Vaghe Stelle tra il passato e il futuro nella musica elettronica: dai minimalisti americani agli inglesi che giocano a scacchi

Lunga e bella intervista a Vaghe Stelle

Lunga e bella intervista a Vaghe Stelle
Lunga e bella intervista a Vaghe Stelle

Ovviamente sono riuscito a perdere il treno che mi doveva portare a Torino in tempo per l'intervista. «Conosci un po' la città?» mi aveva fatto Vaghe Stelle al telefono. «Conosco giusto San Salvario» gli avevo fatto io, che avendo fra l'altro i tempi stretti per il rientro a Milano punto a stare in zona Porta Nuova. «Allora ci potremmo trovare davanti all'Astoria». Se c'è un posto che conosco a Torino, questo è l'Astoria. Con un'ora e mezza di delay rispetto a quanto avevamo inizialmente previsto cominciamo la nostra chiacchierata in un bar di via Berthollet che incredibilmente conosco anche io. Con noi c'è anche Alessio ovvero XIII: insieme stanno preparando il live della sera successiva all'Auditorium di Torino dove rielaboreranno fra l'altro “...Je vous en Prix” di Michele Tadini.

Tu sei di Torino, giusto?
Sì sono super torinese.

E com'è la tua città?
Ci sono abituato. Non so dirtelo. Continua a piacermi la città in sé anche se è un po' decaduta negli anni.

Dal punto di vista culturale dici?
Sì, dal punto di vista culturale.

La cosa strana è che la percezione di questa città che ha chi come me sta a Milano è giusto il contrario. Almeno la mia percezione da non milanese e non torinese è che la tua città sia piuttosto vivace e in crescita.
Sì, anche Milano spinge però. Torino ha perso molto, c'erano più serate, più concerti. Da quando hanno chiuso i Murazzi la scelta si è ridotta.

È una questione politica o dipende da chi vive qui?
Per me la base del discorso è economico-politica. Non ci sono più soldi e la gente non riesce più ad uscire; e la cosa più avvilente è che ci si sta abituando ad una proposta sempre meno stimolante. Vedo anche come si comportano i ragazzini: prima mi mandavano delle demo, ora non ricevo più nulla! Pur essendo una città grossa, rispetto a Milano direi che Torino tende ad essere sempre più provinciale.

Ci interrompiamo perché è arrivata la nostra ordinazione. Uno strüdel decente: mi mancava. Speriamo che passi il mal di testa.

Hai alle tue spalle esperienze importanti all'estero dal punto di vista musicale o personale?
Beh, direi di sicuro la Red Bull Music Academy. È stata una grande esperienza perché sei catapultato in un mondo dove lo scopo è fare musica e confrontarti, se possibile collaborare, con altri. Una cosa che ho fatto e che consiglierei anche ad altri.

Un momento propulsivo della tua carriera?
Sì, direi di sì perché ero molto giovane e mi ha caricato, mi ha fatto dire a me stesso: "Ora dacci dentro con la musica!".



Vuoi che facciamo i piagnoni, che cominciamo a dire "Oddio, in che posto viviamo?", o proviamo a fare i positivi?
Dici rispetto all'Italia? Io sinceramente ho pensato a spostarmi da Torino ma non saprei dove andare. Forse Londra ma è proibitivo per i costi. Ho pensato anche a Milano perché ho un sacco di amici lì che fanno musica. Ne ho di più lì che qui, per dirti. Lui per esempio [si riferisce a XIII] ora vive a Berlino...

Ti traferiresti solo per un discorso legato al tuo percorso artistico o anche per altri motivi?
La mia ragazza non vive in Italia e quindi ho anche pensato ad un trasferimento per questioni personali. Lei però sta in Svizzera e per questioni di soldi e di giro musicale per me sarebbe ancora peggio! [ride] Da poco ho preso casa qui a San Salvario, quindi per il momento sto qui.

Dai, allora smarchiamoci anche dalla seconda classica domanda: ok la musica, ma nella vita cosa fai?
Faccio musica; in un modo o nell'altro riesco a vivere di questo fra serate, lavori per altri... Sound design per pubblicità, cose così.

Beh direi che hai già raggiunto un obiettivo mica da poco.
Ah, certo; ho la fortuna che sia così da un po' quindi non mi lamento certo.

Prima stavo leggendo un libro sulla mitologia dei Centauri e visto che stavo venendo da te ho fatto questo collegamento con l'Orsa, visto il moniker artistico che ti sei scelto. Che dici, ci togliamo di mezzo la terza domandona sul nome? Visto che una volta era scontato, in Italia, fare riferimento al nostro retaggio umanistico, è strano che tu non abbia un nome inglese o un nome studiato apposta per i motori di ricerca. Sai, con il simbolo del dollaro e simili idiozie.
Vabè, io semplicemente mi sono innamorato del film di Visconti, "Vaghe stelle dell'Orsa". Mi piace molto l'idea che sta alla base della pellicola, cioè che il passato in un certo senso non ti lasci mai. Lo sentivo molto vicino al mio vissuto personale, al mio modo di confrontarmi con le esperienze di vita in generale, quindi ho adottato quel nome. Il fatto poi che fosse legato alla poesia di Leopardi è una conseguenza che però fa figo dire nelle interviste!

Ti piace quella poesia? O Leopardi in generale?
Mah, sì, ma come ti dicevo è una cosa collaterale.

Nel tuo ultimo album il discorso della memoria è molto presente.
Sì, quell'album io lo vedo proprio come un dialogo fra me e alcuni episodi della mia vita riferiti al periodo in cui ci stavo lavorando sopra. È un discorso molto personale con me stesso.

Sono evocazioni di ricordi o si tratta piuttosto di sogni?
Più di sogni direi. Questa è un'altra cosa che tendo a fare: faccio molti sogni strani e in alcune occasioni addirittura ci immagino proprio la musica; alcune di quelle tracce sono concepite in sogno. Ho pensato lì dei giri, delle melodie e altre cose...

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Sei uno interessato al panorama sonoro? Ti influenza in qualche modo il luogo in cui vivi o in cui ti trovi quando stai componendo?
Sì, certo. Per dirti, quando sono andato a lavorare a Istanbul per un mese con il mio progetto One Circle, insieme a Lorenzo Senni e A:RA, sono rimasto molto colpito dalla città. Lì era inevitabile che ciò che stavamo facendo fosse contaminato dal panorama sonoro che avevamo intorno.

Hai un retroterra musicale strutturato o sei un'autodidatta?
Niente di particolarmente strutturato, no. Ho fatto un po' di pianoforte e un po' di armonia però non so suonare nessuno strumento davvero bene.

Prima di iniziare l'intervista mi è parso di capire che dal punto di vista musicale sei un curioso. Dicevi ad esempio che segui la classica contemporanea.
Sì, mi piacciono i linguaggi della musica classica contemporanea che estremizzano i concetti di melodia e armonia. Mi piace chi amplia così come chi riduce all'osso, come nel caso dei minimalisti americani. Queste cose mi interessano molto.

Ti piacerebbe collaborare con qualche compositore?
Certo, decisamente sì. Mi sentirei un po' a disagio perché non ho le competenze di un vero compositore. Mi sentirei intimidito, ecco. Però mi piacerebbe.

Un nome su tutti fra i compositori, viventi o no, che ti piacciono?
Mah, Steve Reich e anche Luciano Berio che nominavi prima tu. Anche le cose che fecero nel giro di Giusto Pio all'epoca, fra sperimentazione colta e altri linguaggi...

Tornando all'album: io ci sento delle cose Warp dentro, soprattutto negli incastri melodici. A me vengono in mente i Plaid, per dirti. So che è un giochetto poco simpatico...
Guarda, io i primi dischi dei Plaid li ascolto ancora. Questo album ha già due anni e le cose sono cambiate dal punto di vista dei riferimenti musicali. Forse, se devo fare un collegamento al suono Warp, penserei alle compilation "Artificial Intelligence". Difficile però essere oggettivi sulla propria musica.

Per quanto riguarda il live, viste le grandi riserve sui concerti di musica elettronica del tipo “Sta controllando la posta?" Tu come ti poni?
Sì, nell'elettronica c'è questo problema. Dipende da dove suono; se sono in situazioni più club spingo il mio suono verso il dancefloor. Se mi capitano cose come domani sono più da ascolto. Alle volte mi porto dietro i visual che faccio e controllo io, ma dipende dalla location.

L'aspetto visuale lo curi tu perché sei un appassionato di grafica?
No, sono appassionato di immagini e mi piace collegare le mie cose perché alle volte ho delle idee in testa che vorrei tirar fuori anche sotto l'aspetto visivo.



C'è qualche live che hai visto e che ti ha fatto dire: "Sì, si potrebbe fare così"?
Sì, ci sono delle cose interessanti che ho visto come ad esempio Patten dal vivo di recente a Roma. La performance in sé non mi ha dato niente di nuovo ma i visual erano molto belli. Comunque io sono un po' un nerd e quindi mi piace gente come Legowelt che si porta dietro le macchine vecchie; mi piace capire che cosa succede, come fanno gli altri. Anche un Actress che suona con un controller del cavolo non mi dispiace. Alla fine mi va bene anche chi va lì e schiaccia play.

Come fecero gli Orb in quella loro famosa apparizione a Top of The Pops nel 1992: c'erano loro sul palco che giocavano a scacchi mentre la loro "Blue Room" passava in sottofondo...
Sì, cose così. Ma al contrario ci sono live entusiasmanti come, per dirti, quello di Jaimie Lidell che finisce tutto sudato... Anche cose così sono fighe.

Quindi tu sei un nerd da studio?
Sì, io starei sempre in studio a suonare da solo o con gli altri. Se potessi starmene a casa da solo sarei felice.

Non ti piace suonare dal vivo?
Sì, certo. È bello perché vedi posti fighi e conosci anche gente interessante, però fondamentalmente è una sbatta.

Meglio casa?
Sì! Casa, musica, poi ti guardi un film...

E qui comincerebbe la parte nerd dell'intervista, quella fatta a casa di Vaghe Stelle con il suo cane innervosito che si morde le zampe e i suoni del live che prendono pian piano forma nelle nostre orecchie. Un ottimo misto fra le geometriche melodie che sono il marchio di Vaghe Stelle e i fondali noise di XIII. Si parla ancora di musica, di mixaggio, degli artisti che ci piacciono e di quello che ci piacciono meno. La pastiglia per il mal di testa comincia a sgomberarmi la testa: peccato che sia già ora di lasciare i curiosi paesaggi umani di San Salvario per tornare a Milano.

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L'articolo Vaghe Stelle tra il passato e il futuro nella musica elettronica: dai minimalisti americani agli inglesi che giocano a scacchi di Francesco Fusaro è apparso su Rockit.it il 2014-03-03 00:00:00

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