Video première: Omosumo - Sei rintocchi di campane

Oggi vi presentiamo in anteprima il nuovo video degli Omosumo, girato dal vivo in una chiesa

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Il progetto Omosumo, ovvero il trio formato da Angelo Sicurella, Dimartino e Roberto Cammarata, è da poco tornato con un disco omonimo che ancora una volta, come con "Surfin' Gaza", ci è piaciuto moltissimo. Oggi vi presentiamo in anteprima il video live di "Sei rintocchi di campane", girato nell'oratorio di San Lorenzo a Palermo. Ne abbiamo approfittato per scambiare quattro chiacchiere con la band.

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Questo live video è stato girato nel suggestivo Oratorio di San Lorenzo di Palermo. Come mai avete scelto proprio questo Oratorio e cosa rappresenta per voi?
L’Oratorio di San Lorenzo è un posto pieno di suggestioni, interamente stuccato da Giacomo Serpotta, uno scultore palermitano molto importante, per la sua storia e per le sue rare capacità, i cui segreti non li ha tramandati a nessuno, neanche ai suoi figli. Se li è portati appresso nella tomba.
Questo misticismo, queste statue, il silenzio e il rimbombo dell’eco dell’Oratorio è qualcosa di inspiegabile, così come è inspiegabile cosa vuol dire trovarsi da soli in un orario serale a luci soffuse o suonarci dentro, così come è capitato a noi e con grande fortuna.

L'Oratorio in cui avete girato il video ospitava la celebre opera di Caravaggio "Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi" che però è stata trafugata nel 1969. La pittura è un tema ricorrente per voi: la copertina di "Omosumo" raffigura il dipinto "Madre blu" di Fulvio Di Piazza che dona il nome anche alla traccia d'apertura dell'album. Come mai avete scelto proprio questa immagine?
L’incontro dei diversi linguaggi artistici per noi è fondamentale, ecco perché abbiamo scelto un olio su tela per la nostra copertina. Abbiamo scelto proprio quello perché certe immagini di Fulvio e il percorso di scrittura che stavamo facendo in qualche modo si toccano. E "Madre blu" per noi è stata importante come raffigurazione del mondo che stavamo raccontando. Motivo per cui è diventata la copertina del nostro disco.



Quanto conta secondo voi l'artwork per un disco?
Parecchio. È il primo messaggio, ancora prima di dare ascolto al disco. Abbiamo cercato di curare ogni passo delle illustrazioni che, in maniera esoterica, raccontano il disco.
Ci sono testi di terra, testi di mezzo e testi di aria. Ognuno appartiene a uno strato accompagnato da simboli che spiegano la geografia di un mondo. Dalla stella polare alle piramidi, dalla piuma di Maat al moto elicoidale che hanno gli alberi quando decidono di autoeradicarsi per seguire le arche. Da Seth alle volte celesti. L’ultima volta è quella riprende il "Giudizio Universale" di Giotto.

Il vostro è un progetto speciale, che va a inserirsi tra le vostre carriere. Come avviene la composizione di un vostro brano esattamente, quali sono le varie fasi? Chi porta l'idea e come la sviluppate?
Omosumo per noi è una scelta quotidiana. Quando scriviamo di solito scegliamo un posto dove stiamo bene, dove respirariamo una bella energia. Registriamo un sacco di roba, improvvisazioni e tutto quello che ci viene in mente, sempre in registrazione continua. Poi ascoltiamo, anche nei giorni a seguire, e riprendiamo a registrare cose nuove o delle cose che nelle registrazioni precedenti ci hanno già convinto e vogliono essere esplorate maggiormente. Piano piano le cose prendono forma. Vengono fuori melodie, strutture e testi, e così i brani.

Avete registrato il vostro disco "Omosumo" in totale isolamento, in campagna lontano dalle distrazioni cittadine. Quanto è importante per voi il posto, inteso proprio come spazio fisico, in cui scrivere/realizzare un brano?
Tantissimo. Lo spazio ti condiziona. Ha a che fare con te. A volte certe cose accadono anche nei live. Dalle improvvisazioni sul palco ti porti a casa delle idee. Ma quello che nasce da un periodo di scrittura fa parte di uno o più luoghi precisi. E questo per noi è importante. Motivo per cui l’impersonalità della sala prova cittadina ci fa venire l’orticaria.

Ci sono luoghi precisi che vi hanno ispirato nella scrittura dei pezzi?
Si, la campagna soprattutto. La cerchiamo spesso.
Ci piace esplorare diversi luoghi della natura e farci influenzare.
Camminare in mezzo agli alberi o in riva al mare pensando alle parole di un testo o alla melodia per una successione di accordi non so a cosa possa essere paragonabile. Quando sei lì non pensi a niente se non a quello che devi scrivere. Il resto è fuori, lontano da te.



A cosa vi siete ispirati per la realizzazione di questo lavoro dal punto di vista musicale? Cosa ascoltano gli Omosumo? 
Per noi è stato un esperimento. Avevamo l’esigenza di indagarci. Abbiamo disegnato un mondo, fatto di immagini, parole, suoni, calandoci dentro noi stessi. Il modo per arrivare a dire delle cose è stato un percorso che abbiamo tracciato passo dopo passo. Ascoltiamo diversa roba, dai Tinariwen ai Black Sabbath, da Caribou a Nusrat Fateh Alì Kahn, da Ty Segall a Ravel, passando per i Pan Sonic e per i Matmos, anche se non ci è interessato in questo disco avere un riferimento preciso; e ciò non vuol dire che non ci sia, ma vuol dire che abbiamo fatto un percorso particolare, una pratica, abbiamo cercato un luogo dove trovarci.

"Omosumo" parla di un viaggio “da una condizione terrestre a una condizione altra”: cosa intendete esattamente e che cosa vi ha portato a parlare nei vostri testi di questo tema?
Abbiamo immaginato una quota di persone che sceglieva di volere lasciare il pianeta terra per passare a un’altra condizione dell’essere, che non per forza è un pianeta, ma può essere anche un modo per arrivare a un’altra forma del corpo, a un’altra forma del pensiero, a un’altra condizione dell’esistenza. Fuori dalle unità di misura, fuori dal tempo, dalla misurazione dello spazio, dal litro, dal metro, dall’amore, dall’ansia, dai grammi di vitamina C in polvere, dalle gocce di diazepam per un sorriso farmaceutico. Un’altra condizione della percezione delle cose.
E questi uomini prima di partire lasciano in terra ogni pensiero, ogni conto. Fanno dell’esperienza un fagotto da abbandonare in mare, come i messaggi dentro le bottiglie abbandonate alle maree. Poi partono. E insieme a loro anche gli alberi, quelli che consapevolizzano la scelta di lasciare la terra e la loro modalità di prendere linfa secondo l’ordine terrestre, per seguire quel viaggio, seguendo in moto elicoidale queste due grandi arche fatte di ossidiana bianca: un materiale che resiste alle intemperie del tempo, una volta superata l’idea dello spazio.
Abbiamo parlato di questo perché ne sentivamo l’esigenza. Tra le righe dei testi c’è un mondo e la ricerca di un altrove che può essere ovunque.

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L'articolo Video première: Omosumo - Sei rintocchi di campane di Francesca Marini è apparso su Rockit.it il 2017-02-27 10:31:00

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