Manges - Non stupisci più nessuno col punk

Ché ormai il genere ha 40 anni, è più conservatore che rivoluzionario, al pari dei mods, al pari dei rockabilly. Ci saranno altri look per provocare. Detto da una band che ha vissuto quasi vent'anni con il chiudo e la maglietta a righe. Una bella e lunga intervista ai Manges.

Alla vigilia del nuovo tour, i Manges, pionieri della scena punk spezina, ci raccontano il nuovo disco "As is well"
Alla vigilia del nuovo tour, i Manges, pionieri della scena punk spezina, ci raccontano il nuovo disco "As is well"

Pionieri della fiorente scena punk di La Spezia, i Manges nascono nel 1993 e sono ormai catalogabili tra le istituzioni del genere, in Italia ma non solo. Vi basti sapere che tra le altre cose hanno suonato con gente come Bad Religion, Anti-Flag e CJ Ramone, gli Screeching Weasel hanno inciso un loro pezzo, Philip Hill dei Queers ha prodotto il loro secondo album... Ora tornano con un nuovo disco: “All is well”, prodotto da Hervé Paroncini dei Peawees. Li abbiamo intervistati, alla vigilia della partenza del loro tour.

Io partirei da La Spezia, che potremmo definire una piccola roccaforte del punk: voi, i Peawees, gli Evolution So Far sono i primi nomi che mi vengono in mente, però sicuramente me ne dimentico una valanga.
Beh ci sono i King Mastino per esempio, o i Fall Out che sono nati prima di noi...

La formazione di una scena così vivace collegata a questo genere così, a cosa la legheresti? Cioè, c’entra secondo te la città, c’entra il carattere degli spezzini?
Beh sì, il carattere degli spezzini secondo me c’entra, perché Spezia è una città che per tanti anni è stata un po’ sfortunata, per cui sicuramente un certo tipo di reazione ha trovato terreno fertile. E poi è stato un caso, tutta una serie di cose insieme… il locale La Skaletta ha giocato un ruolo importante secondo me.

Mi hai anticipato perché la domanda successiva sarebbe stata proprio sulla Skaletta…
Sì, il club, che ha aperto nel 1994 e festeggia quest’anno il ventennale, ha fatto da aggregante perché in un momento in cui in città non c’era assolutamente nulla, si è ritrovato a fare musica dal vivo con un collettivo di persone che effettivamente aveva un sacco di elementi speciali tutti insieme, a partire da Jacopo Benassi, il fotografo, e tanti altri… insomma ci sono varie persone che hanno contribuito a uno sviluppo culturale che ha portato poi ad avere, tra la fine anni dei ’90 e l’inizio degli anni 2000, una marea di gruppi punk a Spezia, tantissimi per una città di 100.000 abitanti.
E La Skaletta io la paragono sempre al CBGB, anche perché è un locale molto piccolo, un po’ angusto, ma che si presta proprio bene a fare dei concertini caldi. Adesso sono passati veramente tanti anni e comunque continua a avere un bellissimo calendario. Noi continuiamo a suonare a Spezia solo ed esclusivamente lì.

Finisco un po’ questa tirata per chiederti se vi considerate un po’ dei pionieri di questa scena del punk spezzino.
Beh, a Spezia sicuramente, quando abbiamo iniziato noi a fare punk, c’erano soltanto gruppi metal e all’epoca c’era il grunge, quindi praticamente tutti i gruppi cercavano di imitare un po’ i Nirvana, un po’ i Pearl Jam, un po’ erano influenzati dalla maggior parte dei gruppi metal in circolazione, quindi quando noi abbiamo iniziato a fare punk onestamente eravamo dei marziani in città, quello sì. Dal punto di vista della scena italiana, c’era già ovviamente una scena melodica con il punk cantato in inglese… l’ispirazione c’era già, c’erano i SenzaBenza, che per noi erano dei miti. Poi i Gas, i Mondo Topless, i Chromosomes… noi abbiamo iniziato, però eravamo dei pivelli, nel ’93 onestamente eravamo un gruppo proprio agli inizi. C’è da dire che secondo me, dove siamo stati un pochino più avanti degli altri è stato negli anni successivi… siamo stati tra i primi che hanno avuto un po’ le influenze della Lookout! Records, tra i primi gruppi in Italia a portare quel tipo di suono e quel tipo di approccio. E quindi di conseguenza siamo stati anche tra i primi gruppi che hanno iniziato ad andare all’estero, a crearsi contatti a fare concerti in Inghilterra e in America perché prima la scena italiana era un pochino chiusa in se stessa… si veniva dal do it yourself, molto politicizzato, i centri sociali. Noi in qualche modo, pur avendo le stesse radici perché poi siamo un gruppo che ha sempre suonato volentieri nei centri sociali e bene o male siam cresciuti in quei ambienti lì, di punk della vecchia scuola, però siamo stati forse tra i primi che hanno avuto un approccio un pochino più, come dire, pop e internazionale.



Ma nonostante siano tanti anni che suonate, in realtà non avete inciso tantissimo. Avete fatto uscire tanti split, singoli, però solo quattro album veri e propri. Una scelta per privilegiare maggiormente l’aspetto live?
No, non necessariamente. Perché se poi vai a vedere il numero di concerti che abbiamo fatto in vent’anni, non è alto neanche quello. Cioè, in realtà cerchiamo di centellinare bene sia i concerti che le uscite. Poi ci scappa la mano sui singoli, sui 7”, perché ci piacciono, sono la dimensione giusta per noi; ma in realtà se ci guardi siamo un gruppo che ha sempre preferito non esporsi troppo. Per ragioni più stilistiche che altro, non perché non ci interessasse essere apprezzati, però abbiamo sempre preferito mantenere un basso profilo e non cercare disperatamente di ingrandirci, vendere… abbiamo sempre mirato a fare quello che ci piaceva. Costruirci un seguito è venuto in un secondo tempo. E quando registriamo un album ci piace dedicargli il massimo tempo possibile, quindi ne facciamo più o meno uno ogni tre-quattro anni. Per essere onesti, negli anni Novanta odiavamo i cd, quindi facevamo soltanto singoli e 7”, poi ci siamo resi conto che questa cosa non poteva avere molto seguito, per cui alla fine dal primo album in poi abbiamo fatto cd ed LP. E mi sembra di parlare di altri tempi, se ti dico che vendevano migliaia di copie gruppi anche poco conosciuti o niente conosciuti. Ovvio, non potevi prendere la roba gratis che volevi come ora, avevi l’amico che ti registrava una cassetta, ma comunque tutti, anche quelli che andavano ai concerti occasionalmente, eccetera, tutti avevano l’abitudine di comprarsi ogni tanto qualche disco, non tanti, alcuni, c’era chi era fissato che ne aveva un sacco, ma normalmente anche uno che non era interessatissimo qualche disco ogni tanto se lo comprava. Adesso invece no: fondamentalmente, se uno non è interessato, si scarica quattro cazzate da internet ed è contento così. Quindi no, all’epoca ti garantisco che per tutti i gruppi della scena underground punk comunque il normale era stampare 1000 copie di un 7”, quando proprio non eri nessuno. 500 copie non se ne parlava neanche: stampavi 1000 copie di un 7” e le vendevi anche.

Mi hai anticipato ancora sul discorso album, dicevi “abbiamo fatto pochi dischi un po’ per una questione di coerenza stilistica”. Io ho sentito grande coerenza nel vostro lavoro, nel senso che avete il vostro stile e fondamentalmente si è mantenuto nel corso degli anni. In quest’ultimo disco, ci ho sentito solo un pizzico di ironia in più, per dire, in pezzi come “My Bad”, “Love is a Disease”, “Lone Commando”… Diciamo ancora più Ramones del solito, ecco, non so se mi passi la cosa...
In realtà si tratta sempre di differenza abbastanza sottili, nel senso che chiaramente lo stile coerente e sempre uguale è quello che ci piace e che vogliamo mantenere per questo gruppo. Il che non significa che a noi piace solo questa musica qua, ma i Manges hanno un’identità ben definita, che si merita di non subire intrusioni che vadano a rovinarne la storia o a guastarne lo stile. Poi se domani volessi fare un pezzo con la chitarra acustica e voce, non lo farei coi Manges, capisci?

Certo, ma è una cosa che non tanti hanno il coraggio di fare…
Mah sai, noi abbiamo sempre visto il nostro gruppo un po’ come una gang.. cioè, siamo partiti tipo “Guerrieri della notte”, vestiti tutti uguali, o come i Ramones, che sono riusciti ad essere dei personaggi di fumetti viventi, e questo è lo stile che ci piace. Non pretendiamo di essere ai livelli dei nostri miti, però mantenere coerenza in quel senso e essere più o meno sempre sullo stesso stile, quello lì è un obiettivo che pensiamo sia raggiunto. Poi il resto sono piccole variazioni: negli anni Novanta sicuramente eravamo molto più solari, poi nei lavori successivi abbiamo esplorato un po’ il terreno della depressione, della guerra, dell’ansia verso la modernità, argomenti abbastanza scuri. Allora per questo nuovo disco c’era molta voglia di ritornare a un po’ di serenità che sentivamo a questo punto di meritarci, per cui ci siamo concessi temi un pochino più leggeri.

Senti, dato che parliamo di Ramones, parliamo anche di una cosa che avete tenuto negli anni che è la vostra divisa, il chiodo e soprattutto la maglietta a righe bianche e nere. Secondo voi, secondo te, quanto è importante avere un look riconoscibile in un genere come il punk rock?
Beh, il punk ha sempre avuto una forte componente estetica, prima come rottura, poi come trend: ma l’estetica e il punk secondo me sono in relazione, dai Sex Pistols che nascono in un negozio di abbigliamento in poi. Per quanto mi riguarda una band che cura il look in maniera sufficientemente compatta prende dei punti perché quando vado a vedere uno show mi piace che il gruppo abbia una sua unità. Certo, le forzature, le cose fatte… che non sanno di verità, non mi piacciono e lo vedo lontano un miglio quando una persona si è mascherata per fare un concerto. Ovviamente il punk è nato come una rottura con i canoni estetici delle persone normali ma poi si è evoluto in un trend con i suoi codici ben definiti ormai, cioè non è più ribelle… certo, a me ancora fa simpatia se uno si scrive da solo sulla maglietta e al collo ci mette un cavo del telefono. Però onestamente ormai non puoi più stupire in nessun modo con il punk. Ci saranno altri modi per stupire, altri look, altre cose, il punk ormai ha quarant’anni anni ed è più conservatore che rivoluzionario, al pari dei mods, al pari dei rockabilly.
Poi in Europa, in America, non solo il punk ormai è diventato mainstream, ma lo è da vent’anni. È dai Green Day che è mainstream il punk. E loro ormai sono dei dinosauri del rock, per cui semplicemente il punk è stato inglobato nelle dinamiche delle cose che sono rivoluzionarie all’inizio per poi diventare conservatrici. Penso proprio che sia un processo abbastanza inevitabile.



Parlavamo di tour prima, e tu hai detto “non abbiamo fatto tante date”: in realtà avete girato l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone… avete girato il mondo più volte, avete diviso il palco con i Bad Religion, gli Anti-Flag, mostri sacri del genere, avete fatto tour con i Queers e CJ Ramone... Ecco, quello che volevo chiederti è qualche chicca successa on the road...
Questa è la classica domanda che mi manda in para perché non mi viene in mente niente! Abbiamo suonato davanti a tre persone in un parco in America, ma anche davanti a 1000, magari di spalla ad altri gruppi belli eccetera. Per cui ce ne sono capitate più o meno di tutti i colori. Ora su due piedi, pescare qualcosa non saprei. Però guarda, ti dico… a noi onestamente piace andare in giro a suonare, sì, ma non ci piace l’idea di passarci per forza tre quarti della nostra vita, che poi è anche il motivo per cui probabilmente non siamo comunque dei professionisti a tempo pieno. E quindi in realtà, dovunque andiamo a suonare, la gente non ci dice “eh ma non suonate mai”, anche in Italia: adesso abbiamo dieci date, ma generalmente noi più di dieci date in Italia non facciamo. Chiaramente ce ne vengono offerte molte di più, ma cerchiamo di suonare il meno possibile perché altrimenti saremmo sempre in giro. Poi alla fine, anche la bella sensazione di divertimento che c’è sul palco, se lo fai in continuazione, la perdi, “tanto non è il mio lavoro”, così… Però mi hai fatto un’altra domanda!

Tranquillo, questo è un discorso che mi interessa molto di più: nel senso che io ne ho conosciuti davvero pochi di musicisti, a qualsiasi livello, che ammetterebbero le fatiche anche psicologiche dei tour e direbbero “io non ce la faccio a fare solo quello”…
Intendiamoci: a me piace stare in tour, la maggior parte di noi si diverte un casino, ci piace viaggiare insieme, ci piace suonare, è ovvio. Quello che vogliamo evitare è il ritrovarci forzati a stare in tour fino a sessant’anni per una cosa che poi fondamentalmente non… cioè, per un gruppo punk, capisci? Nel senso, non siamo dei professionisti e dubito che lo diventeremo. Per cui alla fine cosa fai? Vai in giro, vai in giro, vai in giro… ti stufi tu per primo, stufi la gene che ti ascolta, tipo “ah chi viene in tour quest’anno? Ancora i Manges? Che palle!”, capito? Quella cosa lì la vogliamo evitare. Poi se un giorno ci capitasse di stare in tour per mestiere di più, di base non impazziremmo all’idea, ma non sarebbe quello a farci schifo, non ci fa schifo andare in giro a suonare. Semplicemente non ci piace l’idea di spingere i Manges a farli diventare una cosa che non sono.

Passiamo allo studio. Per questo disco siete tornati un po’ al DIY, no? Avete deciso di tornare in Italia, la produzione l’avete affidata a Hervè Paroncini dei Peawees che prima è stato anche vostro chitarrista. Come è stato lavorare con Hervè, e con in consolle uno che è anche un amico di vecchia data.
Il discorso del ritorno al DIY lo riferirei non tanto alla produzione artistica di studio, quanto alla distribuzione del disco, che non abbiamo in Italia questa volta, mentre di solito avevamo comunque delle etichette italiane a supportarci. In questo caso abbiamo deciso direttamente di gestirci da soli con il nostro mail order. Per quanto riguarda lo studio: con Hervè ci conosciamo da 20 anni, siamo grandi amici, grande rispetto noi per lui, lui per noi, delle relative capacità di fare musica. Io lo conosco come una persona molto pignola, molto attenta al dettaglio, con un grandissimo gusto estetico e una grossa passione. Di conseguenza andare in studio con lui e prendersi questa volta in Italia tutto il tempo che volevamo per registrare il disco come ci piaceva, era quello che ci interessava fare questa volta; rispetto magari a “bello andare a registrare negli Stati Uniti” però vai là dieci giorni, torni indietro, quello che hai fatto hai fatto, magari hai la stanchezza del viaggio, delle decisioni da prendere, le prendi un po’ di corsa e tutte le volte poi capita che torni e dici “sono contento del disco, però avrei cambiato questo, quello e quell’altro”. In questo caso posso dire “sono contento del disco, magari in futuro vorrò fare cose diverse, prenderemo decisioni diverse, ma per questo disco, in questo momento, abbiamo fatto esattamente quello che volevamo fare”. Inoltre Hervè lo abbiamo scelto perché lui essendo molto appassionato di musica '60s e '70s, e non conoscendo punk band della scena moderna (non le ascolta e non gli piacciono), ci ha potuto dare un orecchio diverso. Per evitare di rimanere influenzati dai gruppi dei nostri stessi amici, della nostra stessa scena e suonare come tutti gli altri, abbiamo pensato con uno sguardo dal suo punto di vista. Non volevamo che fosse un disco contemporaneo, “ah cavolo, questo disco suona 2014”, “il più bel sound che puoi avere nel 2014”. Abbiamo cercato di trovare un qualcosa che poteva essere '70 o '80, e che però fossimo sempre noi.
Poi io personalmente, che comunque scrivo dal punto di vista delle musiche, ascolto tanta roba anni '70, ascolto surf, vado matto per i Creedence, di conseguenza i miei ascolti non sono solo punk, anche se ascolto anche il punk moderno, pop punk, punk rock. Con Hervè in studio, finiva che mi diceva “guarda, questa cosa la leviamo perché suona troppo Blink 182” e io dicevo “ guarda che i Blink qua non c’entravano niente”, ma quello era il suo modo di farmi capire che comunque aveva un suono pop punk che non era quello che ci interessava fare. Poi comunque i pezzi non hanno subìto grandi modifiche… lui ha lavorato molto sugli arrangiamenti e sulle sonorità, con precisione sui dettagli, sui cori e tutto.


(Tutti i componenti vecchi e nuovi dei Manges)

Chiuderei con una domandina facile facile: quali sono i tuoi gruppi italiani punk preferiti?
Allora, SenzaBenza sempre e i Chromosomes. Sono i due gruppi degli anni '90 che ho amato di più. Di recenti mi piacciono molto i Ponches di Torino, i Teenage Bubblegums, i Tough. Sì, è difficile come scelta perché sono tutti un po’ miei amici, mi piacciono quelli però sono amici anche quegli altri, perciò non vorrei che si offendano.

E invece di altri generi? Generi che con il punk non c’entrano nulla?
Di roba moderna, ti confesso che non ascolto niente, di roba nuova niente. Anche perché non ascolto radio, non guardo tv, MTV, trasmissioni musicali, no… io onestamente continuo a frugare tra roba vecchia, a cercare altre cose che mi piacciono che mi erano sfuggite prima. Faccio fatica a memorizzare, a interessarmi ai gruppi nuovi che escono. Poi la scena indie mi scivola addosso … forse l’ultimo gruppo italiano che non c’entra niente con il punk che ho pensato “questi sono veramente bravissimi, mi piacciono un casino” sono i Bad Love Experience. Anche loro però ormai è un bel po’ che sono in giro, non li posso considerare nuovi.

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L'articolo Manges - Non stupisci più nessuno col punk di Silvio Bernardi è apparso su Rockit.it il 2014-04-18 00:00:00

Tag: punk

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