I Mamavegas raccontano il nuovo "Arvo"

I Mamavegas tornano con un album che prende il titolo dal nome di un lago artificiale, Arvo: ce lo raccontano in quest'intervista

Mamavegas
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Il prossimo 7 aprile uscirà "Arvo", il secondo full lenght dei romani Mamavegas, fuori per 42 Records. Un disco che prende il nome da un lago artificiale e che esplora i territori della nostalgia, della fragilità e dell'acqua come elemento fondante delle nostre vite. Abbiamo incontrato il cantante Emanuele Mancini per farcelo raccontare.

Sono passati tre anni da "Hymn For the Bad Things". Come siete cambiati nel frattempo, come uomini e come musicisti? 
Come uomini tanto, tanto quanto possono cambiarti tre anni di vita. Uno di noi è persino diventato padre! Come musicisti anche, in questo lasso di tempo sono successe molte cose, fra progetti paralleli, collaborazioni, anche i nostri ascolti sono mutati insieme al tempo. Prevalentemente abbiamo lavorato alle tracce nuove. Doveva essere un disco molto più lungo di così, all'inizio i brani erano quattordici, poi mese dopo mese abbiamo trovato una sintesi.

Com'è andata la lavorazione di Arvo? Da dove siete partiti, e dove siete arrivati?
I primi provini, le prime bozze sono cominciate a circolare fra di noi sul finire del tour dello scorso disco. In un momento di fatica fisica e mentale, dopo aver dato tanto prima per creare Hymn e poi per portarlo in giro, queste nuove canzoni ci hanno ridato un'incredibile forza vitale. Abbiamo cominciato a lavorarci con un metodo leggermente diverso dal solito. L'autore di turno portava il brano e poi lo smontavamo e rimontavamo tutti insieme in sala usando dei testi provvisori. Da questa base poi il lavoro è stato costante e maniacale, modifiche su modifiche agli arrangiamenti, alle strutture, ai testi... fino a che non eravamo tutti pienamente soddisfatti, più o meno. Una cosa l'avevamo ben chiara in mente e penso ci sia riuscita.

Ovvero? 
Volevamo che arrivassero di più i brani, il songwriting. Ascoltando Hymn a distanza di tempo ci siamo resi conto di esserci concentrati troppo sugli arrangiamenti, a volte penalizzando la canzone. Questo disco è più diretto, più asciutto, suoniamo di meno e nonostante tutto non sembra manchi nulla, anzi... siamo sempre sei e questo si sente, almeno credo. Abbiamo cercato di creare più divario fra vuoto e pieno. Essendo sei, quando suoniamo tutti insieme possiamo contare su un certo impatto e a questo giro abbiamo cercato di valorizzare di più questa nostra peculiarità.

 

Mi sembra siate molto affezionati al concetto di concept (perdona il gioco di parole): nel precedente album era quello di trovare un'altra interpretazione per cose tradizionalmente considerate come positive, in questo invece giocate sul binomio vero/artificiale, realtà/finzione. 
Per Hymn c'era una volontà precisa: è nato ed è stato sviluppato come concept. Per "Arvo" in realtà, quella dell'artificiale è una suggestione e poco più. D'altra parte bisognerà partire da qualche spunto, deve esserci un qualcosa che ti spinge ad esporti, a raccontarti e dire la tua. In maniera molto spontanea poi (visto che spesso per i testi lavoriamo a comparti stagni ovvero ognuno scrive senza sapere cosa sta facendo l'altro) ci siamo resi conto che il filo conduttore del disco fosse l'acqua. L'abbiamo quasi scoperto a posteriori, ci siamo sorpresi trovandoci sintonizzati l'uno con l'altro senza aver discusso di un tema in particolare. Resta che alcuni dei dischi a cui siamo più affezionati sono dei concept album, dei racconti unici che hanno la pretesa di rapire l'ascoltatore dall'inizio alla fine, come un libro, o un film. Anche questa è un eventualità, niente di programmato insomma. Il prossimo disco potrebbe essere una collezione slegata di singoli come di nuovo un concept. E poi abbiamo l'età di chi ascoltava i dischi per intero, non c'erano le radio in streaming, i vari Spotify. Non c'era molto la mentalità del singolo. Ti andavi a comprare un disco e ti ascoltavi quello per mesi... anche questo conta.

In effetti la presenza dell'acqua è evidente, a partire dalla copertina del disco che ritrae un lago. Se vogliamo allargarci ancora di più io ci vedo (e ci sento) molta natura: le foto vi ritraggono sempre in qualche prato, direi quasi che il vostro è rock pastorale. 
Rock pastorale! Non male! 

Perché siete così attratti dalla natura?
Non c'è un motivo preciso, di sicuro per alcuni di noi il rapporto con la natura è particolare (molte canzoni sono nate nella nostra ormai nota baita di montagna, la nostra sala prove è quasi in campagna). Della natura ammiriamo la magniloquenza, il suo dominio incontrastato e silenzioso. Ci piace pensare quando scriviamo, di farlo con il respiro più ampio possibile, come se la nostra musica avesse bisogno di grandi spazi come cassa di risonanza. L'acqua in questo disco prende tantissime forme diverse. Parla di morte, di vita, di speranza, di devastazione e del confine fra vero e artificiale. Come possono essere a volte le canzoni. Nascono da un'idea, da un'ispirazione; poi l'esperienza, il gusto le trasformano in altro, una trasformazione a volte necessaria, che porta al risultato migliore. Ѐ necessario l'artificio per rendere un'idea fruibile. Credo che in Arvo si rifletta su questo argomento, anche se l'artificio a volte è un intervento "violento".

Un altro dei temi di Arvo è quello della nostalgia. Non credi che la nostalgia sia una delle piaghe dei nostri tempi, e che sia venuto il momento di darci un taglio?
Dipende. La nostalgia è da evitare se diventa una malattia, ma non la eviterei a prescindere. Nel caso di Arvo è più un'Epifania. Non è un "come si stava meglio prima", ma un ricontestualizzare nel presente frammenti della propria esperienza. Ti è mai capitato di baciare a distanza di tanti anni un ragazzo con cui eri stata tantissimi anni prima? Ѐ tutto diverso, ma ti ricordi il sapore. Ѐ incredibile! Almeno a me è successo.
Comunque credo la nostalgia sia una piaga nel suo versante retromaniaco. Esiste veramente poco nel presente che non sia preso pari dal passato, nella moda, nel design, nella musica, per non parlare dei remake dei film. Come se l'insicurezza della nostra realtà assolutamente in bilico si fosse estesa a qualsiasi slancio creativo. Quindi se ricalchi qualcosa già giudicato, meglio se positivamente e cinquant'anni prima, eviti la scocciatura del giudizio. Come dire, andatevela a prendere con chi l'ha fatto per la prima volta!

Sulla retromania son d'accordo.
Andiamo a ricercare quei momenti d'instabilità che crescendo allontani tramite sovrastrutture, per proteggerti. Ti barrichi dietro convinzioni, ti irrigidisci perché semplicemente non vuoi più sentirti vulnerabile. Invece era la fragilità a farti crescere. Sbagliavi, cadevi, ti sbucciavi le ginocchia e imparavi. Adesso i ritmi in cui viviamo e a volte il tipo di vita stesso che facciamo ci portano a pensare che non possiamo concederci più quei momenti, quando eravamo aperti e pronti a tutto; eravamo maggiormente esposti ai rischi ma ci godevamo anche di più le cose, senza filtri. Rispetto all'esempio del bacio: quanti mondi c'erano dentro un solo bacio? Centinaia, era il massimo. Sarebbe bello se si potesse richiamare quella sensazione sempre.

 

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L'articolo I Mamavegas raccontano il nuovo "Arvo" di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2015-04-01 10:52:00

COMMENTI (1)

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  • f.muneghina 9 anni fa Rispondi

    non ho ancora sentito e già mi piace!