Giorgieness - Se poi guarisco cosa succede?

Abbiamo intervistato Giorgieness appena prima che il disco esca, inizi il tour e succedano le cose.

Giorgieness
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Un anno e mezzo dopo il primo disco, un tour che ha visto delle aperture importanti (Garbage, Placebo, American Football...), Giorgieness sta per ricominciare. Abbiamo mandato Starfooker a intervistarla prima della release, prima del tour, prima che tutto succeda di nuovo. Ci ha raccontato come sta crescendo e cosa ancora si aspetta.

Il disco è pronto ma non è ancora uscito, iniziano le prime interviste così come le prime date in anteprima. Com'è questa attesa? Una lunga notte prima degli esami?
È così esattamente che la sto vivendo più o meno, anche se stavolta è un po’ diverso. Inizio a sentire che la macchina sta per mettersi in moto e so che mi piacerà. Per adesso mi capita di svegliarmi la notte e non dormire più ripensando a tutte le cose che avrei potuto fare diversamente per poi convincermi di aver fatto la scelta giusta, anche confrontandomi con gli altri membri del gruppo. Non vedo l'ora che esca.
Mi auguro che si noti che c'è stato un cambio voluto su alcuni aspetti ma al contempo spero che ci si ritrovi la stessa sincerità che c'era la prima volta. Questo mi ha creato tanti problemi nello scrivere. Ad un certo punto mi ero bloccata perché mi sono resa conto che non riuscivo più a dire esattamente quello che volevo dire e a capire di cosa volessi parlare. Sono arrivata al punto di pensare che forse in quel momento non avevo niente da dire, fino a scoprire che era solo diventato più difficile. E lì mi sono sbloccato.

Intanto partiamo dal titolo: Perché "Siamo tutti stanchi"?
Ha una doppia valenza, da una parte è la risposta che uno non vorrebbe mai sentirsi dare quando gli chiedono “come stai?” e lui risponde "sono stanco". In questo vedo una sorta di menefreghismo e incuria che abbiamo uno verso l'altro, perché siamo tanto presi dalla nostra stanchezza. Non so se definirla una stanchezza generazionale, data dal periodo storico. Sento questo come un periodo molto incerto e molto "stanco" perché ci sono forse troppe generazioni insieme e non ce n'è una che prevale, o meglio c'è ed è vecchia.

"Dimmi Dimmi Dimmi", il singolo che ha anticipato l’uscita di questo disco, è uscito a maggio. Poi cosa è successo?
In realtà "Dimmi dimmi dimmi" è addirittura un pezzo che doveva finire nel primo disco. Non è stato registrato in quest’ultima sessione in studio di registrazione, ma ancora ad Aprile e, anche se ci sembrava tanto diverso dalle ultime registrazioni, l'abbiamo tenuto nel disco. Alla fine si è rivelata una buona scelta perché già dal provino andava verso quelle sonorità che poi sono state enfatizzate da Davide e dalla band.
Se "Dimmi dimmi dimmi" lo abbiamo registrato ad Aprile, io avevo sentito un bisogno fisiologico di fermarmi già un po' prima e questo sicuramente ha affaticato tutto il resto del lavoro di scrittura, perché continuavo a dirmi: "ok, io la settimana prossima vado, parto e scrivo questa cosa", e non lo facevo perché non potevo. Un po' non avevo soldi, un po' perché poi lavoravo, perché dovevamo provare e c’erano i concerti da fare. A un certo punto sono finita a Berlino questa fine primavera perché dovevo fare un concerto in acustico dove vive adesso il mio manager Carlo, e lui mi ha regalato qualche giorno di pausa per restare lì.

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Quindi il disco è nato a Berlino?
Berlino è la mia città del cuore e sono riuscita a rimanere una decina di giorni. Ovviamente lui e la sua ragazza lavoravano quindi io facevo tutta la giornata da sola, pensavo che avrei scritto tantissimo e non l’ho fatto, però sono stata zitta e ho camminato tutto il giorno. Ero da sola, senza internet a distrarmi, e ne ho approfittato per pensare molto. Una volta tornata ho scritto di getto tutto il resto del disco, ma quei dieci giorni sono stati importanti a tal punto che per un mese dopo non ho quasi usato il telefono. È stato lì che mi sono rigenerata. Al ritorno ho detto: “ci siamo Davide, facciamo il disco”.
Durante le registrazioni non ci sono potuta essere, sempre perché ho dovuto continuare a lavorare. Questa cosa l'ho sofferta tantissimo perché arrivavo e non avevo la testa per stare in studio, oppure stavo male all'idea di andare e, sentendo tutto il lavoro fatto, mi sentivo una rompicoglioni quando dovevo dire: "no questo non mi piace". Mi sentivo tagliata fuori, anche se tutto il lavoro di pre-produzione l'ho fatto con Davide per intere giornate. È stato molto difficile, ma, a differenza dell'altra volta in cui io ero molto di più con i piedi puntati, mi sono fidata ancora di più di lui. È stata una scelta davvero non scelta, semplicemente non si è parlato di altri produttori.

È un disco meno di botta rispetto all'altro, però nonostante questo, saranno i 32 minuti, saranno tutte le sfumature, alla fine ne esce un disco più compatto. Qual è la cosa che vi piace di più a livello sonoro?
La cosa che mi piace di più è il fatto che, ancora più del primo, la voce, davvero, balla sulla strumentale, s'incastra perfettamente. Questa volta non è neanche così sotto gli strumenti a livello di mix, ma ha la sua aria, il suo spazio per poter dare importanza anche al modo in cui i testi vengono esposti. A questo giro la botta è differente, per quanto rimanga per me importante. La botta te la dà tanto la scelta delle parole... se ti arriva il pezzo ti arriva in toto, non solo perché è violento. Magari il suono può essere meno violento musicalmente, ma riesce a lasciare lo spazio di capire quanto è violento quello che sto dicendo.

Se nel disco precedente il tema poteva essere l'enunciazione del disagio, in questo album si va a scavare pezzo a pezzo nel disagio con maggior introspezione. È cambiato qualcosa? 
Prima sentivo questa sensazione ma non la riconoscevo, nel senso che le urlavo addosso ed era un grido: "io sto male, io sto male". Per forza di cose mi sono trovata obbligata a capire per cosa stessi male e quale fosse il problema. Questo mi ha obbligata a geolocalizzarlo nel corpo e fuori da esso e credo che in questo sia cambiato il mio approccio. Ma più che disagio io la vedrei come una sorta di ode alla fallibilità tipica umana. Siamo persone destinate a sbagliare anche per migliorare, ed è dalla forza dell'affrontare questo sbaglio e anche l'umiliazione dell'aver sbagliato. Quando sbagli e tutti lo vedono e devi ammetterlo o ti nascondi, o diventi cattivo, o lavori su te stesso. Però devi accettare il fatto di aver sbagliato.

Se in parte la definizione di sé nasce anche dal confronto con l’altro nei tuoi testi, cosa cambia quando si rompe il confronto con l'altro? Cambia la definizione di sé stessi?
Questo è un tema centrale del disco perché la persona con cui mi sono sempre confrontata fino ad adesso (quando ho fatto il disco, quando ho fatto qualunque cosa...) è rimasta fuori da questo disco e quindi sicuramente qualcosa si è rotto. Anche per me è stato difficile. Sicuramente perdi delle certezze, è sempre la solita storia del superuomo che se ad un certo punto perde tutte le sue certezze o si dà al nichilismo o rinasce come superuomo. Adesso forse sono più sicura di me stessa.
È stato un po' un vedermi da fuori, ma anche un vedermi da dentro, un cercare di osservarmi meglio. Credo che la definizione di sé stesso sia giusto darsela mettendo insieme i due aspetti: devi avere un'idea forte di te però devi anche ascoltare quello che ti dicono gli altri, soprattutto le persone a cui tieni, perché a nessuna delle persone a cui tieni piace dirti che stai sbagliando. Non è detto che questo sia giusto, dato che magari quello sbaglio a te serve. Credo che gli amici, la famiglia e tutto debbano esserci per dirti: "tu stai sbagliando, io ti seguo, però prova a pensarci".

C’è una locuzione che penso sia centrale nella poetica di questo disco: cos'è il male pratico?
Il male pratico è quello che serve per cambiare, per crescere.  Penso di aver preso lo spunto da una riflessione di Alda Merini sui poeti. In quella canzone, “Essere te”, c’è pezzo che dice “C'è un silenzio voluto nell'anima dove si annida ciò che non confessi” e anche appunto questa cosa qui del male pratico che ne parla in riferimento ai poeti del fatto che dici di voler stare bene ma un po' sei affezionato alla tua tristezza, alla tua sofferenza. A volte io mi chiedo: "se poi guarisco, che cosa succede?" Un po' la risposta me la sono data perché questo disco l'ho scritto in un momento in cui in qualche modo ero felice, mentre un momento un po' più triste è arrivato dopo aver finito di scrivere le canzoni.
Lì ho cominciato ad apprezzare Wordsworth che parla di “emotion recollected in tranquillity” per cui tutto quello che provi lo puoi esprimere meglio se lo racconti in un momento in cui sei sereno e per me è stato fondamentale capire di me questa cosa perché io ho questo brutto difetto di non riuscire a identificare un'emozione quando la provo e quindi non so se sono arrabbiata con te o mi hai ferito, se posso essere  arrabbiata o se sono io a dovermi sentire in colpa. Prima esplodevo in quel momento creando un sacco di danni e quindi dicendomi che ero inamabile, una brutta persona, faccio schifo, mentre adesso cerco di non agire, capire quello che sto provando, spiegarlo all’eventuale altra persona e anche a me stessa, per non impazzire.

Adesso quindi inizia il tour.
Sì, non vediamo l'ora anche perché dai concerti abbiamo avuto l'occasione di tanti piccoli grandi feedback da chi ci segue e magari lega le sue esperienze personali alle mie storie, soprattutto quando questi sono riusciti ad arrivare in quei momenti più difficili della vita on the road.

E com'è la tua esperienza di "Girl in a band", per citare Kim Gordon?
Mah, per la mia esperienza la vivo come un altro componente della band. Non ho particolari sconti e se c'è da scaricare e caricare gli strumenti ci sono anch'io. Magari a volte nelle piccole cose noto una certa disattenzione, come la mancanza di un angolo in cui potermi truccare nei camerini o di una stanza in più per me... non perché mi dia fastidio dormire con i miei compagni (nonostante russino sonoramente), ma perché alla mattina ho bisogno del bagno per più tempo. Per il resto delle situazioni mi piace citare PJ Harvey che dice di non preoccuparsi di essere una donna mentre fa musica e cerco di non farlo nemmeno io. Pensando al libro di Kim Gordon devo riconoscere che hai dall'esterno delle pressioni diverse, molti cercano di attribuirmi flirt con atri musicisti, anche solo per giustificare il fatto che io stia riuscendo ad avere qualche risultato. Non è facile gestire questa situazione ma amen.

Un recente speciale del New York Times racconta come, da una prospettiva statunitense, le donne stiano facendo la migliore rock music, citando 25 esempi come Cayetana, Diet Cig e Waxahatchee. Questo è un momento in cui la musica con le chitarre sta subendo una forte flessione generale, anche in Italia. Com'è dalla tua esperienza suonare in un gruppo con le chitarre ora, in Italia?
Ti rispondo così: essere in una band dove suonano le chitarre è una figata, soprattutto per i live. A noi han dato dei pazzi incoscienti quando abbiamo fatto il primo disco e effettivamente un po' lo siamo stati però onestamente, se siamo quella cosa lì non possiamo farne un'altra. All'inizio avevo fatto dei provini con un altro produttore, molto belli e che riascolto ancora con piacere, di cui magari ho tenuto delle cose, ma che non riuscivano a rappresentarmi del tutto, è quella la musica che piace a me. Magari in questo album abbiamo cambiato un po' il sound perché non volevo che fosse ancora quel tipo di chitarra lì però non ho mai pensato di fare un album synth e voci, al massimo un pezzo synth e voce come quello d'apertura.
Poi con questo approccio in Italia ce ne sono, come Maria Antonietta (aspettando il nuovo disco), c'è Adele (Any Other) con cui abbiamo una corrispondenza epistolare dato che siamo due pigre, c'è Giungla e altre. Penso che magari dovremmo fare qualcosa insieme tra di noi. Ma un vero movimento non c'è nemmeno tra musicisti maschi. A noi come Giorginess sarebbe piaciuto tantissimo collaborare anche con altri nel disco ma dati i tempi ristretti in studio non ci siamo riusciti. Nonostante questo c'è un forte scambio con altri musicisti come con Karim e Andrea degli Zen Circus con cui ci mandiamo provini, anche di band che si stanno producendo. Forse per come la viviamo noi ci sono ancora poche occasioni in cui riuscire a trovarsi per suonare insieme tra band, e non solo per andare a bere qualcosa fuori.

Parlando di collaborazioni, scriveresti anche per altri? Dici sempre che è fondamentale raccontare delle cose personali, le faresti cantare a un altro?
Sì. La parte autorale è per me davvero importante e mi è piaciuto. Riuscire a scrivere anche per altri sarebbe mettere in gioco il mio vissuto insieme a quello di qualcun altro, è una responsabilità altissima e credo che il grosso problema dei talent sia che escono personaggi, magari anche interessanti vocalmente, che non hanno niente da dire, che non conoscono il mondo della musica perché non hanno fatto la gavetta (che non deve mica essere di dieci anni, se uno ha un talento cristallino e riesce dopo due anni va bene). L'autore si trova a scrivere la solita canzone perché è quello che gli richiedono.
Così non ha valore; gli unici che danno valore alle parole e alla musica siamo noi sfigati. C'è un pezzo che dice "ci sentiamo forti solamente con i numeri" perché poi siamo tutti qui a dire che abbiamo fatto sold out, e siamo più piccoli rispetto a certe cose che però non hanno lo stesso spessore. Credo che questo sia un grosso problema, tutto italiano, legato all'arte in generale. 

Di contro a questo avete un processo abbastanza tradizionale: l'Ep, una successione di dischi e tour, disco su disco, costruendo pian piano...
È così volutamente, per crescere.  La prima volta dai Garbage sono salita sul palco cadendo, se non avessi avuto già un po' di esperienza (suono da quando ho 14 anni, ai Garbage che ne avevo 24), se non ci fosse stato tutto il lavoro prima, sarei morta in quel momento. Quanti progetti sembrano giganteschi, nati dal nulla, poi metti la persona sul palco e non ce la fa. E non è che non ce la fa perché non è brava ma perché, magari, non lo sa fare. Se io vado in bicicletta e poi mi metti su una moto, cado, questo è il grosso problema. Non voglio parlare di gavetta perché l'ho fatta e allora devi farla anche tu, dipende anche molto da come la fai, è la stessa cosa in tutti i mestieri. 
Ti devi anche abituare al fatto che prima lo fai ed è solo divertimento, poi lo fai e diventa anche un lavoro, e devi dare più o meno sempre la stessa cosa, però devi anche sentirla perché se no arrivi ai concerti di plastica. A volte dopo molte date sembra un compitino: subito in albergo, ti passa la voglia, locale alle 4, check alle 5, suoni a mezzanotte e ti ci devi abituare a questa routine.

Bebo (Guidetti de Lo stato sociale) è stato uno dei primi in Italia a fare outing sullo stress da tour e su come dal di fuori non si riescano a capire le difficoltà di tornare alla vita normale.
Sì, a me è successa qua a Milano una cosa che è rimasta emblematica in questo senso. La sera prima abbiamo fatto il Fresh Touch al Magnolia, slot delle 2 di notte. Prima di noi suonavano Motta, i Selton. Temevamo non ci sarebbe stato nessuno e se da un lato eravamo contenti di fare una cosa grossa al Magnolia dicevamo: "cazzo neanche stavolta". Arrivato il nostro momento saliamo, mi giro, mi rigiro verso la gente ed era pienissimo, ero talmente emozionata che è stata la prima volta che ho fatto la classica fotina dal palco coi fans che cantavano. La mattina dopo stavo pulendo i cessi della casa dei bambini dove lavoravo.
Ho chiamato mia madre in lacrime dicendo "com'è possibile che ieri fossi quella lì e oggi sono questa qui", non perché devo andare in giro con la limousine, ma è solo difficile capire qual è la parte vera. Perché comunque ci investi tutta la tua vita, ho anche lasciato l'università per dedicarmi a questo.
Io odio quelli che dicono non consiglierei a nessuno di fare il mio lavoro, non è vero, per me è il lavoro più bello del mondo; però devi davvero volerlo fare, perché non è niente di quello che uno s'immagina. Non riesci a spiegarglielo che per fare un concerto magari parti alle quattro del mattino.
E ora si parte.

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L'articolo Giorgieness - Se poi guarisco cosa succede? di Starfooker è apparso su Rockit.it il 2017-10-13 11:45:00

COMMENTI (1)

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  • alia76 7 anni fa Rispondi

    wow! che bella intervista! e che bel ritratto di ragazza che ne viene fuori! Musicalmente molto lontani dai miei gusti ma faccio loro tanti in bocca al lupo.