Ivan Graziani - Il rock’n’roll nasce in Abruzzo

Oggi, nel 1945, nasceva Ivan Graziani. Ecco il nostro personale tributo a lui e ad uno dei suoi più begli album, "Pigro".

Ivan Graziani
Ivan Graziani


Baciato in fronte dal rock’n’roll, voleva cambiare il significato della parola “rock italiano” in modo che non fosse più un sinonimo di “musica melodica”. Un artista che non ha mai smesso di essere attuale. Renzo Stefanel ci racconta la storia di “Pigro”, l’album di Ivan Graziani uscito nel 1978.

Scegliere un album dalla discografia di Ivan Graziani non è cosa facile. Dal 1976 al 1980, tutti con grandi canzoni dentro, ma anche con cadute di tono spaventose. Finché lo sguardo, o meglio l’orecchio, si posa su questo “Pigro” del 1978, album perfetto del rocker e cantautore abruzzese. Ma Ivan Graziani, perché? Chi era?

Ivan Graziani, occhiali rossi dalla montatura enorme – “come Elton John”, si diceva negli anni '70 – eterna chitarra a tracolla, emette i suoi primi vagiti il 6 ottobre 1945 a Teramo, provincia abruzzese. Il rock’n’roll lo bacia in fronte ben presto, e lo trattiene ore a provare i trucchi di “Apache” degli Shadows sulla sua chitarra. A 15 anni è già in tour in Tunisia con la band abruzzese Nino Dale and his Modernists. Poi scappa da Teramo, per Urbino, dove si diploma in arti grafiche. Mica fa il pittore: disegna fumetti porno per i giornaletti svedesi (“riuscii a guadagnare fino a 120.000 lire a striscione”). Poi fonda l’Anonima Sound, va a Milano, lascia il gruppo ed entra nel giro della Numero uno. Suona per Battisti (ufficialmente in “Ancora tu”, ma in realtà anche prima, non accreditato), ruota intorno alla PFM in cui sta per entrare e con cui scrive il bel brano “From Under”, opening track di “Chocolate Kings”, collabora con Venditti allo sfortunato “Ullalla”. Intanto, finalmente, dopo un paio di album che nessuno ha notato, almeno la critica si accorge di lui con “Ballata per quattro stagioni” (1975). Ma è nel 1977 che arriva il botto con “Lugano addio”, dolce ballata ultramelò tratta dall’album “I lupi”, storia storta di un amore andato a male per le troppe diversità di lui e di lei, un incontro di una stagione, terminato da dna diversi, forse, e ora rimpianto.

Non è uno melenso, Ivan, nonostante i suoi maggiori successi siano tutte ballatone: “Agnese” (1979, tratta da un canto popolare svizzero per il tramite del compositore settecentesco Muzio Clementi), parla di un’altra vita terminata con la fine di un amore e vissuta solo nel ricordo e nel rimpianto (terribile il finale: “Io vado in bicicletta / per sentirmi vivo / alle cinque di mattina / con nebbia nei polmoni / però non c’è più Agnese / seduta sul manubrio / a cantar canzoni…”), in cui la ciclicità della melodia sottolinea il senso di un’esistenza ripiegata su se stessa; “Firenze canzone triste” (1980), storia di un menage a trois da cui lei se ne va, lasciando i due amanti a piangersi insieme addosso, forse sbronzi in un’osteria.

(Ivan Graziani negli studi di Radio Studio 105)


Se [..] riuscissi a far capire il rapporto diretto cantautore-musicista, la necessità di non separare queste due situazioni musicali, avrei ottenuto abbastanza”: ecco lo specifico di Ivan Graziani. Che con “Pigro”, complici Hugh Bullen al basso, Walter Calloni alla batteria, Claudio Maioli alle tastiere, Claudio Pascoli ai fiati (la band del Battisti 1975) sfodera un disco che ha l’ambizione di rendere l’espressione “rock italiano” ben altro che un eufemismo per “rock melodico”. Il nostro, forte di studi profondi sul folklore mediterraneo e statunitense, ha la sfrontatezza di dichiarare che nel rock’n’roll ci sono scampoli di tradizione abruzzese: “Nella seconda metà dell’800 in America c’erano più abruzzesi che indiani… e questi disgraziati oltre a lavorare come bestie avranno cantato e ballato le loro cose, se non altro come ricordo del loro paese, e tra queste la più sentita e importante è il saltarello che è un tempo molto simile alla tarantella, simile al ballo tondo che c’è in Sardegna. […] Anche se il rock fosse nato indipendentemente dalle nostre tradizioni, esso funziona magnificamente qui da noi e si adatta al bisogno di divertimento che anche nelle nostre musiche si poteva riscontrare. Il divertimento, che non è una stronzata ma è una cosa seria, è il 90% del rock, l’altro 10% serve per chi, come me, vuole usare questo genere musicale per cercare di dire qualcosa”, dichiara a Luigi Granetto.

“Pigro” presenta otto storie di vite spezzate dalla pigrizia mentale, dall’indolenza, dall’incapacità di avere fiducia nei propri mezzi e di andare oltre la “mezza porzione abbondantina” di mastroiannesca memoria, battuta simbolo dell’italianeria imbelle e sborona. “Monna Lisa”, su un riff di derivazione rockabilly che non sarebbe dispiaciuto al Johnny Marr di “Rusholme Ruffians” o “Vicar In A Tutu”, racconta l’avventura del ladro della Gioconda, che, in base a confuse rivendicazioni estetico-sociali, tenta il furto del secolo: e all’arrivo della polizia, dato che non afferra il francese, se ne sta “ancora un poco qui a pensare“. In anni in cui si parlava – e si sarebbe parlato ancora a lungo – dell’inconciliabilità tra metrica rock e lingua italiana, il brano è una dimostrazione di forza e capacità di scrittura: “il rock, proprio perché è spigoloso, angoloso nella costruzione metrica, ti lascia la libertà di scrivere versi che non sono versi, ti dà la possibilità di dare una mazzata in testa alla retorica. Sfido chiunque a musicare parole come quelle di “Monna Lisa” con un genere musicale diverso dal rock; per inseguire quelle parole, specialmente negli stacchi, sono andato letteralmente in manicomio. […] Se tu entri dentro a questo gioco demoniaco che ha il rock, tu puoi parlare di una sedia ed essere interessante”. “Sabbia del deserto” illustra la vita sbagliata di un’aspirante artista fallito, che si trascina tra camere a ore e feste dai parenti, in una provincia “come un’isola di matti / perduta nella pioggia si allontana alle mie spalle“, in cui “l’inquietudine mi cresce dentro come un cancro“. E non a caso l’arrangiamento procede tra un beffardo sax da balera e sapori country & western che rimandano al Midwest americano. “Paolina”, fatta di un arpeggio indolente già quasi proto-grunge, racconta la storia di una demi-vierge trentenne (“Gloria gloria alle tue gambe / alla tua schiena e alle tue guance / Voglia voglia voglia anche tu ne hai voglia / Paolina stiamo insieme hai trent’anni ormai”), mentre “Fango”, che sfodera uno slow rock memore anche del connubio Osanna-Bacalov di “Milano calibro 9″, è un vero e proprio noir (come la splendida “Motocross” in “I lupi”): un giovane giostraio si ritrova killer suo malgrado.



“Pigro”, che apre la facciata B, veloce rock acustico, racconta un antico vizio italico: gli intellettuali che predicano bene e razzolano male, mentre “Al festival slow folk di B-Milano” è un'allucinata (forse sulla scia di “Last Trip To Tulsa” di Neil Young) e feroce satira dei festival rock dei compagni, dove si esibiscono improbabili e strampalati artisti intellettualoidi, che però stanno dalla parte “giusta”. “Gabriele D’Annunzio” è uno dei vertici del disco, scritta per esorcizzare un suo fantasma personale (lo scrittore): su un tappeto di chitarra che viene giù dritto dai Jethro Tull più acustici e pop, Graziani sciorina la storia di un conosciuto davvero “Gabriele D’Annunzio che faceva il contadino: era orribile, privo di qualsiasi personalità, ubriacone, reietto; era uno straccio d’uomo che l’unico rapporto che poteva avere era con le bestie… e il suo più grande colpo erotico è stato a Milano, a Parco Ravizza, dove andò con il cappotto nudo sotto, a far paura alle bambine”. Infine “Scappo di casa” è la storia di un uomo rimasto bambino per le preoccupazioni sessuofobiche della madre. Gran disco, uno dei capolavori degli anni '70 italiani. Un artista che non ha smesso di essere attuale, la sua influenza si sente in molti cantautori di oggi, uno su tutti: Brunori Sas.

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L'articolo Ivan Graziani - Il rock’n’roll nasce in Abruzzo di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2014-10-06 09:27:00

COMMENTI (6)

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  • re 10 anni fa Rispondi

    @glpalombi
    In effetti, Gianluigi, io ho un grosso problema col folk italiano, di qualsiasi regione, comprese le mie due.

  • glpalombi 10 anni fa Rispondi

    Grazie Renzo. E' particolare il fatto che, tra le canzoni che tu citi, ci siano almeno tre liriche che hanno forte connotazione regionalistica. Nella discografia ma anche nello stile musicale, Graziani lascia molto spazio alle sue origini. Lui stesso ne fa cenno nella famosa intervista a Luigi Granetto che tu hai riportato in maniera magistrale. Si pensi non solo a Ninna Nanna dell'Uomo ed a Gran Sasso, ma anche il Campo della Fiera che fa riferimento alla terra d'Abruzzo, ma anche "Taglia la testa al gallo ", dove il riferimento è per la sua amata Sardegna (la madre è di Alghero). Anche in questo caso, il Nostro se ne è allegramente fottuto dell'eventuale impatto che canzoni cosi regionalistiche potessero avere sul grande pubblico ("Ninna Nanna dell'Uomo" è in dialetto teramano, tra l'altro con un riconoscibilissimo quanto straordinario pianoforte vendittiano) ed è andato avanti per la sua strada. Credo che Ninna Nanna e Gran Sasso siano entrate di diritto nella canzone tradizionale abruzzese e questa è un altra grande conquista del caro, vecchio Ivan.

  • pons 10 anni fa Rispondi

    @JanCarlosAmigo @glpalombi

  • re 10 anni fa Rispondi

    Gianluigi, hai ragionissima su tutto.
    Amigo, si tratta di gusto personalissimo. Musicalmente mi piacciono poco "E sei così bella", "Ninna nanna dell'uomo", "Il piede di San Raffaele", "Canzone per Susy", "Olanda", il ritornello di "Pasqua" e "Gran Sasso". Non volermene. Sarò sbagliato io. :)

  • JanCarlosAmigo 10 anni fa Rispondi

    Grazie per l'articolo, per aver ricordato Ivan Graziani
    per quello che è stato (ed è tuttora),
    e quanto la musica italiana deve al rock di Ivan.
    Per curiosità : cosa intende quando parla di
    "cadute di tono spaventose" negli album dal 1976 al 1980?
    Si riferisce a qualche canzone in particolare?
    Da parte di un fan di Ivan,cordialmente...

  • glpalombi 10 anni fa Rispondi

    Ottimo articolo. Tuttavia c'è una piccola imprecisione. Il brano " Al Festival slow-folk di Bi-Milano" è una ironica quanto pungente critica al Progressive italiano, genere molto in voga in quel periodo. E'altrettanto vero che il buon vecchio Ivan è sempre stato non "politically correct", prendendo le distante da quel cantautorato vicino alla sinistra che ha utilizzato il tema ideologico come viatico ad un facile successo, anche a fronte di una qualità discutibile. Questo è uno dei motivo per cui l'artista abruzzese non era molto amato da una certa intellighenzia molto potente in quegli anni. "Fuoco sulla collina", capolavoro del '79, è perfetta metafora rappresentativa di questo suo pensiero. A distanza di molto anni, il rock di Ivan Graziani manca ancora moltissimo alla musica italiana.