Skiantos: largo all'avanguardia

La storia degli Skiantos, e del perché sono stati di fatto l'unica avanguardia musicale italiana

Chissà come se la rideva, Roberto “Freak” Antoni, quel pomeriggio del 9 settembre 1979, davanti allo stadio comunale di Bologna, a distribuire santini tra lo scandalo del pubblico. C’era anche chi capiva e ghignava, per carità, ma i più propendevano per il sacrilegio. Poche ore dopo Patti Smith, la divina che rinverdiva i fasti di sex, poems & rock’n’roll di Jim Morrison, benedetta da Springsteen e Dylan (un po’ preso in mezzo, per la verità), sarebbe stata tra i primi a rompere il lungo digiuno di concerti stranieri che affliggeva l’Italia da quella sciagurata serata Led Zeppelin al Vigorelli di Milano nel 1971.

E quei provocatori che distribuivano santini per la beatificazione di Lei, adottata dal movimento studentesco (sinistra dura, ai tempi) ma che amava papa Luciani e si faceva fotografare con bianche colombe sulle mani, chi erano? Sette pazzi bolognesi, insieme da quattro anni, che stavano per pubblicare il loro terzo lp, "Kinotto": lo avrebbero presentato alla stampa il 2 ottobre, alla discoteca di Milano “Odissea 2001”, con tanto – appunto – di chinotto party.

(Il santino di Patti Smith distribuito dagli Skiantos)

Ma fama e successo erano arrivati l’anno prima, quando a novembre era uscito "Monotòno", IL disco fondamentale del demenziale in Italia, con cui il genere venne coniugato al sacro, serissimo, impegnato e “compagno” rock. Certo, era dai tempi di Petrolini almeno che gli italiani ridevano in musica. E gli anni '50 e '60 avevano regalato talenti come Fred Buscaglione, Renato Carosone, I Gufi, I Brutos. E nei '70 imperava il pop sguaiato, volgare e spassosissimo dei napoletani Squallor. Ma il rock, neppure quel Celentano che tutto poteva se l’era sentita di renderlo fino in fondo ridicolo.
Nel '77, annus horribilis in cui esplode la contestazione studentesca guidata da Autonomia Operaia, vittoriosa a febbraio all’Università di Roma e repressa brutalmente nel marzo proprio a Bologna, arriva a novembre l’esordio-Skiantos di "Inascoltable", caotico album che onora il suo titolo, totalmente improvvisato in studio, quasi una fotografia di un anno in cui la vecchia Italia va in pezzi, per entrare a piano titolo, come è stato detto, nell’era contemporanea.

Il ventitreenne Roberto “Freak” Antoni, voce e leader della band, perito agrario, aveva anche trovato il tempo di laurearsi al Dams con la tesi “Il viaggio dei Cuori Solitari: temi fantastici nei testi delle canzoni dei Beatles”. Relatore Gianni Celati. Il 1978 è un altro anno tremendo. In fila, foto d’epoca: le Brigate Rosse rapiscono e uccidono Aldo Moro; il presidente della Repubblica Giovanni Leone si dimette per corruzione; muore papa Paolo VI; viene eletto papa Giovanni Paolo I, che si spegne un mese dopo tra voci mai sopite di intrighi; sale al soglio di San Pietro Giovanni Paolo II; un partigiano socialista, Sandro Pertini, diventa presidente della Repubblica; la disco music spopola, grazie al fenomeno del travoltismo; il punk viene conosciuto in Italia dai più per il travestimento di Anna Oxa sul palco di Sanremo; comincia il “riflusso”, cioè la fuga dalla politica per occuparsi della propria vita privata. È un’epoca che finisce senza che una nuova se ne apra. A Bologna la nuova musica italiana trova la sua punta di diamante: è il Bologna Rock, con Gaznevada, Luti Chroma, Windopen, Confusional Quartet. E Skiantos, in prima fila.

Freak Antoni e compari sono innamorati delle avanguardie storiche, di futuristi e dadaisti, dello spirito provocatore delle loro serate artistiche. Che ritrovano nel punk, così come nei tempi duri che si vivono. Tutti cercano di “fare” punk senza riuscirci troppo. I Gaznevada cantano "Mamma dammi la benza". I rotocalchi, Panorama ed Espresso, si riempiono di servizi in cui la nuova scena pare composta di depravati, drogati, teppisti violenti, incatalogabili nelle tradizionali categorie “politiche” e quindi da demonizzare (vi ricorda qualcosa? Esatto). Spilloni, capelli dritti, seni nudi solleticano la pruderie borghese. Gli Skiantos sono i più brutti. I più indefinibili. I giornali li definiscono in continuazione come “ambigui”. Non si capisce da che parte stiano. Aprono il nuovo disco, "Monotono", con "Eptadone", grottesca e politicamente scorretta epopea di un tossico che spaccia “non si sa bene cosa” alle massaie. Ma come? Tutti ce l’hanno a morte con i trafficanti di droga! E poi le voci di sbarbi nell’intro del disco (“c’ho delle storie tese”, dice uno… e qualcun altro se ne ricorderà qualche anno dopo...)
È una generazione che rompe col passato, inconoscibile per i media e le linee di partito. Che vuole solo distruggere: “Pesto duro alla rinfusa / pesto duro senza una scusa”. Ma non è veramente pericolosa: “Pesto duro mi faccio male / pesto duro voglio la mamma / ahi ahia ahiaa”. E poi nei '70 dei cantautori ecco una sfilza di rime baciate banalissime, frasi sgrammaticate, nonsense: “Se la gente poi ti offende / tu ti levi le mutande / io che sono deficiente / io ti spacco la tua mente” (Diventa demente) . Non solo. C’è pure la presa in giro degli stilemi rock’n’roll: il classico “Bye bye baby” si trasforma nella rollingstoniana demenza di "Bau Bau Baby" (ricordate gli urletti di Sympathy for the Devil?). 

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(Gli Skiantos live alla "Camera" Bologna, nel 1978)

La musica non è punk. È un rock blues che ha in sé solo una vaga idea di punk. Ma non è esagerato dire che gli Skiantos sono stati per l’Italia quello che i Sex Pistols sono stati per l’Inghilterra: uno schiaffo in faccia al passato, con tanto di sberleffo. Sono più punk di tutti, i sette felsinei, quando salgono sul palco, e a metà concerto tiran verdura sul pubblico. E la gente risponde al lancio. Sid Vicious sparava alla folla, in un famoso video di Julien Temple. Ma in Italia si sparava sul serio, nelle strade, negli scontri di piazza, e molti avevano qualche amico o conoscente morto. Il pestaggio politico era all’ordine del giorno. E cantare “Massakrami pure / con un certo vigore / così sento l’amore / che fa battere il cuore” (Massakrami pure) era veramente oltre, per l’epoca.

E ci voleva coraggio, a stampare, l’anno prima, un 45 giri che ridicolizzava sia le forze dell’ordine che l’Autonomia Operaia ("Karabigniere blues" / "Io sono un autonomo"), compreso nella splendida ristampa del 2003 di "Monotono". Inconcepibili, odiati dal pubblico, incompresi dal movimento da cui pure uscivano, gli Skiantos eppure avevano spiegato tutto in quello che è il loro brano manifesto, e uno dei più belli dei '70, "Largo all’avanguardia", il cui testo sarebbe da trascrivere tutto. Ma ne bastano pochi versi: “Largo all’avanguardia / pubblico di merda / tu gli dai la stessa storia / tanto lui non c’ha memoria / compran tutti i cantautori / come fanno i rematori / quando voglion fare i cori / che profumano di fiori”.

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"Monotono" non entrò mai in classifica. Ma come "Kinotto", portò una tale ventata di popolarità alla band che ne compromise gli equilibri interni. E fu lo scioglimento, nell’80, all’alba di una nuova epoca, subito dopo "Pesissimo", quarto album. Si riformeranno gli Skiantos, e a girare quasi fino ad oggi i palchi di mezza Italia a testimoniare il culto a cui han dato origine, senza cogliere quei “soldi, tanti soldi, ma non solo soldi, anche sbarbine, tante sbarbine, soldi e sbarbine, e quindi la fama e la ricchezza a cui noi abbiamo spudoratamente mirato fin dall’inizio della nostra luminosa carriera” come dichiaravano a Harpo’s Bazaar nel 79. Sono venuti tanti album, un po’ anonimi, ma gli Skiantos piace ricordarli così, come quando il 2 aprile '79 salirono sul palco, apparecchiando la tavola e cucinandosi gli spaghetti. Non riuscirono a suonare, sommersi dagli oggetti con cui il pubblico li cacciò. Ma il loro mito nacque lì.

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L'articolo Skiantos: largo all'avanguardia di Renzo Stefanel è apparso su Rockit.it il 2014-02-12 11:44:00

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