"Zeta reticoli" dei Meganoidi compie 15 anni e continueremo ad amarla per sempre

Sono passati 15 anni e "brucia ancora"

“La destra pensa all'impunità e intanto l'Italia va in declino” così il 6 giugno 2003 titola la Repubblica a proposito di un’intervista di Claudio Tito a Piero Fassino, allora Segretario dei Democratici di Sinistra. Ma in quella stessa, per altro neppure tanto calda, giornata di inizio estate capita anche un’altra cosa: esce infatti “Outside the Loop, Stupendo Sensation”, il secondo album dei Meganodi, una delle band più interessanti e attive della scena alternativa italiana. L’album è importante per la band genovese, dato che arriva sull’onda dell’emozione/orrore per i fatti di due anni prima, ovvero quelli del G8 di Genova, gli scontri in piazza, le bombe carta e i cassonetti incendiati in corso Torino, la morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda e “la macelleria messicana” della scuola Diaz. I Meganoidi, da sempre schierati con la cosiddetta sinistra antagonista e no-global, realizzano un disco denso che, partendo proprio dal titolo, si chiama volutamente “fuori dal giro”; ovvero dice in modo chiaro e netto che il rutilante mondo dello show businnes non fa per i genovesi, che alle logiche del mercato preferiscono le leggi della propria coscienza.

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L’album, senza ombra di dubbio il più fortunato dei Meganoidi, viene venduto a 13 euro, un prezzo simbolico e in opposizione all’innalzamento dei prezzi dei dischi imposto dalle major. In fondo alla tracklist c'è una canzone che diventerà vero e proprio manifesto dei Meganodi e, in buona misura, di un’intera stagione: stiamo parlando di “Zeta Reticoli”. Per chi è stato giovane in quegli anni questa canzone è stata un concreto punto di riferimento: sparata dalle casse di qualsiasi bloc-party alternativo o riproposta in svariati cortei anti-Moratti e anti-globalizzazione, "Zeta Reticoli" diventa il pezzo di chi è contro, di chi non vuole assoggettarsi alle destre berlusconiane, la canzone di chi cammina, per citare il poeta, “in direzione ostinata e contraria”.

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Ma in fondo che pezzo era, anzi è, “Zeta Reticoli”? Se fosse uscita adesso come sarebbe accolta questa canzone simbolo? Probabilmente passerebbe sotto silenzio, per com’è avulsa e distante da ciò che, al giorno d’oggi, si ascolta in Italia, tra revival anni '80 e pop.

La canzone inizia con un giro di basso, lento e ipnotico, una specie di versione al rallenty di un pezzo standard new-wave. La prima sorpresa arriva con una tromba, metà mexican-style metà banda di paese che fende l’aria e introduce il cantato, a questo giro in italiano (i Meganodi, così come infatti numerose altre band del periodo, erano soliti a cantare in inglese), di Davide Di Muzio. La prima strofa è questa:

Preso con l'ultimo invito di un progetto
Che si presenta nel nome della verità
You know falling in illusion
Catturati nel sonno della nostra età”.

Ora non so voi ma oggi come allora, comprendo ancora molto poco di questo incipit. Al di là dell’inserto in inglese, vero e proprio marchio di fabbrica del punk-rock italiano di inizio 2000 (qualsiasi cosa volesse dire e volesse rappresentare il dato genere), il testo non si presente propriamente chiaro ma una frase, quella sì, risplende di luce propria: “Catturati nel sonno della nostra età”.

Una frase sicuramente importante dato che quegli sono gli anni in cui, tra G8 di Genova, 11 settembre, guerra in Afghanistan e seconda Guerra del Golfo, la “grande pace” del mondo occidentale post-Guerra Fredda e caduta del muro di Berlino stava, progressivamente, andando in pezzi. Ed ecco allora che, noi giovani figli di un’Italia consumista e post-ideologica (ma non ancora del tutto), nonostante gli stimoli dei vent’anni, ci ritrovavamo nel bel mezzo di fatti ed accadimenti più grandi di noi: “la macchina della storia tutto macina e travolge”. Ecco, “catturati nel sonno della nostra età”.

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Il pezzo va poi avanti e, un attimo primo dell’inserto del ritornello, arriva una frase che la spiega lunga sullo zeitgeist spirituale in cui è stato scritta "Zeta Reticoli": “In un lago di sangue detto libertà”. Qui bisogna fare per forza di cose un inciso. Il 20 luglio 2001 ce lo ricordiamo tutti bene e per molti ha rappresentato la fine delle illusioni. Il 20 luglio 2001, in via Tolemaide, a due passi da piazza Alimonda nel quartiere di Genova-Foce, Carlo Giuliani muore durante gli scontri del G8. Senza rivangare né le colpe né i complicati iter processuali che hanno coinvolto l’agente Mario Placanica (nell'agosto del 2009 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a cui i familiari di Giuliani avevano fatto ricorso, ha stabilito che Placanica agì per legittima difesa), il quale ha esploso il colpo contro Carlo Giuliani, ma quelle drammatiche immagini scossero un’intera generazione. Una generazione di cui facevano parte tante ragazze e ragazzi come noi che, in quegli stessi anni, manifestavano o stavano iniziando ad interessarsi al fiorente movimento terzomondista e anticapitalista dei NO-Global. Movimento che, nei mesi immediatamente precedenti il G8, nel meraviglioso Genoa Social Forum allestito al Porto Antico, aveva dato vita a un fantastico caravanserraglio di emozioni, dibattiti e confronti tra le diverse culture “altre” della Terra. Gli scontri in piazza tra Forze dell’Ordine e manifestanti, la distruzione e le violenze nel Centro Storico di Genova e la morte di Giuliani, in un certo qual modo, spensero quasi sul nascere quel sogno utopistico. Esatto, “In un lago di sangue detto libertà”.

Arriviamo al ritornello, cantato in tante di quelle feste e in tanti di quei centri sociali che se chiudiamo gli occhi tutti assieme possiamo sentire la kefia d’ordinanza sfregarci il collo:

“Brucia ancora, che prima o poi ritornerà
Conservo di nascosto sempre lo stesso smalto
Non temere zeta reticoli on my mind
Aspetterò il momento per un migliore slancio”.

Anche in questo caso il significato è oltremodo criptico. Cercando in rete informazioni a proposito se ne trovano di ogni. C’è chi sostiene che il quasi slogan "Zeta Reticoli on my mind" possa evocare, in un certo qual modo, una specie di grido a rifuggire ogni tipo di costrizione, laccio e bavaglio imposto dallo Stato borghese, corrotto e mafioso. Altri dicono che questo sia, ancora una volta, un riferimento a Carlo Giuliani (cosa del resto molto possibile anche seguendo altre strofe, come “Neri quei giorni che passano senza di te”) e c’è perfino chi sostiene che Zeta Reticoli sia il riferimento alla galassia di appartenenza dei Grigi, un misterioso popolo alieno. 

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Non si è mai ben capito chi abbia ragione ma rimane il fatto che, nonostante l’oscurità di senso, nonostante un pezzo che ha tutti gli anni che ha e che non è invecchiato benissimo, risentirlo oggi fa ancora un fottuto effetto. Un effetto che non è semplicemente di nostalgia per quei “migliori anni” della nostra giovinezza no, tutt’altro. "Zeta Reticoli" fa montare una rabbia sorda e cieca per quanto siamo diventati. Perché, volenti o nolenti, tutti quanti siamo scesi a patti: se nel 2001 le multinazionali erano il cancro sulla Terra, oggi lavorare per una grande società che opera su più Paesi è un fiore all’occhiello e un motivo di vanto per tanti di noi. Oppure se in quegli anni l’America era vista come “il grande Diavolo” oggi chi non è un convinto ammirate delle meraviglie tecnologiche della Silicon Valley? Dai, siamo onesti e guardiamoci allo specchio: cosa siamo diventati?

Eppure, tra un accenno ska (accidenti quanti anni sono passati!), brucia ancora, sotto la coltre di cenere delle nostre vite un po’ borghesi in pantofole un po’ tanto in “pigiama e Netflix” sul sofà delle nostre esistenze, quella fiamma di protesta e contestazione. In fondo siamo ancora quelle ragazze e quei ragazzi che, urlando “Zeta Reticoli onmaimaind” scendevano in piazza a manifestare contro l’assurda Riforma della Scuola del Ministro Gelmini oppure che protestavano contro le guerre preventive di Bush junior o le leggi ad-personam del Governo Berlusconi.

Oggi quella stagione colorata dalle bandiere della pace sui balconi e animata dai numerosi girotondi nelle piazze è un po’ sbiadita. Il movimento adesso significa quasi esclusivamente un soggetto politico (no, non lo chiameremo partito altrimenti chi li sente?) ma non, almeno non ancora, è obliata del tutto. Perché in quella calda, quella sì, estate di inizio Millennio, quanto eravamo spinti dal voler rappresentare qualcosa di più delle nostre singole persone? Eravamo, per dirla alla Gaber, più di una persona sola, avevamo uno slancio, magari molto ingenuo e non perfettamente preciso ma pazienza, di voler incarnare un processo questo sì tutto rivoluzionario, di allargamento totale e internazionale delle risorse: “Globalizzazione dei diritti, non del lavoro” si sentiva dire dai leader del tempo.

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E allora "Zeta Reticoli", con quel suo ritmo dritto e quelle chitarre francamente oggi irripetibili, la melodia carica di nostalgia, ci fa ancora sobbalzare il cuore in gola, perché in fondo, le ragazze e i ragazzi che hanno letto e riletto “No Logo” di Noemi Klein, che conoscevano a memoria gli sketch di Guzzanti, che si facevano un unico dread nei capelli, fanno ancora parte della nostra società e vivono ancora nelle nostre stesse città. Forse siamo proprio noi, sei propri tu che stai leggendo questo pezzo.

Brucia ancora, che prima o poi ritornerà
Conservo di nascosto sempre lo stesso smalto

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L'articolo "Zeta reticoli" dei Meganoidi compie 15 anni e continueremo ad amarla per sempre di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2018-02-07 10:17:00

Tag: opinione

COMMENTI (7)

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  • michezz 6 anni fa Rispondi

    carlo vive i morti siamo noi

  • Sunderland 6 anni fa Rispondi

    Qualche giorno fa mi sono ritrovato a canticchiare Zeta Reticoli così, fuori dal nulla. Forse è il caldo dell'estate che mi ricorda i telegiornali di quel 2001 terribile.
    Ho cercato e ricercato in Internet sperando di trovare un segno di qualche altro essere umano che, al suono di questa canzone, si sente nostalgico e assalito dalla pelle d'oca.
    Articolo molto ben scritto, i miei complimenti!

  • xalex 6 anni fa Rispondi

    Pezzo che "NON è invecchiato benissimo"
    In che senso "non"?
    Ciao, grazie.

  • gvride 6 anni fa Rispondi

    A ripensare un movimento come accozzaglia, mi viene la nausea. Non voglio cadere nel "meglio pochi ma buoni", non lo penso. Ma vedo nella "crisi" del "Movimento" una opportunità di riflessione, critica radicale e positiva disillusione sulla bontà degli apparati istituzionali. La crisi dà nuove opportunità, e le canzoni aiutano a ricordare e a andare avanti. Anche un vecchio pezzo dei Meganoidi, lasciando andare la nausea e concentrandosi su problemi nuovi attuali concreti.
    (manteniamoci -quei- giovani!)

  • oceansonthemoon 6 anni fa Rispondi

    Ricordo quel periodo e, da genovese, ricordo bene sia il G8 che il momento d'oro dei Meganoidi, gruppo troppo sottovalutato, forse per via della loro integrità. Del periodo G8 e post-G8, nonostante fossi poco più che un adolescente, ricordo anche ahimé le tante contraddizioni che poi sono scoppiate inesorabilmente disintegrando il fronte antiglobal. Troppi arrivisti e troppe "barbe finte" si erano intrufolati in quel movimento. Ma questa è un'altra storia...

  • santinelli.andrea3 6 anni fa Rispondi

    Questo articolo è un viaggio!!! Grazie mille per averlo scritto

  • m.tripo 6 anni fa Rispondi

    Complimenti! Articolo fantastico!