Il beatbox o l'arte di diventare musica, secondo AlienDee

AlienDee, il king del beatbox in Italia, ci racconta i primi passi da fare per approcciarsi all'arte di diventare musica

24/09/2018 - 10:11 Scritto da Aliendee

AlienDee è "The Humanoid Beatbox Musician", uno dei numeri uno dell'arte del beatbox in Italia. Dall'alto della sua esperienza ventennale in questa pratica in cui non si suona nessuno strumento ma si produce musica tramite se stessi, gli abbiamo chiesto cosa bisogna fare per iniziare ad approcciarsi all'arte del beatbox. Ecco cosa ci ha risposto.

Quando ho iniziato io non c'era praticamente nulla. Sul serio, era talmente difficile informarsi che sembrava quasi che le informazioni, in realtà, non esistessero neanche. Era il 1997 e gli unici modi per capirci qualcosa di hip hop in Italia erano: A) esserci sempre; B) immagazzinare nozioni da chi c'era prima di te; C) sperare che quella musicassetta o quel cd masterizzato arrivassero anche a te. Quando ho poi iniziato col beatbox, nel 2000: peggio di prima. Girava qualcosa di Razhel. Se eri fortunato qualcuno ti parlava di Doggie E. Fresh. Non c'era internet e l'unica cosa che potevi fare era inventare. Oggi… Be', oggi con YouTube, guardi, prendi, copi, incolli: facile e veloce, il più delle volte però, purtroppo, con risultati privi di qualsiasi originalità.

Piacere, Davide, 37 anni, in arte Aliendee. Ma potete tranquillamente chiamarmi Alien, come fanno tutti. Ex pianista, jazz lover, apparentemente sereno e con un'unica fissa musicale: originalità e riconoscibilità. Colpa dell'hip hop, poco ma sicuro. Colpa delle rime, della voce, dei djs, del lettering e delle moves. In quegli anni ho imparato che o eri riconoscibile e originale o, banalmente, non esistevi. In realtà non mi sono mai sentito a mio agio a essere come gli altri, da ben prima che ascoltassi il primo disco che mi ha fatto innamorare di questa cultura (ATCQ “The Low End Theory”); probabilmente era scritto che sarei diventato così. Quando ho iniziato col beatbox inevitabilmente questi due temi sono stati il cardine portante del mio modo di studiare i suoni: come riprodurli, come essere fedele al suono di quella specifica batteria, come essere il più possibile simile alla base del pezzo X dell'ultimo disco di Redman. Praticamente maniacale. Quest'estate ho infatti pubblicato un disco (dal titolo “2WIN$ MIXTAPE”) col mio amico e compagno di palco Gast, in cui il gioco è proprio il remake: il mio è stato di ricomporre le strumentali di pezzi cult hip hop e quello di Manuel è stato di ricostruire metriche e rime come nel brano originale. È stato come se avessi voluto rivivere quei vecchi momenti in cui passavo giornate e giornate a replicare tutta la musica che sentivo. A 18 anni di distanza replicare ogni sfumatura continua a essere il mio metodo: dal dito che corre sulla corda del basso al respiro del musicista che lo suona.

Quando entro nelle scuole di musica a dirigere workshop di beatbox, la scena è più o meno sempre la seguente: mi avvicino alla lavagna, prendo il pennarello e scrivo a caratteri cubitali “IL BEATBOX NON SI PUÒ INSEGNARE”. Mi giro, guardo tutti negli occhi e me ne vado. Dopo un paio di minuti rientro, riguardo tutti negli occhi e chiedo perché, secondo loro, ho esordito con quella affermazione. E da lì si comincia.

Il beatbox è quanto di più personale possa esistere, è l'arte dell'essere musica. Nessuno te lo può insegnare, non esiste un prontuario. Non voglio che esista soprattutto. Di contro esiste però un metodo, un modo per capire, anche se stessi e le proprie potenzialità. Lascio che siano i ragazzi a dirigere il workshop. A scoprire, inventare, creare, chiedere, incuriosirsi. Io di solito sto lì a fare la domanda giusta al momento giusto, a dare la risposta giusta al momento giusto. A studiare fisicità, muscolatura e personalità di chi ho davanti per facilitargli l'apprendimento. Organizzo l'esercizio adatto sul momento, in base alle riflessioni dei partecipanti. Li stimolo, li stuzzico, li metto di fronte alle stesse difficoltà che ho trovato io quando ho iniziato. Li aiuto a diventare bravi autodidatti come lo sono stato io. L’unica differenza è quella di potersi rapportare con qualcuno che le risposte le ha. “Alien, ma quando c***o respiri?”  è in assoluto la domanda più gettonata, “Sempre!” è la risposta che do ogni volta, e da qui si apre tutto un nuovo mondo di curiosità.

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Il beatbox è l'arte di diventare musica. Ogni persona è differente da un'altra: per caratteristiche fisiche, sesso, età, origini, lingua... Per questo tendo a essere contrario a metodi decisamente poco adeguati all'insegnamento di questa materia. Non esiste dire che il primo esercizio utile per riprodurre la batteria è di provare a dire P Z K Z. È concettualmente sbagliato. Il primo esercizio è quello di capire come fare a diventare una batteria. Chiudi gli occhi. Respira. Immaginati seduto davanti a una batteria e dimmi cosa vedi. Ok, ora suonala.

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L'articolo Il beatbox o l'arte di diventare musica, secondo AlienDee di Aliendee è apparso su Rockit.it il 2018-09-24 10:11:00

COMMENTI (1)

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  • davide.e077 6 anni fa Rispondi

    Io l'ho conosciuto, ho avuto il piacere e l'onore di poter fare dei workshop con lui e di aver suonato con lui. Quello che dice è veramente così. Arriva questo genio, scrive una frase sulla lavagna e se ne va. Alla fine del corso capisci che da negato forse un po' di speranza c'è.
    Quella speranza te la tira fuori Aliendee.