Un pomeriggio al lavoro con Gel: Angeli e Demoni al centro per le dipendenze patologiche

Gel è stato tra i fondatori del Truceklan e ha da poco pubblicato un suo album solista; siamo stati un pomeriggio d'inverno con lui al mare

Andiamo al mare d’inverno, in un centro di trattamento delle dipendenze patologiche. Mentre l’auto costeggia il litorale romano parliamo dell’ultimo concerto di Nick Cave, ascoltando l’ultimo disco di Gel, “Gel legge Angeli e Demoni”. In macchina c’è lui, Gel, vero nome Corrado Ferrarese, tra i fondatori del collettivo TruceKlan, oggi tra gli operatori sociali del centro presso cui siamo diretti. Gli spetta il turno di notte. Si sovrappone alla sua voce cantata e dice: “Devo evitare di peccare di San Franceschismo. Una persona può compiere buone azioni ed essere contemporaneamente una merda. Per questo ho intitolato l’album «Angeli e demoni», ognuno può essere entrambe le cose. Non mi sento bravo e bello a fare un cazzo, sento che sto facendo un lavoro che mi permette di pagarmi le bollette e di curare i miei hobby, e in più do da mangiare alla parte di me che mi serve anche per creare musica. Ed è la parte che mangia più di tutti perché è vorace”.

Campo di Carne, Campomorto, la frazione di Buon Riposo. Attraversiamo luoghi dai nomi evocativi, i cui monumenti ai caduti e civili della seconda guerra mondiale raccontano la storia: “In questo luogo migliaia di uomini combatterono e morirono”. Intanto in sottofondo sentiamo «Irish Pub» in cui Gel canta: “E non so più che fare, sto di nuovo qui, non ci volevo stare, non vado a lavorare e non so più che fare e domani mi odierò”. Sempre sovrapponendosi al suo cantato commenta: “Faccio questo lavoro sentendo che sono un figlio di puttana. Convivo con i miei lati, diciamo, poco aulici. Però le azioni che faccio sono buone”. Qualche traccia dopo, in «Lingue strane», dice: “La mia vita è un sali scendi, l’ho spaccata con la colla attacchi-cocci l’ho aggiustata, ma non pensavo che poteva andare così”. Gli chiedo invece com’è andata. “Il treno è passato e non solo non l’ho preso ma ho rischiato che quel treno mi mettesse sotto un’altra volta”. Si riferisce al treno della major, quando nel 2008 la Sony pubblicò il disco «Il ritorno», in cui raccontava anche del suo risveglio dal coma.
Gli chiedo di raccontarmi dei momenti precisi di quel periodo. “Non ho ricordi positivi”, dice, ma sembra che in generale qualsiasi ricordo sia scomparso. “Non ero in me - dice - Non ero pronto. Non era il momento. Era il periodo in cui spiritualmente stavo messo peggio. In passato ho parlato con molta leggerezza della mia tossicodipendenza. Così rischi che ti bruci, che ti cataloghino solo per questo. Io ho pensato molto a se fare questa intervista, se andare insieme al centro per le dipendenze. Qualcuno mi ha consigliato di non farla, qualcuno ha detto falla. Alla fine il messaggio che passa è un messaggio positivo. E poi sto uscendo anche con una nuova veste. Questo disco l’ho scritto e registrato molto velocemente, in un mese. Si tratta di un disco di passaggio, ci sono due anime, quella rap e quella più recitativa, che è la strada verso cui voglio andare”.

«Gel legge» è il format lanciato sui suoi canali social, una serie di video in cui declama, come fossero versi di poesia o racconti, i testi dei colleghi: «Gel legge Caramelle (Dark Polo Gang)», «Gel legge Salmo», «Gel legge Gue Pequeno e Marracash». Gel legge anche se stesso, ed è quello che vorrebbe fare nei live del disco. “Mi piacerebbe fare questi spettacoli in cui leggo e interpreto, e ci infilo due o tre canzoni”. Tornando a parlare della sua vecchia produzione dice: “Io penso che la scrittura non sia mai infangante nella carriera di un artista, perché è qualcosa che attinge da dentro. Scrivi quello che ti pare. All’epoca dei Truce usavo l’istinto. Era per far parlare, per esagerare, faceva parte del movimento, fare questi testi hardcore, era a chi la sparava più grossa. Ma parlare troppo di quel periodo è come se volessi riempirmi la bocca di qualcosa che ora non mi rappresenta più. Adesso devo stare prima di tutto sobrio. E seconda cosa non mi devo far schiacciare dalla mia ansia. Devo cercare di metterla, anche questa, in positivo. Un’ansia costruttiva fatta di: Oddio devo registrare, devo fare sta cosa, devo fare sto video. La intendo come una cosa chimica, che prende alla pancia e che sparisce solo se produci e fai musica”. Gli chiedo da dove arriva quest’ansia. “Arriva da qualcosa che ho di default, interno. Da sempre. Di certo non ero questo ragazzo così spensierato e sereno, anche se ero uno che faceva ridere gli altri. Anche quello lo facevo per colmare una mia parte sempre un po’ stropicciata”.

Sulla strada insegne di negozi al centro di rotatorie provinciali promettono Mozzarelle di bufala e Carrozzerie. Siamo quasi arrivati. «Era facile» è la traccia che accompagna il nostro parcheggiare fuori dal centro per le dipendenze. All’inizio del pezzo Gel si chiede: “Il karma, l’equazione a ripetere, la vita, la morte, l’onirico, qual è la realtà?”. Passeggiamo lungo la spiaggia. Qualcuno sta pescando. La terrazza del centro affaccia su questa vista, è una casa vacanze senza le vacanze. “Cerco di tenere separate la musica e il lavoro - mi dice - non ti presento come uno che sta a scrivere un pezzo su di me, ma come un amico che è un attimo passato di qui”. Poco dopo mi presenta ai ragazzi: “Anche lui è uno della banda del buco”. Uno dei ragazzi mi guarda sorridendo e mi chiede: “Davvero?”.
In cucina stanno preparando la pizza per stasera. Apriamo una porta, una stanza buia illuminata dallo schermo di un televisore, sul divano dei ragazzi come un’apparizione ci salutano. Una ragazza con le cuffie nelle orecchie ci ferma in giardino, gli dice sorridendo: “Ho sentito le tue canzoni. Non ci avevi detto niente! Ho sentito «Lei», quella che è, parla dell’eroina?”. Lui abbozza un sorriso di risposta. Sorride anche in alcune foto che facciamo dopo. Guardandole mi accorgo di avere sempre una copia della stessa foto. Lui serio e lui che sorride.

“Delle volte quando mi guardo dal di fuori mi dico che è un po’ surreale, no? Magari qualcuno di questi è qui per le mie canzoni. Però è qualcosa che mi è capitato. l’ho accolto. Accolgo la malinconia e la lascio andare, altrimenti ti ingabbia. Aiutando gli altri, aiuto pure me stesso”. Parliamo di altri rapper. Dei nomi che tutti fanno ultimamente. Ghali, ma anche di Cesare Cremonini e di Fabri Fibra. Gli chiedo che tipo è. “Un professionista. Una persona che, anche lui, lotta con i suoi demoni e ha saputo trasformare questa lotta in un’arte produttiva per sé, monetizzabile. E fa anche musica di qualità”.

Mentre parlo con Gel, c’è Piero, un mio amico, educatore in un centro di prima accoglienza per minori, finora fantasma in questo articolo ma che ci ha accompagnati in auto, che parla con Filippo, un altro operatore sociale. Questi i suoi appunti dell’incontro: “Il lavoro di Filippo è con le persone che soffrono di qualsiasi tipo di dipendenza, dalle droghe classiche, a quelle, ultimamente in forte diffusione, che si possono acquistare in farmacia, fino all’alcool, al sesso, al cibo. La dipendenza dal cibo, anche quella, è particolarmente delicata perché il cibo è qualcosa con cui il paziente deve conviverci, non è come l’eroina che occorre innanzitutto eliminare. Il cibo devi vederlo, prepararlo, mangiarlo. Mi spiega che il percorso terapeutico utilizzato è quello della scuola americana, il Minnesota Model, incentrato su interventi bio-psico-sociali, a termine, costituiti da tre fasi, l’ultima delle quali si riduce a mantenere il contatto nei programmi di Alcolisti Anonimi o Narcotici Anonimi. Le persone, mi dice Filippo, scelgono sì di iniziare un percorso di disintossicazione, ma in genere lo fanno perché costretti oramai dalle circostanze, dal rischio di perdere un lavoro o un matrimonio”.

Piero e Filippo parlano, Gel si avvicina al microfono del registratore per farsi sentire meglio. Mi mostra dove dormono. Sopra il letto c’è un poster di una rassegna su Buster Keaton, “Dal 17 al 26 ottobre 1989 al Cineclub Labirinto”. Sulla parete di fronte c’è un quadro: una collina, un prato fiorito, degli alberi. Il panorama prima di dormire. Ci salutiamo al cancello d'ingresso. Sono quasi le otto. Fra poco entra in servizio con l'altra parte di sé. 

 

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L'articolo Un pomeriggio al lavoro con Gel: Angeli e Demoni al centro per le dipendenze patologiche di Valerio Millefoglie è apparso su Rockit.it il 2017-12-19 11:56:00

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COMMENTI (2)

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  • utente115926 6 anni fa Rispondi

    Ti stimo, Gel, e ti capisco. Buon lavoro...

  • gianni.amato.710 6 anni fa Rispondi

    Mah, sai.... io credo che gli artisti debbano imparare a guardare dentro di sè per potersi esprimere. la sofferenza è un aiuto a guardare dentro di sè. In questo senso io intendevo quando ho posto il quesito. In pratica: artisiti si nasce o si diventa? Cosa spinge la persona a ricercare, perfezionare, ecc...?
    E' anche vero che ci sono stati artisti (soprattutto nel campo della musica moderna) che hanno fatto uso di sostanze stupefacenti, grazie alle quali (così afferma qualcuno) ci hanno regalato pagine di musica indimenticabili. Mi riferisco, per esempio a Syd Barrett (Pink Floyd), Janis Joplin, Jimi Hendrix.... forse in quel caso l'uso di sostanze stupefacenti poteva servire per alleviare una sofferenza? Secondo me sì.
    però non tutte le persone che soffrono o hanno sofferto 'positivizzano' questa esperienza interiore trasformandola in arte o nella capacità di creare arte...
    alcuni scelgono forme di distruzione e non di creazione...
    artisti si diventa...se la materia di base è adatta...

    io penso che c'è un legame tra emozioni e arte, un legame inscindibile, nel senso che vedo l'arte, tutte le forme di arte, come la capacità di esprimere le emozioni con i mezzi più diversi, le parole, i suoni, i colori, le immagini, ma non solo.
    anche un gesto, una espressione sono arte quando esprimono in modo consapevole una emozione profonda.
    il dolore, la sofferenza, certo che c'entrano, sono spesso i nostri vissuti più forti, quelli che sanno suscitare le emozioni che non riusciamo a tenerci dentro, le emozioni che dobbiamo esprimere, e che in questo modo diventano espressioni artistiche.
    quando poi l'espressione delle emozioni diventa arte???? io credo quando riusciamo a darci un linguaggio che arriva diritto al cuore di un altro, senza necessariamente passare attraverso la logica ... Il dolore è un'emozione particolare che ti fa crescere e fa maturare in te qualcosa di particolare che alcune persone sfogano con l'arte!

    Caro GEL Hai mai letto il "De Profundis" di Oscar Wilde? KingAmato