Si sente eccome. Anche se dal liscio di solito si esce seguendo due sole strade: o lo rigetti completamente oppure metti su una tua orchestra. Io ho preso la prima strada e l'ho percorsa fino in fondo, andando verso la scelta più lontana possibile. Mi sono trasferito a Bologna e ho iniziato a suonare come batterista jazz. Ho suonato tanto e con gente come Enrico Rava, Stefano Bollani, Ares Tavolazzi. Un'esperienza molto bella, con musicisti bravissimi. Poi a un certo punto ho incrociato Vinicio Capossela, un altro che aveva avuto a che fare con i night. In un primo tempo ho provato a portare avanti sia il jazz che Vinicio, ma poi a un certo punto non ce l'ho più fatta e ho scelto di continuare a suonare la batteria con Vinicio.

E poi?
E poi a un certo punto mi sono accorto che quello che stavo facendo era ripetitivo e mi annoiava. Allora ho mollato tutto e in due giorni ho venduto tutte le mie batterie. E ne avevo sette. Da lì l'idea di tornare agli inizi, al pianobar. E quindi il pianobar futuristico di Saluti da Saturno, con la voglia di creare musica confidenziale, di non avere davanti barriere o transenne, di creare divertimento, anche se detta così sembra quasi che faccia ska. Spesso nei pianobar succede che la gente richieda a chi suona di fare qualche canzone. Ecco, questo magari non lo accettiamo, però ci piace non avere distanze con il pubblico: tutti possono intervenire, cantare, venire a giocare a carte. È una cosa che mi piace molto, che mi ricorda da dove sono partito.

È un'idea molto chiara di cosa vuol dire per te fare musica.
Sì ed è importante che sia così. Mi dà fastidio quando c'è un'idea che funziona e allora tutti vanno dietro, per moda e perché può essere utile. Porta a un appiattimento della musica, perché può succedere che magari hai un'idea bellissima, ma la accantoni per andare in una direzione che può darti più successo. Questo non mi interessa, io sono per scavare nelle persone per trovare la propria idea di musica. È inutile che provi a fare canzoni ritmate alla Jovanotti. Non ce l'ho quella roba lì. Io sto cercando di fare musica confidenziale. Credo ci sia tanto distacco con chi suona, tanto individualismo e tanto divismo. Invece, più si condivide, più bella è la situazione. Più gente gioisce, più tu gioisci. Anche per questo mi affascina il villaggio del cantante di Valdazze: è un non-luogo, un luogo contromano. Chissà cosa sarebbe potuto nascere se l'esperienza fosse continuata. La parola importante è: condivisione. Non voglio andare a fare un concerto in cui devo fare il fenomeno che non sono. Farei fatica ad andare a vedere un concerto così, quindi cerco di non fare un concerto che a me non piacerebbe vedere.

Invece chi ti è piaciuto vedere dal vivo?
Guarda, il problema è che l'ultimo concerto che ho visto non so quando è stato. Ho due bambine, una piccola e non esco quasi mai. Così, a memoria, mi ricordo un concerto dei Calexico a Bologna. Ah no, ecco: di recente ho visto le Ocarine di Budrio a Bologna, al Festival Angelica, organizzato da Massimo Simonini, che ha anche suonato il theremin in "Cinema". È stato un concerto assurdo, con dieci o dodici ocarine che suonavano musica contemporanea, quasi concreta.

A proposito di "Cinema", quando arriva nella scaletta del disco è qualcosa che ti stende. È molto diversa dalle altre e quando parte quel "vita mia" ti lascia proprio stordito.
"Cinema" parla di uno dei momenti determinanti della mia crescita personale, ovvero quando ho visto "Il prete bello" di Carlo Mazzacurati, tratto da un libro di Goffredo Parise. È un film tutto girato nella bassa padana, dalle parti di Parma. Ha delle immagini valdazziane, di abbandono e nebbia. Parla di un niente che diventa tutto: se stai bene con i tuoi amici, stai bene anche se non hai le scarpe e comunque diventa la cosa più bella della tua vita. Anche fare piccoli movimenti, anche uno sguardo può creare grandi cose e grandi opere. "Cinema" parla proprio di quel film lì, dei suoi personaggi e di quello che mi ha dato. Nel pezzo c'è anche Giancarlo Grisi con il cristallarmonio e la canzone l'abbiamo registrata in modo particolare. Ho dato a tutti i musicisti gli accordi e le indicazioni sul tempo, ma le strofe le abbiamo registrate senza ascoltare la base in cuffia. Così chi suonava non sapeva se stava facendo suonando in modo giusto. Nel ritornello invece abbiamo registrato ascoltando la base. Mi piaceva l'idea di avere delle strofe che vanno un po' per i fatti loro e dei ritornelli più precisi. Mi dava un'idea di musica casuale.

Qual è lo strumento più strano che avete usato?
Quello più strano lo useremo nella gita a Valdazze e lo faremo suonare all'ingresso del paese. È l'intonarumori, uno strumento futurista inventato da Luigi Russolo, una specie di scatola con una tromba davanti che fa un rumore tra una motosega e un lupo che ulula. Poi ha una leva che azioni a manovella e dovrebbe intonare il rumore: ed effettivamente senti che il rumore cambia, anche se resta disastroso. Però l'idea mi faceva impazzire: avrei voluto usarlo molto di più nel disco, ma se c'è del cantato non è proprio facile da usare.

Dopo la fine dell'esperienza con Capossela, immagino ci sia stato un salto enorme dal punto di vista dei live. Dai grandi concerti a quelli piccolini. Come è stato questo cambiamento?
Io adesso mi sento a mio agio come mai in vita mia. Mi piace pensare che quella di Saluti da Saturno sia una Flexible Orchestra. Ovvero qualcosa che si adegua a seconda del posto in cui si va. Andiamo in un teatrino? Posso portarmi il cristallarmonio. Andiamo in un locale? Meglio lasciarlo a casa. Il repertorio resta quello, ma si può cambiare il modo di suonarlo. Poi con Marcello Monduzzi e Bruno Orioli, che suonano e cantano con me, mi basta alzare il ditino o lanciare uno sguardo e ci capiamo subito. Sono contento del fatto che siamo sempre riusciti a trasmettere la nostra immagine e davvero non mi sono mai divertito così tanto. Mi sembra di tornare alle nottate nei night, passate a fare jam con musicisti molto più bravi di te. Nottate dalle quali tornavi a casa che avevi il mal di testa da quanto avevi imparato e che restano la scuola migliore se vuoi fare il musicista. E poi mi piace cambiare: anche se vedo che una certa scaletta o una certa battuta per legare due canzoni funzionano bene, non le ripeto mai. Altrimenti alla terza volta andrei in crisi e tornerei al punto che dicevo prima, quando ho venduto le batterie. Questo modo di suonare dal vivo è la cosa che mi piace di più di Saluti da Saturno, perché rende la musica viva. Toglie l'appiattimento e il ragionamento, ma lascia un'immagine più fresca. E la libertà di fare pazzie.

---
L'articolo Saluti da Saturno - I cervi di via John Lennon di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2012-02-13 00:00:00

Tag: valdazze

COMMENTI (2)

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia
  • utente57088 12 anni fa Rispondi

    i suoni la ricerca sonora gli arrangiamenti sono interessanti, ma il cantato "caposseliano" rende il tutto ( per me ) poco interessante e coraggioso, canzoni per un pubblico di una certa eta' con la tessera di rifondazione, ma anche studenti di lettere sinistresi di buona famiglia ....... 6 -

  • utente30820 12 anni fa Rispondi

    vai Cocco !!!