Intervista ad Ensi: è di nuovo il momento giusto per l'hip hop

Ensi racconta in quest'intervista molte cose sul suo nuovo album "Clash" uscito lo scorso febbraio.

Ensi
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Ensi è tornato il primo febbraio col nuovo album "Clash", presentato con una serie di appuntamenti speciali che si concluderanno oggi a Napoli. Il rapper torinese ci racconta qualcosa in più sul disco, i featuring, la scrittura e lo stato attuale dell'hip hop.

“Clash” fra tutti i tuoi album è quello che mi è piaciuto di più. A mio avviso hai portato a un livello ancora superiore un discorso già ben avviato in “V” di coesistenza tra rap da battle e contenuti.

Mi fa molto piacere, è una considerazione che mi è arrivata da più addetti ai lavori, dai veterani e da tanti nuovi giovani esponenti. Mi fa piacere perché continuo a ritenere “V” il mio album più importante, vuol dire che anche il messaggio che volevo mandare con “Clash” è arrivato. “V” ha riacceso la luce sul mio progetto anche a livello discografico: siamo arrivati nella top 10 nella prima settimana, non sto parlando di risultati da record, ma sono risultati importanti per un artista che come me nel corso degli anni ha assunto una determinata posizione. Sono un artista che è sopravvissuto a diverse generazioni, l’integrità che mi è sempre stata riconosciuta mi fa piacere. Essere in tendenza ti permette di fare qualsiasi cosa, io ho trentatré anni, non riuscirei nemmeno più a dedicarmi a un album vuoto, privo di contenuti. Ma in questo disco, come hai potuto constatare, convivono un po’ queste due anime, anzi, è diviso proprio a metà, la prima è molto rappata, serrata. Credo che "Clash" sia il disco giusto per questo momento storico, il disco giusto per una buona fetta di pubblico che a questa merda è ancora legato e magari vive un periodo di spaesamento. È un disco rap a 360 gradi, senza tempo.

Hai un calendario fitto di presentazioni, ma, da quel che ho capito, non si tratterà dei soliti instore.

Sono felice di tutto quello che sta ruotando intorno al progetto, dall’artwork ai video, stiamo puntando decisamente sulla qualità. Anche la presentazione del disco va in questa direzione: è un buon momento per l’hip hop ed è bello parlarne con i ragazzi. Volevamo uscire dai soliti circuiti degli instore, in ogni appuntamento in giro per l’Italia ci saranno ospiti, interviste live, ci presenteremo con una fanzine. L’aspetto comunitario è mutato negli anni ma ha sempre fatto parte di questa cultura, vorrei riportare questa roba nelle strade, mettere in contatto community di generazioni differenti, farli confrontare. Vorrei fosse ben chiaro che non si tratterà di workshop da boyscout, ho collaborato con artisti internazionali, ho visto avvicendarsi generazioni differenti di rapper, ho suonato nei centri sociali quando questa merda non se la cacava nessuno e sono riuscito a portare la mia musica sotto major: penso di avere una storia, delle competenze per poter parlare di rap, di scrittura, che è l’elemento che ha sempre contraddistinto questa disciplina.

“Rimetto in riga questa gioventù convinta che tutto quello che non è trap è old school”. Uno degli aspetti che a mio avviso ha contraddistinto il tuo percorso rispetto alla maggior parte degli interpreti della nuova ma anche della vecchia scuola è la tua versatilità: non ti sei mai fossilizzato su un genere, nel corso degli anni hai praticamente sondato ogni sfumatura ogni sottogenere del rap.

Essere puristi è sbagliato, bisogna pero essere solidi in ciò che si rappresenta. In “Clash” ci sono delle prese di posizione, chi ci vede un attacco non sa leggere tra le righe. Sono delle considerazioni, la fotografia della realtà. Con quella rima non mi riferivo a qualche particolare esponente ma a una tendenza tipicamente italiana a catalogare come old school tutto ciò che non rientra nel range della tendenza. C’è un sacco di roba che non è trap anche in Italia. Sembra che l’hip hop sia diviso esclusivamente in due scompartimenti, pensare che esista solo quello che va di moda è tutto il resto sia vecchio è stupido. Non credo che Kendrick Lamar o J Cole siano vecchi perché non fanno trap. D’altro canto, l’hip hop esiste, è una musica in evoluzione ed è ormai stata contaminata in ogni ambito, dalla moda al cinema. È letteralmente riuscita a coprire ogni campo sociale. Non ha senso non accettare la trap, non ha senso non accettare questa contaminazione urban di cui la trap è sicuramente la sfumatura più famosa. Io non sono un ottuso. Quel che è sempre importante valutare è la qualità. In America non si fanno questi problemi, in America abbiamo visto Justin Bieber con Nas. Di che cosa stiamo parlando…

I rapper che partecipano ai tuoi album devono sempre cercare di raggiungere il tuo livello. In “V”, tra gli altri, erano presenti Gemitaiz e Madman, due degli interpreti più tecnici d’Italia. A parte Johnny Marsiglia, in quest’album ti sei rivolto a ospiti importanti, ma non a dei veri e propri rapper. Hanno paura dei featuring con te?

Con Johnny abbiamo collaborato fin dalla prima ora, la sua prima apparizione in un disco fuori da Palermo è stata “Vendetta”. Parliamo di più di 10 anni di collaborazioni. L’ho sempre dichiarato, per me è uno dei greatest of all time. Ed è l’unica rappresentanza rap in "Clash" insieme al sottoscritto. Non dovevo fare l’album delle figurine, il disco mi sembrava sufficiente, avevo detto le cose che avevo da dire. In un’epoca in cui si fa la gara a chi ha più featuring in un album, avevo bisogno di far uscire allo scoperto i miei veri fan. Ed è andato bene, senza presunzione. Comunque tornerò in studio a breve e ci sono diversi progetti intavolati con tanti artisti. Per il resto, le contaminazioni giamaicane sono sempre state fondamentali nei miei lavori, anche il progetto Real Rockers va in questa direzione. In "Clash" forse lo sono state ancora di più. Non a livello di sound ma proprio di calore. Gli unici esponenti con una certa visibilità sono i Boomdabash, ma l’ambiente reggae è musicalmente uno dei più fervidi nella nostra nazione. Nella dancehall vige ancora quello spirito, quello scambio di energia che è lo stesso che mi ha fatto appassionare al rap tanti anni fa. Sono andato a prendermi un peso massimo direttamente in Giamaica, Agent Sasco, che ha collaborato con Kendrick Lamar e Pusha T, e poi ho scelto uno dei più credibili esponenti del genere in Italia, Patrick Benifei, che tutti i cultori conosceranno.

Vox P era già tornato prepotentemente in “V”, “Clash” segna invece il ritorno di Big Joe, anche a livello di produzioni ti sei affidato a compagni di lunga data?

Anche se Big Joe era il grande assente degli ultimi due album sono ormai dieci anni che lavoriamo insieme, lui ha messo il carico pesante e ha prodotto quasi metà disco. Con Big Joe in “Clash” ho attuato la stessa strategia messa in pratica con Vox P in “V”. Il mio team è coeso, lavoriamo sempre insieme e sono tutti presenti nell’album. Mi aiutano anche nella scelta, ed essendo grandi producer hanno capito che le basi di Big Joe erano le migliori per dare una determinata struttura a quest’album. Sono molto contento del sound, cucito su misura, coeso ma in grado di spaziare su più beat, non monotono. Stabber è invece la new entry, ha prodotto “Deng Deng”, cerco sempre di dare spazio a un nuovo produttore in ogni album.

Crookers, un altro tuo collaboratore storico, ha di recente prodotto una base per Massimo Pericolo: considerando la curiosità del progetto, m’interessava la tua opinione.

Il sound di Crookers lo ha sicuramente aiutato. È un super produttore, sa trovare la sfumatura giusta per ogni rapper, nessuno sa usare le batterie come lui. Massimo Pericolo mi è giunto alle cuffie principalmente per la sua produzione. Sono favorevole, anche se è molto crudo. Ha qualcosa da dire. Ci ha messo la faccia, ha avuto coraggio e questa musica è contraddittoria fin dagli albori. In un’epoca di piattume, ogni provocazione è ben accetta se in grado di portare a una reazione. Bruciare una tessera elettorale nel video non è la presa della Bastiglia ma interpreta bene il malessere di una generazione intera che non crede più nella classe politica. Io preferisco valutare un artista nel corso degli anni, in base alla sua longevità. Vedremo come va sta roba, per ora è una bella prova. Non condivido la scelta estetica della droga spiattellata nel video ma, aperta parentesi, la droga è un problema della società da sempre, è stupido dare la colpa al rap.

Nella scorsa intervista mi dicesti che eccellevi nel freestyle perché non avevi argomenti. In pratica, eri diventato bravo a esporre perchè non avevi temi da trattare. "Clash" è un album molto denso in cui mancano anche quei tuoi pezzi ironici come “Terrone” o “Sugar Mama”. Ora che ti reputi meglio come scrittore, per quale motivo hai deciso di inserire dei freestyle?

Certo, questi non sono i freestyle per cui tutti mi conoscono, sono freestyle nella loro accezione più americana: strofe e ritornelli che non hanno trovato posto nelle canzoni ma che per musica o per testo meritavano uno spazio autonomo. Sono un po’ anche delle spacca track, "Clash" è un disco molto coeso ma vive di momenti perché è stato concepito come un’esperienza corale. “Ivory” è la canzone che serve per fare la rima stilosa, per proporre un po’ di rap puro. R A P. La mia preoccupazione principale è non ripetermi nei dischi, se quella parte più scherzosa di me non è emersa in “Clash” questo non vuol dire che io sia più incazzato che negli altri album. Ho sempre cercato di centellinare per bene il rap e non fare stronzate. “Terrone” è uscita nel 2008, pezzi come questo sono dei wordplay, degli esercizi di stile in cui si ruota intorno a un termine, a un argomento per scriverci una canzone. Non volevo fare parodie, è una questione stilistica, ci sono decine di pezzi della storia dell’hip hop che mi hanno influenzato che parlano di donne e hanno un andamento leggero. “Sugar Mama”, ad esempio, è un po’ la mia “Shopping Bags” dei De la Soul. "Clash" è uscito a poco più di un anno di distanza da quello che reputo il mio disco più importante, la scelta di inserire dei freestyle voleva essere un’istantanea dello stato di salute del mio rap al momento.

Da torinese, hai sempre avuto a che fare con i Subsonica. Cosa ne pensi del loro ritorno?

Ho sempre collaborato con tutte le parti dei Subsonica singolarmente, ho partecipato dal vivo ad alcuni concerti dei Motel Connection, Ninja e Samuel erano presenti su alcuni miei album, c’è sempre stata super ballotta fra noi. Stiamo parlando di una band che ha segnato veramente le generazioni, la storia della musica italiana. Se sono anni che collaboro con loro vuol dire che provano veramente del rispetto artistico nei miei confronti. E da parte di una superband come loro fa veramente piacere. Un paio di settimane fa ho partecipato al loro live al Forum scrivendo una strofa inedita de “Il cielo su Torino”, una roba super emozionante. Lo ricorderò sicuramente fra gli highlights della mia carriera.

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L'articolo Intervista ad Ensi: è di nuovo il momento giusto per l'hip hop di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2019-03-08 16:00:00

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