Il Triangolo: tre punk con le camicie a fiori

Di pietà non ne hanno. Almeno per chi odia gli anni sessanta. Perché a quegli anni sono legati, soprattutto dal punto di vista musicale. Il Triangolo ha fatto un disco fresco e divertente, sixty fino al midollo e pieno di storie. E dire che hanno iniziato con il punk. L'intervista di Marco Villa al

Fotografie di Andrea Simone Raso
Fotografie di Andrea Simone Raso

Di pietà non ne hanno. Almeno per chi odia gli anni sessanta. Perché a quegli anni sono legati, soprattutto dal punto di vista musicale. Il Triangolo ha fatto un disco fresco e divertente, sixty fino al midollo e pieno di storie. E dire che hanno iniziato con il punk. L'intervista di Marco Villa al cantate del Triangolo Marco Ulcigrai.

 

Partenza scontatissima: perché gli anni '60? È solo una questione estetica o c'è altro dietro?
A dire il vero di estetico c'è davvero ben poco. Questa passione per gli anni Sessanta è qualcosa che avevamo dentro, che ci è cresciuta negli anni. In particolare è stato così per me e per Thomas, il bassista: entrambi abbiamo dei padri che, da bambini, ci hanno fatto ascoltare tantissima musica di quel periodo. Mio padre poi è proprio collezionista di dischi: mi ha fatto crescere con Guccini, De Andrè, Gaber. Ma non solo gli italiani, anche musica americana e inglese: Pink Floyd, Rolling Stones, Who. Quindi è una cosa che ho sempre avuto dentro di me. Poi, crescendo, arrivi a 14/16 anni e inizi a scoprire cose tue. Nel mio caso il punk: NOFX, Bad Religion, Offspring. Ma nel frattempo ho continuato ad ascoltare quello che mi passava mio padre, l'ho approfondito e poi ho messo tutto nel Triangolo.

Ascoltando il disco pensavo che aveste una passione e un interesse più generale per gli anni Sessanta. Invece tutto parte dalla musica?
Sì, tutto parte dalla musica e la musica poi ha saputo trasmettermi tutto il mood dell'epoca. Certo: mi affascinano gli anni Sessanta in generale, mi piacciono le camicie a fiori, ma mi fermo lì.

Nel 2011 avete pubblicato un EP che conteneva tre canzoni presenti poi anche nel disco vero e proprio. E due di quelle, "Battisti" e "Giurami", sono pezzi con dei gran ritornelli, da cantare. Mi aspettavo altre canzoni di questo tipo nel disco, invece mi sembra che siate andati in un'altra direzione.
Le tre canzoni dell'EP sono state le prime in assoluto che abbiamo registrato e anche le prime che ho fatto ascoltare agli altri in saletta. Non sono però le prime canzoni che scrivo: da anni faccio canzoni punk, hardcore, anche urlate, ma non avevo mai scritto pezzi di questo tipo. Però ho visto che quelle tre canzoni mi sono uscite d'istinto, con una facilità incredibile. Ci ho messo un paio d'ore e mi sembrava che funzionassero. Scrivendo "Le Forbici", poi, mi sono accorto che in pratica era un vero e proprio racconto, una storia cantata. Allora mi sono chiesto se non era il caso di provare a concentrarmi sull'idea, che mi sembrava interessante, di provare a scrivere altre storie. Così le canzoni uscite dopo l'EP sono venute più pensate. Ho curato di più il tema dei testi e di conseguenza anche il lato melodico è uscito più serioso.

E poi ci sono i due pezzi western a metà album. Anche qui l'ispirazione è sempre e solo musicale?
Sì, anche in questo caso l'atmosfera spaghetti western è dovuta agli ascolti. In questo senso la canzone che ci ha aperto la mente è stata "Le forbici", dove cominciamo ad accennare questo mood. Poi sono uscite le altre due e allora ho deciso di metterle insieme a metà disco. Ci sono due doppiette di canzoni nell'album: "Battisti" e "Giurami", che ho sempre concepito come un blocco unico e poi, appunto, "Canzone per un soldato" e "Johnny".

Voi siete di Varese: cosa c'è a Varese di così sixty e western?
In realtà noi non siamo nemmeno di Varese città, ma di Luino, quindi ancora più provincia. Però abbiamo formato Il Triangolo quando ci siamo trasferiti a Milano, per frequentare l'università. Abbiamo preso una casetta insieme e ci siamo detti: siamo qui, abbiamo cambiato città, possiamo pensare a fare qualcosa di nuovo. Probabilmente questo trasferimento, anche se in fondo di pochi chilometri, ha fatto scattare qualcosa e mi ha permesso di scrivere canzoni diverse da quelle che avevo sempre fatto. È come se si fosse risvegliato qualcosa che avevamo dentro di noi da molto tempo, ma che non avevamo mai approfondito. Di colpo, sono usciti tutti gli ascolti fatti da bambini e ragazzini.

Passando ai testi, mi sembra che facciate un gioco continuo. A volte parlate del presente usando parole e modi dire del passato, altre volte, invece, restate fermi direttamente nel passato. È così?
Per quanto riguarda i testi, le canzoni del disco si possono dividere in due gruppi. Ci sono quelle in apparenza allegre, ma in realtà tristi, come "Giurami", che parlano di ragazzi, di noi, della nostra generazione (l'età media del Triangolo è sui 25 anni, NdR). Ma non ne parlo direttamente: ho scritto i testi proiettando questa generazione negli anni Sessanta. Ma è una scelta di scrittura: non voglio parlare di quegli anni, ma di questi, di quello che ci circonda. Solo, ho deciso di proiettarlo in un'altra epoca, per trovare un punto di vista a un'atmosfera diversi. Poi ci sono altri brani, che, come dicevo prima, sono storie e lì diventa un caso a parte, perché, essendo storie inventate si può raccontare di tutto e giocare anche di più con le parole.

"Canzone per una ragazza libera" in quale gruppo la posizioni?
"Canzone per una ragazza libera" è un punto di unione tra i due temi. Parla di giovinezza, ma lo fa da un punto di vista completamente diverso dalle altre canzoni di quel tipo. E poi c'è una storia, la storia di questa donna realizzata, con una vita già fatta a e una famiglia, che pensa: ma se io avessi fatto delle scelte diverse, cosa sarebbe successo? Mi sentirei più libera o sarei completamente sola al mondo? È un flusso mentale che finisce per unire i due temi.

Tornando a "Giurami", in effetti è davvero un pezzo molto malinconico. Ma non siete troppo giovani per essere così nostalgici e retromani?
È vero, è un'età strana per essere nostalgici. Ma forse siamo nostalgici perché stiamo vivendo il momento più bello della nostra vita. Ne siamo consapevoli e siamo consapevoli che sta passando. Quindi forse non è tanto nostalgia, quanto un rendersi conto che stiamo crescendo e che questi momenti non dureranno per sempre. Forse se avessimo avuto una giovinezza più brutta non sarebbero usciti questi temi.

Forse avreste continuato a fare punk.
Sì, magari saremmo diventati gli Skruigners.

E questo passato punk si sente dal vivo?
Si sente senz'altro nei ritmi semplici della batteria. Ma ormai io canto impostato e, a parte "Quando Isacco gridò contro il popolo", in cui urlo un po', cerchiamo di essere puliti. Però ci muoviamo sul palco, ci muoviamo un sacco.

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L'articolo Il Triangolo: tre punk con le camicie a fiori di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2012-04-06 00:00:00

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