Forse non ho capito ma sono contento: l'analisi a caldo del live dei Thegiornalisti

Le foto e le parole subito dopo una data che forse non sarei andato a sentire e perchè invece sono contento di averlo fatto

Tutte le foto sono di Beatrice Mammi per Rockit.it
Tutte le foto sono di Beatrice Mammi per Rockit.it

Il live dei Thegiornalisti al Forum di Assago assomiglia a come te lo aspetti. Voglio dire, sai cosa stai andando a vedere no? Un grosso grasso concerto pop in un palazzetto, che capirai ce ne sono già tanti in giro. E non ha nemmeno tanto senso parlare ancora di quel loro salto di categoria, che ormai sui TheGiornalisti si è già detto tutto e forse anche troppo. Perché forse sul live al Forum per il Love Tour non c’è molto da dire, non più di quanto abbiamo detto.

Perché è la definitiva conferma del fatto che siano uno dei più grandi fenomeni pop della musica italiana recente, che siano passati definitivamente e in maniera irreversibile (Thegiornalisti toccatevi) in prima categoria, che vedere la reazione del pubblico continua ancora comunque a fare impressione. Loro sono questo da un po’, non ha senso specificarlo ancora. Il punto è che forse sono davvero questo da sempre. A litigarsi la scaletta sono i brani dell’ultimo disco e le varie “Io non esisto”, “Fine dell’estate” e “Promiscuità”, che delle 18 mamme (senza figlie accompagnate, nda), 6 fidanzati e 35 ragazze che avevo nei miei dieci metri quadrati ero l’unico a conoscere, e su questa il sei troppo vecchio non vale che ho vent’anni. 

Non c'è nulla di particolarmente indicativo in questo, è solo un’altra fotografia della vera trasformazione dietro i Thegiornalisti: non la band, ma il pubblico. Di quelli che nel 2014 erano a sentirli al Circolo Ohibò di Milano, o come me in un bar di Fano con 50 persone, stasera forse ero il solo. Il loro pubblico è qualcosa di molto lontano da quella bolla in cui vivo oggi, fatta di riferimenti e concertini e cocktail rivisitati da baristi tatuati e vinili presi in piccoli posticini nascosti, e molto vicino a quello che mi dicono essere paese reale. La prima cosa che ho capito è che, alla fine, la mia filter bubble è molto confortevole. La seconda è che una qualsiasi analisi politica di questa cosa sarebbe ridicola ora, mi fermo a parlare del concerto in sè. È solo che quando si parla dei TheGiornalisti e del loro pubblico o di argomenti come questo, di come cambiano e crescono, alla fine lo si fa sempre sui numeri. I numeri indicano qualcosa, chiaro, ma pur sempre numeri sono. Oggettivarli e vedere effettivamente cosa riescono a fare a quel numero di persone lì, nel vedere dal vivo non la band ma il pubblico, è un po’ assurdo. Sì, probabilmente un pubblico che non sa nulla di loro prima di “Riccione” e a cui a occhio frega anche poco l’archeologia della band, ma che urla allo stesso modo sulle cover di Calcutta e di Vasco Rossi. Ripetiamo. Thegiornalisti. Calcutta. Vasco Rossi. Non è nulla di così nuovo, ma è strano trovarselo davanti e non dentro un’analisi. 

Sullo show in sé non c'è così tanto da aggiungere, e questo senza una particolare accezione negativa. La band con tanto di componente orchestrale è qualcosa di forte, sia come impatto sonoro che visivo. Bravi. I visual e le installazioni, ecco, io non ho mai visto gli anni ’80 di persona ma sono convinto che gli stessi anni ’80 fossero meno anni ’80 di così. Migliorabile, ma questo è gusto personale. Altro consiglio personale: illuminate di più Leo Pari. Nessuna critica o ironia, vederlo ballare potrebbe salvare qualsiasi momento del live. Gli arrangiamenti di Dario Faini su “Love” si confermano una scelta centrata anche nella resa live. È grazie ai synth di Cantaluppi che si è parlato di loro, ma sono gli archi di Dardust che li consacrano. Tommaso Paradiso faceva la pop star una volta, ora ci è proprio e non gli puoi dire niente. Può non piacerti, ma in quello sport lì, quello del pop nazional popolare, non gli puoi proprio dire niente.

Eccola la parola, nazional popolare. Da qui in avanti non voglio fare retorica spicciola, ma è qualcosa che comunque finirò a fare in ogni caso, quindi potete anche chiudere già la tab. Perchè nazional popolare è una parola che a me fa un po' paura, o almeno da quando è diventata sinonimo di rutti e scoregge e rabbia. La colonna sonora di chi pensa che l'altro porta guai, che la tv è meglio del cinema o che più grande significa meglio. È anche per questa parola che io, e qualcun'altro di cui sono sicuro, mi sono costruito un muro di cinta fatto di tutte le cose che mi piacciono e tutti quelli con cui condividi qualcosa, come quando mi costruivo un castello coi cuscini del divano da bambino. Quelli che stanno fuori, e non lo faccio apposta, a volte mi stanno sul cazzo. Solo che ieri c'erano 10.000 persone che stanno fuori dalla mia torre d'avorio, ma non è che mi stessero così tanto sul cazzo alla fine dei conti. Forse non è stato il miglior concerto dei Thegiornalisti, sicuramente non il mio live della vita che solo settimana scorsa a Milano c'erano Flaming Lips e Superorganism, per dire. Però sì, ero proprio contento di esserci ieri sera. Non so perchè, non so come, ma ero contento di esserci. E magari voi vi dite che i Thegiornalisti sono dei venduti e vi fanno cagare, potete continuare a farlo tranquilli. Però di nascosto, se potete e senza farvi vedere da nessuno, ad una loro data andateci. Non so spiegarvelo bene come vorrei, forse nemmeno lo capisco, ma ne vale la pena. 

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L'articolo Forse non ho capito ma sono contento: l'analisi a caldo del live dei Thegiornalisti di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2018-11-19 00:00:00

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