Massimo Volume - Nuotando tra paura e desiderio

I Massimo Volume ci raccontano il nuovo album "Il Nuotatore", in uscita oggi per 42 Records.

Massimo Volume (tutte le foto sono di Simone Cargnoni)
Massimo Volume (tutte le foto sono di Simone Cargnoni)

Oggi è il giorno del ritorno dei Massimo Volume: a più di cinque anni da "Aspettando i Barbari", la band pubblica oggi il nuovo album "Il Nuotatore" (in uscita per 42 Records), per la prima volta realizzato dal nucleo storico della band, il trio Emidio Clementi, Egle Sommacal e Vittoria Burattini. Li abbiamo incontrati per farci raccontare qualcosa di più sul disco, e per scoprire come si possa nuotare tra il fascino del desiderio e la paura che trattiene.

Vorrei partire da una frase di Emidio in un’intervista del 2013, in occasione dell’uscita di "Aspettando i Barbari". Per parlare della genesi del disco, disse che esso era nato “dal desiderio di cogliere quell’attimo di attesa, quando i sensi si acuiscono, quando un pericolo è in arrivo e la realtà appare forse più nitida”. I barbari sono arrivati? Quanto ha inciso questo nella creazione de "Il Nuotatore"?
Emidio: Durante la gestazione del disco, ma anche nella scrittura dei testi, non è che abbia pensato a un filo conduttore che legasse le varie canzoni. Arrivati alla fine forse ci sono dei temi che tornano: uno è il desiderio, l’altro la paura del desiderio. Fascinazione e paura. E un altro è quello della realtà, quando dico “a volte immagino il mondo coperto da un velo”. Che poi è anche un po’ il senso del racconto di Cheever: quello di una realtà apparente, che nasconde una sottotraccia molto più inquietante. Anche se dentro mi sembra ci sia anche dell’ironia, penso a “L’ultima notte del mondo”. Mi sembra di aver giocato un po’ di più con i registri rispetto al passato. Quella dei barbari invece è anche un po’ una costante. L’inquietudine nei confronti del futuro e dell’altro credo sia un po’ connaturata a tutte le epoche, anche se ognuno pensa caratterizzi la propria. E in realtà ci si convive anche un po’, con questo timore. Anche perché in tanti ci stanno ripetendo che il disco esce in una realtà musicale completamente cambiata, sembra proprio l’arrivo dei barbari. Poi in realtà forse ogni epoca e generazione si somigliano anche.

"Il Nuotatore" include anche una traccia omonima, una tua personale rivisitazione del racconto di Cheever che menzionavi prima. Un contesto di festa in cui il protagonista si sveste allegro, deciso a fare ritorno a casa passando attraverso le piscine dei vicini, ma le trova invece abbandonate e piene di foglie, fino ad arrivare alla propria casa, violata e ugualmente in stato di abbandono. In che aspetti del racconto vi riconoscete?
Emidio
: Come band non saprei. Però credo quello di una realtà un po’ da "Truman Show" sia un tema sentito da tutti noi. Le realtà apparenti, dove tutto sembra funzionare alla perfezione, mentre sotto preme qualcosa di inquietante. Ma oltre al rimando a Cheever, lo abbiamo scelto come titolo anche perché era quello più evocativo, a cui ognuno può dare un’interpretazione personale, come era anche "Aspettando i Barbari", sebbene entrambi forse un po’ noiosamente letterari. Ci permetteva un respiro un po’ più universale.

EDIT (c) Simone Cargnoni JUMP CUT-M19A1359
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Il pezzo che apre il disco è “Una Voce a Orlando”, ispirato da un video amatoriale trovato da Emidio, girato durante una sparatoria in un night club di Orlando nel 2016: un confronto tra il desiderio di essere come il poliziotto che sta provando a difendere i presenti con il proprio corpo e la consapevolezza di non esserne capace.
Emidio: L’abbiamo messo all’inizio perchè tutti pensavamo che come attacco potesse funzionare.
Vittoria: Ha una certa maestosità, un po’ sinfonico. 
Emidio: Da ouverture, una grande ouverture. Per quanto riguarda il testo, la riflessione di cui spesso abbiamo parlato anche qui in sala prove è la capacità di accettare la morte, in certe circostanze. Mi sono chiesto se in quel caso riuscirei a fare quello che desidero o se invece la paura...
Vittoria: Ma dai, il primo che si nasconde sotto il bancone è Clementi (ride, ndr).
Emidio: Però almeno ci rifletto.
Vittoria: Che ci rifletta è importante, certo. Peraltro, si è trattato di un vulnus abbastanza grave per la comunità LGBT.

Vorrei approfondire il tema del desiderio di cui parlavamo prima. Nel disco sono presenti diversi pezzi che includono il tema del timore del fallimento e del continuo giustificare se stessi, penso a “Nostra Signora del caso” o a “Vedremo Domani”. Altre tracce esprimono però il desiderio di essere travolti dalla realtà, in modo più o meno diretto.
Emidio: A livello letterario è un tema molto ricorrente nella Lispector. La voglia di essere travolti dal caso, questo desiderio e insieme la paura che ciò accada. Ma anche questo mi sembra un tema che appartiene un po’ a tutti. Quello del desiderio è un mondo molto particolare, molto contradditorio, sfaccettato. È tra i più affascinanti ed è anche un po’ crudele.

Nel disco trovano posto anche due personaggi: lo zio di Emidio, ne "La ditta di acqua minerale", e il Generale José Sanjurjo, in "Mia madre e la morte del gen. José Sanjurjo". Entrambi dominati da una passione totale, che li porta a perdere l’azienda al gioco nel primo caso e nel secondo la vita, a causa della caduta di un aereo eccessivamente caricato di trofei e divise di guerra. Sono personaggi che abbracciano le proprie passioni fino alle loro estreme conseguenze.
Emidio: Mi sembrano entrambe due belle storie. Quella di mio zio ce l’avevo lì da tanti anni, però non l’avevo mai scritta. La cosa forse più sorprendente e cinicamente bella è il fatto che lui sia rimasto a lavorare tutta la vita in quella che era la sua azienda. Non ricordo dove abbia letto invece la storia del generale Sanjurjo, che sarebbe stato destinato a prendere il potere e la cui morte avrebbe quindi reso l’ascesa di Franco un frutto delle circostanze. Ne ho parlato anche con alcuni amici spagnoli, si ricordavano vagamente il nome, ma nessuno conosceva questo aneddoto. È una grande parabola sulla vanità. Anche se ha un contraltare nella figura di mia madre, che lo riabilita un po’.

EDIT (c) Simone Cargnoni JUMP CUT-M19A1394
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Invece “L’ultima notte del mondo” racconta di una serata mondana tra diverse figure artistiche che attraversano il tempo, da Chopin a Basinski, colte dal panico perché scoprono che il buio, e quindi il male, non esisteranno più e che da quel momento in poi il mondo sarà costantemente immerso nella luce.
Emidio: Sono un po’ i cantori della notte. Basinski mi divertiva inserirlo sia per il completo rosa, che per farlo passare per il palloso che non è. Tempo fa ho letto un bellissimo articolo, di cui non ricordo l’autore, sulla tragedia che sarebbe l’immortalità. Credo che un mondo completamente pacificato, che tutti forse speriamo possa un giorno arrivare, avrebbe come contraltare la fine dell’arte. L’arte si ciba di conflitti e contraddizioni, se essi cessano credo diventerebbe un po’ decorativa. Sarebbe un po’ il Paradiso di Dante. Non voglio essere irresponsabile, capisco la tensione verso un mondo migliore, però forse la sua realizzazione ci porterebbe a dover fare i conti con la perdita della bellezza e della creatività. I personaggi della canzone se ne rendono conto e cercano di proteggere il mondo da questo, in qualche modo.

Avete voluto fare anche un giro a Venezia con Nietzsche.
Emidio: M’ha chiamato, m’ha detto dai passa di qua, passiamo un pomeriggio insieme… (ride, ndr).

Però di tutti i posti a Venezia, tu scegli di portarlo a Poveglia, un’isola meno nota della laguna, che negli ultimi anni ha anche vissuto vicende alterne.
Emidio: Lui in realtà in alcune lettere cita l’isola dei morti, che vedeva proprio dalla sua stanza, e allora l’ho tirato in ballo. Mi piacerebbe andarci. C’è una canzone di Léo Ferré, mi pare si intitoli "Richard", e in un disco dal vivo a un certo punto lo chiama due o tre volte. Richard, eh? Molto del testo ruota intorno a quel piccolo “eh”, ce l’ho costruito attorno.

EDIT (c) Simone Cargnoni JUMP CUT-M19A1396
EDIT (c) Simone Cargnoni JUMP CUT-M19A1396

Quanto ha influito a livello musicale l’essere tornati in tre, nucleo storico della band?
Egle: È stata una scelta obbligata, Stefano Pilia era troppo impegnato con gli altri mille milioni di progetti che segue (ridono, ndr). Abbiamo comunque composto per quartetto, sempre per due chitarre, basso, batteria, dal vivo avremo un altro musicista con noi. L’approccio è stato comunque essenziale, senza fronzoli. In una visione un po’ disincantata della realtà e del mondo che ci circonda, la musica forse rincorre in qualche maniera questo filo conduttore. Però avevamo anche paura di un’eccessiva eleganza, abbiamo comunque cercato di inserire dei momenti un po’ meno intellettuali, un po’ pop.
Emidio: Parise diceva che l’eleganza è frigida, io gli do ragione.
Vittoria: Questo è un discorso complicato da affrontare. È chiaro che se si mischiano più livelli è più facile ottenere qualcosa di sexy, che non prefiggendosi solo l’eleganza. Però l’idea è di rimanere sempre contaminati. A me sembra sempre più difficile scegliere quale taglio dare a un disco nuovo, proprio perché a livello personale sento il distacco tra com’ero a vent’anni rispetto ad adesso che ne ho cinquanta. Dare un taglio che ci piaccia, ma che non suoni troppo anni ‘90, per me è stato complicato. Come un gruppo di musicisti riesca a stare al passo coi tempi è un discorso sempre attuale. Poi chiaramente sarà il giudizio impietoso della storia a dirci se abbiamo fatto dei dischi datati o meno, che noi sentivamo freschi e che invece non lo erano. Però la scommessa è proprio quella di riuscire ad acchiappare i tempi che corrono secondo il proprio stile. Nel caso di questo disco anche con una gestazione un po’ faticosa. Dal punto di vista di tecnici, fonici e studi è stato un percorso accidentato rispetto al solito.

Nella realtà musicale del tutto cambiata che menzionavate all’inizio, che ruolo pensate di avere o di dover avere come band?
Egle: Io credo che i musicisti nell’ambito rock abbiano un ruolo sia nel mondo dell’arte, che un po’ in quello dell’intrattenimento. Le leggi a cui devi rispondere non sono solamente quelle puramente estetiche dell’arte. Però, e alla fine ha attraversato quasi tutta la mia esistenza, la musica è un po’ una necessità, di questo sono convinto. E una necessità su cui ho fatto poche speculazioni. Capisco che la società nel corso del tempo abbia dato all’artista un ruolo diverso, ma non so se egli possa addossarselo. Lui fa quello che fa, quello che si sente di dover fare. E sono poi gli altri a dargli ascolto, un seguito o un posto da ministro.
Vittoria: Poi è anche vero che noi come gruppo non occupiamo un posto da gente che fa i soldi, però ogni volta che facciamo un disco ci intervistano, ci chiedono un’opinione. Ricopriamo un ruolo e una posizione dove possiamo dire la nostra, il che è un privilegio. In quel senso gli artisti possono anche, non dico cambiarla, ma quanto meno partecipare a un dibattito sull’attualità, su quello che succede, sia attraverso un’opera d’arte, sia attraverso un’intervista.
Egle: Però non mi sembra che stiamo cambiando molto la realtà. Alla fine quasi tutti gli artisti bene o male appartengono a un’area di sinistra, progressista comunque, ma mi sembra che l’andazzo non sia quello, nonostante tutto.
Vittoria: Ma si partecipa a un infinito dibattito. Se consideriamo i grandi cambiamenti epocali, gli artisti ci sono sempre stati in mezzo. Woodstock, il ’68, l’estate dell’amore. Pur sempre, ripeto, da una posizione di privilegio. Poi che di questi tempi la superficie sembri un po’ inscalfibile è vero. Però come dice anche il buon Clementi, vogliamo forse vivere in un mondo dove i Massimo Volume sono i primi in classifica, con "Il tempo scorre lungo i bordi" trasmesso nei supermercati? Assolutamente no.
Emidio: Sarebbe veramente un incubo.

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L'articolo Massimo Volume - Nuotando tra paura e desiderio di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2019-02-01 10:30:00

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