Per sempre la via della cicala: i FASK in 4 atti

Da "Animali Notturni" ai primi anni della band, la nostra infinita conversazione coi FASK

Tutte le foto sono di Beatrice Mammi @beynot /Rockit.it
Tutte le foto sono di Beatrice Mammi @beynot /Rockit.it

Fast Animals and Slow Kids. Non voglio dire sia un brutto nome per una band, solo che ne ho sentiti di migliori. Ma se sei alle superiori e il tuo unico modo per risolvere la provincia, l’inadeguatezza, la giovinezza e te stesso è spaccarti le chitarre in faccia con i tre tuoi amici quel nome deve sembrarti figo. Allora non sei più Aimone, Jacopo, Alessandro o Alessio. Sei i Fast Animals and Slow Kids, e non sei solo. Ci pensi, guardi il cielo che si apre e tra i fulmini il Dio del rock brinda a te e ai tuoi compagni in un grande Ragnarok di pedalini e testate valvolari e birra. Alza il volume, devi combatterci i mostri con quella chitarra. 

Poi succede che quella cosa delle chitarre ti riesce bene, che a furia di urlare la parola “solo” non sei solo tu a sentirtici meno, ma anche altri che ti conoscono solo per i tuoi dischi. Giri, suoni, scrivi e alla fine finisci a pagarci le bollette con quei dischi. Assurdo come qualcosa di così intangibile possa pagarti da vivere, e mentre ci pensi magari guardi il cielo che si apre. Solo che stavolta tra i fulmini non c’è più nessuno. Ma va bene così, perché ora hai tutto il tempo per diventare Aimone, Jacopo, Alessandro o Alessio. Tu sei i Fast Animals and Slow Kids, e quel nome lì va bene sempre, perché ora quello che ha di così figo quel nome, per te e per gli altri, sei tu e gli altri tre. I FASK non per vestirti di un'idea ma perchè tu, nudo, sei quella cosa lì. Puoi salutare i mostri ora, strappare i poster degli artisti che non sarai mai e scrivere un disco come “Animali Notturni”. I Fask sono diventati grandi, va tutto bene, e ne parliamo qui. 

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I Fask nascono nel 2008, iniziano a suonare alle superiori. Dal primo ep all'ultimo album passano dieci anni di sale prove, corde, furgoni, Jacopo che torna in albergo a piedi e Aimone che si lancia dal palco. Qualche giorno dopo l'uscita di "Non potrei mai", primo singolo del disco, passano in redazione per suoanarla sul divano e fare due parole sul nuovo brano. Finiamo invece in un'ora filata di parole sul passato, presente e futuro della band. Ed eccola qui.

 

Animali notturni 

"È un bel periodo di rivoluzione, questo", inizia a raccontarmi Aimone. "Ci abbiamo messo forse troppa roba, la nostra hybris stavolta è andata al massimo. Sarà difficile portarlo dal vivo, ne usciremo vittoriosi ma sarà dura rendere in cinque tutte quelle parti. Anche solo da un punto di vista vocale, quando scrivi un pezzo non stai a pensare che poi sul palco dovrai gestire il fiato. Mi sono messo in un bel casino.

C'è un pezzo con trentadue linee di chitarra. Trentadue. Praticamente è Bamboleiro. Tutto è stato fatto su una scala completamente diversa, compreso l'uso di strumenti che non sono i nostri. Prendi i violini: non è la prima volta che li usiamo, ma questa volta quando entrano li senti."

Di tutti gli album dei Fast Animals and Slow Kids questo è quello con un suono più complesso, aperto, stratificato. Ed è anche il primo non solo con una major (Warner), ma anche con un produttore esterno al loro ecosistema. Matteo Cantaluppi è forse l'ultimo dei produttori che ci si sarebbe aspettati per il nuovo album dei Fask, venendo da un mondo di pop e cantautori (Dimartino, Ex Otago e, su tutti, Thegiornalisti). Alla fine, invece, tutte le stelle erano allineate.

Aimone: "Matteo è il quinto che abbiamo provato come produttore. È la prima volta che abbiamo un produttore, uno che non sia dei nostri. Prima sono sempre stati Jacopo e Andrea Marmorini, rispettivamente bassista e fonico dei Fask. Era tutto interno alla band, non c'era tanto da cercare in giro. Ed è il primo disco che non registriamo nella nostra casa vacanze, sul lago di Montepulciano. Volevamo confrontarci con un professionista diverso stavolta, che le macchine le puoi anche comprare ma poi devi sapere come usarle. Siamo arrivati a lui dopo un processo bello grosso, è due anni che siamo fermi, e lo abbiamo scelto perchè ha capito l'anima della band, ha una conoscenza musicale importante che è una cosa fondamentale. Volevamo trovarci con qualcuno che capisse dove siamo e qual è il percorso. E questa idea, che è molto molto chiara nel nostro caso, è che più fai dischi più tutto assume una sua logica. Da sempre ci piace aggiungere roba, sempre di più, ad ogni album. Quando tutti ci dicevano "togli" lui ci ha detto "lasciamo, e facciamolo in grande".

Tra noi è raro che si parli di musica. Quando fai qualcosa con qualcuno per tanto tempo non hai bisogno di parlarne, così ti limiti al dettaglio, a quello che abbiamo fatto oggi, ma non in senso più ampio. Doverne parlare con qualcuno che non fosse uno di noi, e dover quindi parlare di tutto senza dare niente per scontato, ci ha aiutato a capire dove vogliamo arrivare, qual è il suono che vogliamo ottenere e come vogliamo farlo."

Alessio: "Con "Animali Notturni" siamo riusciti a ricreare degli spazi dentro un pattern sonoro come mai prima, e questo grazie a Matteo. Non parliamo di gusto, può piacerti o meno, ma la lavorazione sonora è oggettiva. C’hai le chitarre intorno, la voce in faccia, e questo perché c’è stata tanta, tanta ricerca. E non suona nemmeno come le cose che lui ha fatto ultimamente. Anche per lui dev’essere stato un momento in cui cercare di fare qualcosa che non fosse quello che era stato fino a quel momento. Noi non lo abbiamo cercato per gli altri artisti con cui aveva lavorato. Anzi, volevamo una roba diametralmente opposta."

Chi cazzo te lo chiede mai di fare un disco di chitarre?

A portare avanti le chitarre nel 2019 in fondo ci vuole un bel coraggio. Il mondo va in una direzione sonora diametralmente opposta, e le orecchie si stanno tarando su sintesi più digitali e meno acustiche. All'altro capo del filo, il rock è il genere che è stato sperimentato di più negli ultimi 70 anni, esaurendo forse il potenziale di innovazione. Come genere in sé quindi, il rock oggi tiene il terreno ma da veterano un po' stanco, rigoroso e votato a una grammatica consolidata negli anni. Per questo, per fare un disco di chitarre nel 2019, e farlo con spirito libero, ci vuole un bel coraggio. Ma se questo sei non puoi farci nulla. O forse sì?

Aimone: "Il macchione di chitarre lo consociamo bene, ci abbiamo fatto tre dischi. Ma per fare bene questo mestiere ti devi mettere in gioco, se senti di conoscere qualcosa bene non riuscirai a essere tanto potente o evocativo da fare qualcosa di nuovo. 

Il fatto è che suoniamo il rock nel 2019, che è la cosa più démodé che esista. Chi cazzo te lo chiede mai di fare un disco di chitarre, oggi? Solo noi, perché non ce ne frega un cazzo. Il punto è che per noi se va bene bene, altrimenti ci apriamo una pasticceria, o andiamo a fare qualsiasi altro lavoro. Saremmo comunque soddisfatti del percorso, perché è troppo personale per poterlo spostare in base alle esigenze.

Invidio da sempre le band che riescono a diventare dei cantastorie, ad analizzare la realtà senza utilizzare i propri filtri. Raccontare e fare diapositive di quello che c’è e basta. Raccontare la Roma di borgata o la Bologna degli anni '70, avere la sensibilità per vedere la realtà per quello che è. Questa cosa i Fask non cel’hanno e non l'avranno mai, perché siamo egocentrici pezzi di merda che parlano dei propri piccoli problemi, che speriamo sempre siano condivisi da più persone possibili, ma che certe volte sono solo i nostri piccoli problemi. Per noi è estremamente centrale fare una roba che ci rappresenta al 100%, tutte le cose che abbiamo fatto erano solo e davvero cose che volevamo fare. 

Stiamo uscendo ora e per la prima volta con una major, ma il disco era pronto prima di firmare. Non c’è mai stato nessun tipo di condizionamento, anche perchè il disco era già chiuso.

Ora ci sono tante cose legate all’età. Non ce ne frega un cazzo, a me, Jaco, all’orsetto, al frot, di quello che è la musica del momento. Di essere sul pezzo, non ce ne frega niente. Vogliamo fare una musica che quando ascolteremo tra vent’anni con i figli e i mutui non ci faccia sentire dei coglioni fuori dal loro contesto. I FASK nel 2019 sono questo, punto. E questo è centrale, perché se perdi questa visione e cerchi di raggiungere punti che non sono così vicini sei fregato. Le cose vanno fatte in maniera fisiologica."

Per tanti anni pensavo fosse alternativo fare il punk (ma oggi ho trent'anni). 

La parola preferita dei FASK fino ad oggi era “solo”. In questo disco invece vince la parola “amore”. Il dolore viene alternato alla speranza in un dualismo molto più evidente che in passato. Il nero come la morte diventa blu come la notte. Sempre scuro, ma di uno scuro diverso, più maturo e consapevole che ciò che è stato è stato ed ora ci sono altre cose davanti che non assomigliano a quelle lasciate indietro.

Da adolescente la musica, che la suoni o la ascolti, ti serve per combattere i mostri. Quando cresci però arriva il momento di salutare mostri, paure e tutte le impalcature che ti sei costruito, dall'angoscia più scura al più aspirazionale dei sogni rock. "Strappo i poster degli artisti che non sarò mai". Tolto questo resti tu con una consapevolezza diversa, emozioni più sfumate tra loro, qualcos'altro di cui parlare e gli altri, che forse sono quello che ti definisce davvero. 

Aimone: "Questo per me è uno dei dischi più dolorosi di sempre. Cade in un periodo di estremo dolore, nella sua massima evoluzione, e allo stesso tempo di estrema rinascita. C’è un dualismo che cozza eppure è così, è un disco doppio.

Noi da sempre siamo un po’ esistenzialisti. È difficile comunicativamente presentare immagini specifiche, chiare. Normalmente parliamo di massimi sistemi perché per noi la canzone ha una funzione terapeutica fortissima. Tutte le volte che ho detto di sentirmi triste, o solo, senza ricerca e giri di parole, serve a ridarmi tutto il tornado che avevo in quel momento in cui solo riuscito a dire solo a dire solo triste, sono solo, nient’altro.

Abbiamo cercato di non mistificare il testo e la musica con figure retoriche o troppi arzigogoli. Abbiamo sempre messo solo le cose che volevamo sentire. In "Non potrei mai" c’è il glockenspiel. L’abbiamo messo perché e Bruce Springsteen e ne siamo fiero. In musica rubi dappertutto, ma poi non rubi davvero. Prendi la roba degli altri, l’assorbi e la risputi. E lo facciamo sempre con roba nuova, perché se no poi ti rompi anche i coglioni. Sono dieci anni che suoniamo. C’è questo cortocircuito strano per cui sembriamo freschi nel 2019, ma ricordo quando con gli Zen Circus suonavamo nei peggio posti, ci portavano in giro che c’erano magari trenta persone ed eravamo contenti, tutti. 

Abbiamo visto band nascere crescere e finire dimenticate. Devi darti uno stimolo sempre nuovo, devi rimetterti in gioco e buttarla di fuori, se no hai finito. Se non rischi è finita l’arte, se non sbagli è finita l’arte. Devi cagarla fuori, ogni volta, in questo modo rimani anche vivo. E per i testi è stato questo. Non abbiamo deciso di parlare di amore o dolore o qualsi altra cosa ci sia dentro, come non lo abbiamo mai fatto.

Il tempo ci uccide, dentro, ed è un dramma. Non parlo peso della vecchiaia. Il problema è il tempo stesso, che sentiamo scorrere e vediamo la vita che che ti carica di responsabilità in più. E tu puoi solo riposizionare le priorità. Non puoi vedere le cose nello stesso modo di quando avevi dieci anni in meno, ma se ci guardi bene sei sempre tu. 

Noi abbiamo scelto la via della cicala in maniera così potente e da così tanto tempo che non ci poniamo nemmeno il problema di cosa farne della nsotra musica. Ci inventeremo comunque qualcosa, perchè ci abbiamo messo tutto. E qualsiasi tipo di lavoro ci dovessimo trovare a fare, anche il peggiore del mondo, saremo contenti. Vorrà dire che fino ad allora abbiamo fatto quello che volevamo fare. Solo le cose che ci piacevano, con la nostra coerenza e con il nostro spirito artistico. Se guardo indietro nei Fask non mi vergogno di nulla di quello che abbiamo fatto. Non volevamo farlo nemmo stavolta. 

UNITI E FORTI PER NOI STESSI FINO ALLA FINE

"C'è una cosa a cui pensavo di recente", continua Aimone. "Un principio in "Hybris" che ha svoltato la carriera dei FASK. Quel disco partiva con "Un pasto al giorno" che per noi è un manifesto. UNITI E FORTI PER NOI STESSI FINO ALLA FINE. È questo anche adesso il senso di quello che facciamo. È questa il tipo di coerenza di cui parlavamo all'inizio, quella di quattro persone che hanno votato la vita alle altre tre prima e alla musica poi. La vera coerenza è quella di essere noi e tra di noi. Come faccio a spiegare gli equilibri e gli sforzi della band? È un ecosistema di regole ed equilibri stratificati in anni e anni, ed è quella la cosa più importante da mantenere. Noi quattro."

 Perugia

C'è una nostra intervista del 2014 in cui Aimone ripercorre gli inizi e i primi locali in cui suonano, Perugia, Monteluce, Bigolo Amore e gli altri attori di quel loro primo giro di boa in cui fermarsi a guardare il percorso. Tre dischi e cinque anni dopo l'abbiamo riletta insieme e certe cose sono rimaste le stesse. Perugia compresa.

"Siamo l’unica band che ha iniziato a uscire davvero dalla città senza essere legata a una piccola nicchia. Quandi cresci in provincia devi crearti un bello scudo perché lì il percorso te lo devi tracciare. A Milano se fai musica sai con chi devi parlare. Anche se non le conosci sai qualile persone che ti possono aiutare. In provincia, o almeno a Perugia, fai fatica a trovare anche solo qualcuno che usoni con te. Tutto era semopre diviso in quattro perché eravamo solo noi, la provincia ci ha costretto a dire “ok vogliamo fare qualcosa? prima capiamola dalla A alla Z”. Abbiamo mosso un piede davanti all'altro, un passo alla volta. 

E poi è che ci stiamo bene noi. Io a Milano dopo un po’ scapoccio. C’è sempre il posto giusto in cui essere la cosa figa da fare, e se non ci sono sento di perdere tutto. Siamo abituati ad avere poche cose da fare a casa nostra, e quindi organizzarsi la vita per farle tutte. Qui ce ne sono troppe. Questo tipo di dualismo mi manda ai matti, ogni tanto abbiamo bisogno di tornare. Non a caso ho preso casa a Monza e non a Milano. Siamo persone che se ci proponi andiamo al ristorante, beviamo il vino e parliamo di musica tutta la sera è la serata della vita. Ci sono degli strati milanesi di cui non ce ne frega nulla: tipo l’aftershow. Ma che è l'aftershow?"

Le grandi città creano posti sempre migliori di quelli che c'erano, e nel tempo diventano i posti in cui essere. Dove sei condiziona chi sei e diventa parte di quello che fai. In posti in cui non esistono posti giusti in cui trovarsi, solo posti che ancora non hanno chiuso, viene meno il posto in cui essere lasciando solo il modo che hai di stare in un posto. Nessuno aggiunge niente a te e alla tua personalità, non ti stai perdendo nulla, sei tu e basta. 

"Perugia vuol dire anche che poi nascere lì non ti cambia un cazzo. Essere il cantante dei Fask o essere il papa non cambia una sega, perché conoscendoci tutti non sono Aimone dei Fask ma Aimone de Monteluce. Questo ti tiene i piedi saldi, non saremmo gli stessi Fask senza la porovincia. Forse non saremmo proprio i Fask." 

La stessa foto, dieci anni dopo. 

Gli altri

Ma la provincia non è solo il fatto di trovarsi in un posto con meno locali, meno bar, una stazione e nemmeno l'autostrada. Sono le persone a cambiare e cambiarti. Gli altri ti definiscono, e il luogo in cui ti rapporti con loro modifica le equazioni dei rapporti tra le persone. Non scegli dove nascere, e nemmeno quanto questo finirà per cambiarti la vita. Da quella stessa intervista, Aimone: "fuori dalla provincia non esiste la parola onestà"

"Questa la devo spiegare bene: in una grande città la persona conta meno. Il numero è troppo ampio, io incontro te e altri venti nella stessa giornata. A Perugia incontro te, e domani ti incontro ancora. Prima di dire che sei un coglione lo devo sapere, perché inevitabilmente farai parte della mia vita. Se suoni in un posto piccolo non puoi scegliere le persone che vuoi vedere, e l’importanza che dai alla connessione umana è diversa. A Milano ti mando a fanculo perché poi non ti rivedo più, a Perugia non posso. E se lo faccio devo esserne consapevole al cento. Questo crea un senso di dignità dfferente. Le persone oneste poi ci sono ovunque, la mia ragazza è di Milano, siamo sempre qui. Non è di quello che parlo, ma della percezione che hai delle altre persone.

A Milano non ti rivedo e posso dirti una cazzata, in provincia non te la posso dire perché poi lo scoprirai. E sei anche più stronzo lì, perché conta molto meno quello che fai e più quello che sei, ché non hai nient’altro. Generalizzare poi è sempre stupido, si tratta di Perugia e quello che ci abbiamo visto noi, e quello che ci ha dato è un’onestà disarmante."

C'è un altro passaggio di quella intervista: "facevamo cagare, ma quello che facevamo ci faceva sentire fighi".

"Certo, quella è la base della musica. Te te senti uno sfigato e la musica ti aiuta a non sentirti più sfigato. C’è una follia e insicurezza che aleggia in ogni artista. Se io fossi stato bene con me stesso avrei fatto un’altro lavoro. Io volevo riuscire nella musica perché mi sentivo un coglione. E non volevo più sentirmi un coglione."

Noi

In tutto questo non ha sempre parlato solo Aimone, ma quasi. La realtà è che con i Fask non hai mai la percezione di un frontman o qualcuno che ne sappia più degli altri, lui è quello con la parlantina e la bella voce e parla lui certo, ma a nome di tutti. Ogni volta che qualcosa è diventato intimo o personale si sono guardati tutti, Aimone per cercare il permesso per dirlo, gli altri per dire che sì, sono tutti d'accordo. Con la costante percezione di parlare con una persona sola, voglio sapere se questa cosa ha mai vacillato.

"Agli inizi, eravamo un po’ dispersi. Poi ci siamo guardati e ci siamo detti “lo facciamo come vogliamo noi? sempre e per sempre?”. Abbiamo un patto REM tra di noi: tutto diviso quattro, sempre. E tutto lo si decide in quattro, giurandoci di non dividerci mai per motivi futili come i soldi e il potere. Ci sono gli scazzi, chiaro, ma alla fine siamo noi quattro contro tutti.

La band ci ha rivoltato come esseri umani, in tutto. Scrivere canzoni ha aperto delle riflessioni su noi stessi che non avremmo mai fatto altrimenti. In realtà crea anche insicurezze che non avresti avuto, perché soppesi tanto quello che dici, e perché più persone hai davanti, più sei esposto, più quello che dici deve essere centrato. Questo ti crea anche un sacco di paranoia. Nessuno di noi vorrebbe mai essere considerato parte di una band di imbecilli, e poi noi siamo una band, quella è la differenza. Se uno pensa che io sia un cretino non mi interessa, ma non se lo pensa della band.

Allo stesso tempo però mi vergogno molto meno di me stesso. Per tanto tempo mi sono sentito uno sfigato del cazzo, stavo male in mezzo alla gente, credevo di essere inadeguato a qualsiasi cosa. La musica mi ha aperto, ora se ti parlo ti parlo da pari. Non ti sono mai sopra, ma non mi sento nemmeno sotto di te. E questo me l’ha dato soltanto la musica, nient’altro. 

Non sentiamo più l’indecisione in cui provare a essere chiunque. All’inizio vai a tentoni per capire te stesso. Giri e provi, fai lo scemo e il tormentato insieme e tiri a indovinare su chi sei davvero, ma non lo sai ancora bene. Oggi sono Aimone, uno che ha trovato una sua quadra psicologica grazie alla musica e al fatto che vive di questo. Ed è così per tutti noi.

E in che modo vi hanno cambiato gli altri tre?

Alessandro: "I Fask sono un attento esaminatore dei tuoi difetti. Vivendo tutti e quattro insieme, se ti comporti in quel modo e non mi piace te lo ridirò sempre. É migliorativo, a un certo punto devi smettere di fare quello per cui ti continuano a puntare il dito anche solo per farli stare zitti."

Alessio: "Però impari anche dai pregi di questi tre qui, il fatto di non essere soli e non esserlo di continuo per tanti anni alla fine ti fa prendere le parti migliori del carattere degli altri."

Aimone: "Faccio e dico certe cose, ho un certa forza perché so che sto combattendo per una cosa che mi sorreggerà, e questo mi dà la possibilità di spingere l’acceleratore come altrimenti non avrei fatto. Salire su un palco sapendo che dietro di me ci sono quelle tre persone lì mi da la possibilità di dire “io questo me lo permetto”. La roba che gli altri tre mi danno è la grinta di poter dire spacco tutto, perchè so che se mi giro indietro vedo sul palco le persone migliori che potessi avere qui. È uno scudo e una spada allo stesso tempo."

Jacopo: "È vera quella dei difetti, gli altri ti distruggono. Non solo come musicisti, ma come persone ci siamo creati da zero a vicenda".

 

Il tour dei Fast Animals and Slow Kids parte il 24 maggio dal MI AMI Festival. Ti aspettiamo lì!

 

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L'articolo Per sempre la via della cicala: i FASK in 4 atti di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2019-05-14 12:14:00

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