Beatrice Antolini, l'alchimista del suono

Beatrice Antolini è un'artista che seguiamo da tanto, e che nella sua carriera ha fatto tantissimo. Alla vigilia della partenza del tour con Vasco, l'abbiamo intervistata sul suo nuovo album "L'AB"

Beatrice Antolini
Beatrice Antolini

Beatrice Antolini sta per partire in tour con Vasco Rossi, e per farlo ha dovuto mettere momentaneamente da parte il live di "L'AB", il suo ultimo album pubblicato a febbraio. Un disco su cui però vale la pena lasciare i riflettori accesi: ne abbiamo parlato con lei.

Il tuo disco "L’AB" è uscito in febbraio. Ti propongo questo gioco con il suo titolo: potrebbe essere Antolini Beatrice ma anche LAB-oratorio. E se lo fosse, di che cosa lo sarebbe?
Laboratorio sia di reazioni chimiche che si hanno rispetto a un interno/esterno- esterno/interno dell’uomo, sia un laboratorio interiore di un lavoro su di sé e quindi anche di miglioramento della propria persona, può esser letto in tanti modi. Non mi piace mai un significato univoco perché penso che all’interno di alcuni giochi di parole si possano cogliere più aspetti che comunque tutti riguardano un concetto. È un viaggio che ho intrapreso per tutti i dischi e che sto continuando, quindi è anche una cosa privata.

E se invece fosse A B come l’inizio di A, B, C di che cosa sarebbe fondamenta per il futuro? Il dizionario minimo di che cosa?
A B è un principio. In questo caso lo vedo come nuovo inizio, è tanto tempo che non facevo un disco nuovo, in 5 anni sono cambiate molte cose a livello musicale nazionale, l’AB inoltre sono le iniziali del mio nome.

Appunto, chi è adesso Antolini Beatrice?
Adesso sono come prima solo con molta più pazienza, sono più serena. Da giovane uno ha molte cose da dire e a volte può sbagliare le modalità per esporle. Io ho avuto sempre sin dall’inizio molto carico sulle mie spalle, per mia scelta. Adesso ce l’ho lo stesso ma è un piacere fare tutto quello che faccio, perché riesco a vivere la situazione in maniera diversa, frutto del mio laboratorio interiore che cerco di mandare avanti per migliorarmi, o almeno questa è la speranza.

Si dice sempre che il disco nasce da una necessità, un’esigenza, come mai tutta questa pausa dal disco precedente?
Da “Beatitude” sono passati 3 anni e mezzo, è stato un elemento di rottura. Non avevo voglia di fare un disco perché ne avevo fatti abbastanza e per fare un bel disco la scrittura deve essere di almeno due anni e mezzo. Inoltre in questo tempo ho fatto dei tour, più varie ed eventuali... quindi di pause effettive non ne ho mai viste. Forse le avete viste voi!

Quando nasce questo disco e con che premesse?
I primi brani li ho scritti, appunto, circa 2 anni e mezzo fa. Alle fine avevo scritto e arrangiato 80 pezzi, producendo per bene solo quelli che avevano un senso nell’insieme. Volevo fare un concept per dire delle cose, non proprio una critica ma piuttosto una foto di questo momento storico per quello che mi riguarda personalmente, ma anche per quello che vedo nella gente. In questo brodo di cui parlo ci siamo in mezzo tutti e quindi pure io, non mi pongo come deus ex machina, anzi come tutti stiamo vivendo una mutazione come gli animali e le piante, mutazioni di nuovi modi di vivere. Non è una critica ai social, io li uso in un modo che non mi fà male e qualcuno invece ci può cadere dentro in dei modi non così sani.

Ma quindi nasce prima il concept della musica?
No, nascono sempre prima i pezzi e poi arrivano dei testi ed evidentemente in questo momento nella mia vita avevo voglia di dire questo. Tutti i pezzi che ho scelto di "L’AB" hanno una loro coerenza, fanno parte dello stesso messaggio, sono cose magiche, arrivano e uno si mette a disposizione. Io la vivo così, un po’ da esoterista.

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Pensi che questa concezione del rapporto tra la persone e tra la tecnologia stia portando a un diverso modo di vivere? Alla fine un po’ ci frega, crediamo di essere in contatto costantemente con gli altri invece di uscire…
Esatto è qui il mio tema. Non è una critica al social in sé, ma una critica al comportamento alle persone. Non è tanto il fatto che si può comunicare con il social ma il fatto di non avere più dei rapporti sociali normali alla sera, come quando 10 anni fa si usciva tutte le sere, anche il mercoledì, e ti ritrovavi in diverse situazioni. Io vivo in un’isola felice ed è ancora così però so che in molte province italiane, e non solo, ci sia questa specie di culto del divano, il culo pesante che è quello che mi spaventa di più: bisogna buttarsi nella vita. Io sono un esploratore altrimenti mi annoio e non ho stimoli. Non mi appaga stare sul divano, invece c’è tanta gente che pensa sia normale non frequentarsi. Il mio è un invito ad avere dei rapporti sociali con gli esseri umani, è da lì che sono nate le cose belle, non abbandonare il lato umano. 

Io ho più o meno i tuoi anni e penso che sia una questione che riguarda la nostra generazione che è sospesa tra i nativi digitali e quella precedente. Viviamo in una specie di limbo.
Be', io il pc ce l’avevo a 15 anni, ma ti ripeto che la mia non è una critica. Il cambiamento sta nei comportamenti umani. Lo vedo nei bambini di 11 anni, ma lo facciamo anche noi. Esempio banale: in qualsiasi ristorante stanno tutti con il cellulare in mano, lo fanno quello di 20, 15, 30 e 40 anni. Anzi spesso sono più i grandi che fanno dei danni: togliete i social a quelli che hanno l’età dei nostri genitori!

Continuando a cantare in inglese, hai ancora l’ambizione di andare all’estero e di provarci?
Non è così facile perché non ci sono le entità che ti aiutano a farlo. Sono questioni che riguardano figure come i booking e i promoter. Diciamo che è un discorso complesso da affrontare, ma penso che se uno vuole suonare all’estero ci va e lo fa. Per vari motivi noiosi non ho potuto mai farlo, ma quando ho avuto la possibilità di farlo mi è piaciuto molto, ho fatto anche dei tour internazionali con dei grandi artisti. Portare avanti un progetto all’estero vuol dire avere dei contatti di amicizia con dei promoter che ti considerano nel marasma di tutti gruppi che esistono in tutto il mondo. L'alternativa è trasferirsi all’estero e ricominciare da capo. Non trovo utile andare a suonare in posti a caso solo perché sei all'estero; l’ho fatto eh, ma crescendo ho preferito fare poche cose ma giuste.

A livello musicale è sempre stato un po’ difficile inquadrarti perché in te convivono la parte sperimentale dei progetti personali e la parte delle collaborazioni che vanno da Lydia Lunch a Emis Killa passando per Jennifer Gentle. Come si fa ad arrivare a fare una sintesi di tutte queste cose? Quando tu hai dovuto condensarle in un disco come hai fatto?
Ho portato avanti due tipi di strade. La prima è quella di songwriter e produttrice, perché mi sento più produttrice che cantautrice in quanto ho sempre prodotto i miei dischi. È una strada mia personale, con il mio messaggio, e una poetica, se così si può dire.
Dall'altro lato c’è la strada di Beatrice Antolini musicista che ha imparato a suonare degli strumenti. Una strada compensa l’altra perché purtroppo, senza girarci attorno, tra un disco e l’altro devo lavorare.
Tanta gente preferisce suonare le proprie cose e basta, mentre io faccio talmente tutto da sola che poi quando vado a suonare con altri mi fa solo piacere. Questa è la mia parte socievole e anche di curiosità. Non mi spaventa provare cose nuove visto che la mia musica contiene tanti elementi. Non ho un genere e chi se ne frega, per me si può parlare di genere fino al grunge e basta, perché poi è stata tutta una contaminazione. Sono in pace con la mia coscienza e le esperienze che ho fatto dalle collaborazioni e quelle da turnista mi sono piaciute lo stesso, le ho vissute in maniera positiva e mi hanno arricchita.

Prima hai detto che di questi 80 brani che hai scritto hai dovuto fare una cernita anche a livello di suono, come hai fatto? C’è stato qualcosa che li univa? È un disco molto vario.
L'impianto degli arrangiamenti e della produzione li accomuna. Ho una mia metodologia molto curiosa. In questo caso ho usato un po’ più delle “modernate” che a me piacciono; avendo degli ascolti di un certo tipo sentivo quest’atmosfera un po’ fredda in certe situazioni e ho voluto descrivere con i testi questa osservazione della realtà. Penso molto che i brani suonino abbastanza simili, quando uno si mette a fare la produzione devi fare un suono, non puoi fare una cosa in un modo e in un altro.

Quanto è importante il suono nel veicolare il messaggio?
Per me è fondamentale, mi piace molto l’aspetto della produzione. Sono stufa di sentire sempre le solite “manfrine” arrangiate nello stesso modo e che suonano sempre uguali, a me piacciono i suoni freschi, moderni, quelli che sento nelle robe estere che mi piacciono. Poi a volte parto proprio dal suono, scrivo un pezzo partendo da un tipo del suono, quindi mi piace molto il discorso della produzione, è sempre stata la mia passione.

Hai fatto tutto tu, in casa, ci puoi raccontare del processo? 
Il brano più particolare di questo disco e che ha stupito anche me è “Second Life”, quello più prodotto, su cui ho lavorato di più: ho voluto spingermi oltre nella ricerca del suono, è stato molto duro arrivare alla fine di quel brano e volevo che suonasse proprio come dicevo io. Questo brano è premonitore di una serie di cose, perché l'avevo scritto un po’ di tempo fa e il testo diceva delle cose che poi si sono avverate nel futuro. È stato un brano molto importante per me.

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Si sente che il disco è attuale ma con una certa attenzione al passato, contemporaneo ma anche senza tempo…
Quello sarebbe l’obbiettivo massimo. L’elettronica invecchia molto velocemente ma in questo caso non è importante l’elettronica ma sono importanti i brani e tutto ciò che è a servizio. Il brano in cui ho osato di più a livello di arrangiamento e di contemporaneità è “Subba” che è un brano sostanzialmente che vira verso l’hip-hop un po’ oscuro. A me è sempre piaciuto il groove, la ritmica, i miei dischi sono sempre sulla ritmica che è la mia passione. Secondo me suona contemporaneo perché non mi metto a copiare, ascolto tutt’altre cose, ad esempio musica classica, i madrigali… sono una pazza, ascolto delle robe che non c’entrano niente con quello che faccio, ma è proprio lì che mi arricchisco perché si trovano degli elementi della musica del passato molto interessanti a livello armonico. Spero che suoni contemporaneo ma perché più che altro ho ascoltato le sensazioni che ci sono nell’aria, mi auguro sia così.

Questo disco è uscito a febbraio, come sono fino ad adesso le reazioni? Ci sarà un tour a supporto del disco?
Le reazioni sono state ottime, la critica è stata super positiva e quindi sono molto felice di ciò che hanno detto del disco. Le date purtroppo le interrompo al momento perché sarò in tour con Vasco. Spero di riprenderle quanto prima o a luglio o per la nuova stagione il prossimo autunno. Sicuramente il disco sarà suonato live perché poi è un disco che live funziona molto bene.

Come sarà portarlo dal vivo con tutte queste stratificazioni di suono?
Sicuramente diventerà più scarno. Sono brani che per fortuna anche se li "dimagrisci" non perdono la loro anima, per cui li metterò a dieta. Però è bellissimo, abbiamo già fatto delle prove e quindi non vedo l’ora.

Quindi c’è già un team che sta già lavorando per eventuali nuovi live?
Sì sì, ho già pensato all’allestimento, come renderlo, chi portare e chi non portare, spero il prima possibile di annunciare le date.

Hai parlato delle nuove collaborazioni, dici che il tuo progetto abbia avuto maggiore visibilità grazie ad esse? 
Sento di aver costruito sbattimento dopo sbattimento ogni singolo tassello. L’obbiettivo è far sentire musica a più persone possibili, il come non mi interessa. Il pubblico può essere diverso o a volte simile e dipende anche dalle collaborazioni, speriamo che per quest’ultima ci sia più attenzione per il disco, me lo auguro. So quello che fatto, il lavoro che c’è stato dietro tutti i miei dischi, 10 anni di percorso intenso di lavoro solitario e impegnativo, sono molto serena e sicura che tutto quello che è arrivato arriverà e in un certo senso l’ho cercato.

Hai parlato prima della scena musicale e del suo cambiamento. Hai fatto parte de “Il Paese Reale”, de “La leva cantautorale degli anni Zero”, dei primi progetti in cui si cercava di fare sistema. Quello che è successo è che alcuni di questi hanno avuto fortune alterne, è cambiato un po’ il mondo di riferimento, Manuel Agnelli è in televisione e continua a fare promozione musicale. Come la vedi questa esperienza e come vedi questo momento adesso per la musica italiana, per quella più autentica?
Io penso che Manuel sia stato una specie di visionario perché ha detto una cosa che si è attuata ora, a distanza di tempo. Ne “Il Paese Reale” ci siamo di brutto per tutto una serie di cose, belle o brutte non mi interessa, ognuno può fare quello che vuole e ben venga la fantasia di ogni tipo. 

 

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L'articolo Beatrice Antolini, l'alchimista del suono di Starfooker è apparso su Rockit.it il 2018-05-08 10:31:00

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