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Guè Pequeno lo squalo grigio

Da più di 10 anni sulla cresta dell'onda: faccia a faccia con uno dei protagonisti del rap italiano che ha saputo reinventarsi continuamente

intervista: Andrea Girolami
stop motion portraits: Matt–Eric
photo art direction: Lucia Del Zotto


Guè Pequeno il gradasso. Guè Pequeno la rapstar. Guè che trova rime geniali. Guè sulle copertine dei rotocalchi scandalistici. Guè che riempie i live club. Guè che guadagna tanti soldi. Guè che cambia sempre idea. Non c'è un modo facile per definire Guè Pequeno: rapper, musicista, imprenditore, ora anche personaggio televisivo con il recente annuncio della sua presenza in qualità di giudice per la nuova stagione di Top DJ su Italia1. Prima di tutto questo però c'è la musica. Senza di lui il rap italiano non sarebbe lo stesso. I suoi Club Dogo sono stati la band che ha traghettato questo genere musicale dal ghetto (fisico e culturale) fino ai grandi palchi e alle classifiche di vendita, riuscendo nella difficile operazione di cambiare il proprio stile senza rinnegarne le origini ma trasformandole anzi in un vero tormentone. "Non sei più quello di Mi Fist" è una battuta che oggi vi potete giocare col compagno di banco che cambia pettinatura come col collega che ha investe la tredicesima per comprare la macchina da pappone.
Gué però non si è accontentato del successo con la sua band. Per le tante cose che vuole dire e fare c'è bisogno di uno spazio addizionale, una carriera solista che partita dalla musica lo ha portato rapidamente a costruire un immaginario complesso. L'ossessione per il denaro che traspare da molti suoi testi non è soltanto una posa ma, come dice lo spot, una "solida realtà". Tre dischi solisti di cui l'ultimo Vero arrivato in cima alle classifiche di vendita italiane.

Un tour nei live club tutto esaurito e una linea d'abbigliamento che continua a fatturare e una fame di cose da fare, progettare e sognare che sembra destinata a non esaurirsi a breve.
La parola d'ordine del nostro incontro è stata "cambiamento". Non esiste in Italia personaggio migliore di lui per capire come si è trasformato il nostro Paese sotto ogni punto di vista: economico, tecnologico, culturale o musicale. L'ascesa del rap come stile musicale, la scomparsa di steccati di genere, la musica liquida che smette di essere un business per sé e si trasforma in veicolo per mille altre imprese commerciali e comunicative. Infine la città di Milano che a Gué ha dato i natali oltre che sfondo per tantissime delle sue canzoni e che negli ultimi anni è stata il palcoscenico privilegiato di questo perenne evoluzione italiana.
Venti anni di carriera musicale in un continuo crescendo, non uno scherzo da ragazzi né il progetto di un esaltato ma l'attento lavoro giornaliero di chi ha fatto della propria passione un lavoro e adesso mira ancora più in alto. Ne abbiamo discusso in un'intervista atipica per sfatare qualche mito su un personaggio controverso, scoprire il suo vecchio rapporto d'amore col rock e indagare il legame simbiotico con la capitale industriale italiana che sembra avergli trasmesso la sua indefessa etica del lavoro.




Da più di dieci anni sulla cresta dell'onda, come ci sei riuscito Guè?

Faccio rap da tantissimo non perché sono vecchio ma perché ho iniziato da piccolo. Ho firmato con una major nel 2007, poi sono stato droppato dalla Virgin, poi ho firmato di nuovo nel 2009 con un'altra major. Culturalmente il mio percorso è ventennale ma artisticamente è molto più breve, il mio primo disco solo è del 2011.
Ho trentacinque anni, molti rapper famosi nel resto del mondo ne hanno quaranta e vendono ancora dischi, mi piacerebbe diventare come loro. Erroneamente in Italia il rap è percepito come una cosa da ragazzini ma non è così. Il pubblico ha una strana idea di me: dicono che sono un venduto ed è assurdo perché io vengo dalle cassette, dai centri sociali, dall'autoproduzione, dalle pezze al culo! Ho sempre portato avanti la mia passione per la musica hip hop, vengo accusato dai puristi di essere un traditore ma si tratta di persone che non hanno conoscenza dell'argomento, questo genere in Italia non è stato compreso bene, le posse hanno creato un po' di confusione ma non è quella la parte più importante di questo genere musicale.





Guè Pequeno, foto di Lucia Del Zotto

Raccontaci come è iniziato tutto

Come bambino ero molto fantasioso ero attratto dalla fantascienza, avevo il VHS e registravo qualunque cosa. Mia madre mi portò a vedere Star Wars e Robocop, lei pensava di andare a vedere un film per bambini e invece era una cosa scioccante, è rimasto il mio film preferito. Leggevo tantissimi fumetti, ne avevo un pacco, metto tanti di questi riferimenti nei miei testi, te ne accorgi se vai oltre alcuni stereotipi in superficie, mi viene naturale perché è un bagaglio che mi porto dietro.
Per il resto la parabola era la solita: studiare, andare in un centro interinale per trovare un lavoro. Sono stato in un call center, ho fatto il magazziniere con Marracash, spostavamo casse piene di Swatch. Intanto smazzavamo un po' di fumo, non era una cosa da malavitoso, giravamo un po' a Parco Sempione. Ero in paranoia e non sapevo assolutamente cosa fare della mia vita, allora mi iscrissi ad un corso di dizione e doppiaggio teatrale visto che mi piaceva il cinema. In quel periodo intanto esce il secondo disco con i Club Dogo, sono entrati i primi soldi e non ho più fatto lavori ordinari.

Guè Pequeno e i soldi

Questa tematica dei soldi è qualcosa che tiri fuori spesso nei tuoi testi. Ad esempio nel tuo ultimo disco nella canzone "Occhi su di me" dici: "Pensi al rap, io penso ai soldi potere e rispetto". Solo qualche canzone dopo scrivi quasi l'opposto, in "Vodoo" canti: "Schiavi di questo occidente il materialismo ci offusca la mente". Dov'è la verità?

Sono due cose che convivono: sono consapevole del materialismo, del malessere che deriva dal vivere in questa parte del mondo, ho dei grossi sensi di colpa cattolici pur essendo ateo. Sono un tipo molto introspettivo, non si direbbe ma sono molto ansioso, ho molte nevrosi, elaboro molto, quindi di conseguenza mi sento molto in colpa. Sono pensieroso, penso che potrei essere un uomo migliore, sono cose personali che non riguardano la musica, il business...





Place holder per foto animata del Gue

E quello che vediamo nei video con la figa e la bottiglia da sbocciare chi è? Solo un personaggio delle tue canzoni?

A livello lirico non faccio solo swag, la mia hit è "Brivido" una canzone dove non c'è riferimento a una puttana o cose del genere, è un pezzo riflessivo, non dico spirituale ma comunque differente da altri. Al tempo stesso non capisco questa censura riguardo il parlare di soldi, lo trovo molto moralista.

Siamo coetanei: negli anni 80 in cui siamo cresciuti c'era questo immaginario del successo a tutti i costi, è forse qualcosa che ti hanno comunicato i tuoi genitori?

In verità vengo da una famiglia che mi ha insegnato il contrario. I miei genitori sono intellettuali, ho un ottimo rapporto con loro anche se non sono sempre rose e fiori. Ho preso una direzione opposta a quella indicata dalla mia famiglia per cui sapere le cose era più importante dell'essere ricchi. Quindi questa cosa del successo non me l'hanno comunicata loro che sono persone molto miti: mia madre ha lavorato tanto dovendo guadagnarsi ogni cosa.

Qual è il tuo rapporto con il rock? Quando è morto Lemmy dei Motorhead hai messo la sua immagine su Instagram come omaggio...

Quando è arrivato internet, oltre alla possibilità di farsi tante seghe, è nato anche Napster che mi ha permesso di crearmi una cultura musicale infinita o quasi. Sono andato a scaricare tutta la musica che campionava Jay Z e gli altri rapper di quegli anni. Quando ero piccolo ero un metallaro, sono partito dalle cassette che aveva mia madre, dischi molto belli. Ascoltavo a palla David Byrne e i Talking Heads, ancora adesso ci sono 3 o 4 pezzi che non riesco a mollare. Poi ascoltavo i primi dischi di Zucchero, crescendo sono passato al metal e una deriva rock con gli Alice in Chains, ho vissuto la tragedia della morte di Kurt Cobain. Al tempo andavamo a rubare i dischi alle Messaggerie Musicali, oppure c'erano i noleggi di cd, quella è stata la svolta prima di internet, ascoltavo di tutto: Red Hot Chili Peppers, Aerosmith.
Col senno di poi si capiva che sarei finito a fare questa cosa qua perché ero troppo nerd: mi interessava la vita dei musicisti, sapevo tutto di tutti, di rap poi non ne parliamo. Col tempo il rock si è trasformato in crossover, sono arrivati i Rage Against The Machine con il cantante che rappava e mi sono detto "Ma che minchia fa questo?". Allora sono passato ai Beastie Boys che erano ancora più rap e sono entrato definitivamente nel genere, poi è esploso il rap italiano con i Sangue Misto e da lì è partito tutto. Tra le rock band di oggi mi piacciono gli Arcade Fire, i Queens of the Stone Age, nella mia canzone In Orbita ho campionato i Verdena, i Cani li ho sentiti nominare spesso ma non ho mai approfondito.

Guè Pequeno e Milano

Non solo musica: anche Milano è cambiata ad una velocità impressionante...

Non vivo più in Italia per un discorso culturale. Sono contento di essere italiano per tanti pregi che abbiamo ma non sono fiero dell'Italia. Abito a Lugano, sono al centro dell'Europa per cui è molto facile spostarsi, anche a livello musicale mi stimola molto. Come avevo detto a Rockit tempo fa: "Faccio finta di non essere italiano". A Milano torno solo per lavorare, è vero che qualcosa è cambiato ma nonostante tutto in certi quartieri non si sta tanto meglio, persino la tecnologia finisce per amplificare certi limiti dovuti all'ignoranza.





Guè Pequeno, foto di Lucia Del Zotto

Eppure questa Milano ultramoderna sembra avere anche un nuovo stile grafico ed estetico. Penso al lavoro di un brand come Marcelo Burlon disegnato da Giorgio di Salvo con tutti quei pattern impazziti che hai utilizzato anche tu per la tua linea d'abbigliamento "Z€N"

Giorgio Di Salvo ha disegnato anche i visual del mio ultimo live. Rispetto questo mondo ma non sono mai andato a sguazzare nella Milano della moda, non sono un PR come indole e ho preferito creare il mio brand di abbigliamento che non vuole essere troppo ambizioso, è streetwear ed è fatto per vendere senza troppa filosofia dietro. Non ho fatto una scuola come la Saint Martins, non ho velleità artistiche, ma la mia linea d'abbigliamento è solida e continua ad essere una fonte di guadagno.
Stimo moltissimo il lavoro di Giorgio Di Salvo ma quando ci vediamo dobbiamo venirci incontro perché il pattern pazzo di cui mi parli che ora va molto per me è troppo "pinuccio". Uso questo termine per definire le cose artistiche a tutti i costi, quando vedo per esempio il nuovo progetto del mio amico Shablo con i video girati all'Antartide e cose del genere lo dico anche a lui: "Sei troppo pinuccio". Se devo fare un video io ci metto dentro le fighe ma non perché sia scemo ma perché credo sia giusto così, mi preoccupo piuttosto di curare la qualità delle immagini o la forma estetica. Magari a quarantacinque anni mi verrà in mente di fare i video con le linee che si intersecano ma oggi per me in questa Milano della grafica c'è tanta fuffa, non ho mai sgomitato per queste feste della moda e non ho mai capito perché Milano deve essere bella solo nella settimana della moda o del design.

La musica è diventata solo un modo per creare un mondo in cui poi vendere altri prodotti?

Capisco cosa mi chiedi ma sono d'accordo fino ad un certo punto, avendo un'esperienza pluridecennale ed essendo sopravvissuto a diverse stagioni per me la musica rimane fondamentale. Parte tutto da lì: la mattina mi sveglio presto e vado in studio a lavorare dove cerco di ascoltare tutta la musica che esce, questa è la mia vita. Poi faccio una linea di vestiti perché da sempre mi piace la moda anche se non mi metterei mai la gonna come Kanye West e non penso assolutamente di essere uno stilista. Mi piace il cinema e sto cercando di entrare in quel mondo, mi piace il bling bling e allora sono socio di una gioielleria, è così che va.






Dove trovi il tempo per fare tutto e pubblicare anche così tanta musica?

Qualche anno fa un artista famoso faceva un disco ogni quattro anni, oggi è diventato tutto come un fast food. Uno come Biagio Antonacci deve fare un disco all'anno se vuole rimanere rilevante. Ormai non ci si può fermare perché così si smetterebbe di guadagnare, io lo faccio naturalmente, non è un ritmo forzato, non riesco a non lavorare.

Il rap è un genere che ha un grande ricambio generazionale in cui i big spesso lanciano nuovi emergenti, tu lo hai fatto spesso

L'ho fatto di recente con Maruego, Salmo, Ensi anche se quel discorso non mi interessa più tanto. Oggi vedo gente come Ghali, Sfera Ebbasta che hanno una loro credibilità un loro pubblico, sono ragazzi di strada, alcuni di seconda generazione, sono i migliori perché a loro delle major non gliene fotte un cazzo, sai quante offerte ricevono da Warner e Sony...






Torniamo un attimo a Milano prima di chiudere: presto ci saranno le elezioni per il nuovo sindaco...

Mi cogli proprio impreparato, mi spiace dare questa risposta ma in ogni caso non vedo una possibilità di cambiamento, ne ho viste troppe per credere ancora alla politica.

Eppure lo skyline della città è cambiato, la Darsena è stata bonificata, pensi che questa città possa cambiare solo architettonicamente e non politicamente o socialmente?

La gente che non ha i soldi è ancora la stessa, non mi interessa del bosco verticale, i miei amici senza uno stipendio che hanno due figli si puliscono il culo con la nuova skyline. Questo è un po' il motivo per cui me ne sono andato, in fondo dopo aver visto Beppe Grillo che era un comico quando ero piccolo diventare oggi un politico non c'è più nulla di incredibile per me...





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