Nerone, col freestyle non si arriva da nessuna parte.

"Gemini", il nuovo album di Nerone (il rapper)

Qualche anno fa, nella spiacevole vicenda che coinvolse Nerone e la giornalista Valeria Balestrieri di Hano, Rockit si schierò apertamente “contro” il rapper milanese. A proposito, la nostra posizione in merito non è cambiata.

In occasione dell’uscita del suo ultimo album,“ Gemini”, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Massimiliano per provare a fornirvi un ritratto oggettivo del rapper e del il ragazzo che si celano dietro al nome dell’imperatore che brució la capitale.

Dalle accuse di sessismo alle collaborazioni con la Giotto. Piaccia o meno. Ai posteri l’ardua sentenza.

Perché questa scelta particolare della copertina?

Da tempo volevo fare qualcosa d’interattivo. Lo scorso anno per “Entertainer” la mia intenzione era realizzare una copertina a specchio. Sfortunatamente costava troppo, ci sono riuscito con questa trovata della copertina da disegnare. Devo ringraziare il mio manager, quando mi ha scritturato non si sarebbe mai aspettato di sedersi ad un tavolo con la Giotto. Proprio quella dei pennarelli a punta grossa Carioca.

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Avevi anche intenzione di organizzare una Mostra?

Verso settembre, sto racimolando un po’ di writer e amici rapper che si cimentavano sui muri. Ma gran parte della mostra sarà occupata dal pubblico.

Tu cosa disegneresti?

Sarebbe più facile disegnare la cover di un altro album. Ai tempi avevo un bel “lettering”, ma sono sempre stato un pippa in writing. Probabilmente la mia immagine sarebbe una scritta.

Mentre il significato del titolo, credi nell’oroscopo?

È il mio segno zodiacale. Non credo all’astrologia ma ho scoperto che la descrizione del mio ascendente mi rispecchiava molto. Non me lo aspettavo. In fondo parlo sempre di me stesso nelle strofe, non trovo tanta ispirazione dall’esterno. Sono un rimuginatore. Un mio album era intitolato come il mio peso, l’altro col mio nome… E’ stata una scelta naturale.

Siamo della stessa generazione, ai nostri tempi aspettavamo un disco per anni…

Ormai la gente è abituata ad avere il frigo pieno, una vota aveva senso aspettare, quando vendevi copie fisiche dell’album. Aspettare tre anni per caricare un album digitale che senso avrebbe? Io nasco pigro, lavorare sempre mi serve per rimanere attivo. Creare un legame più forte col pubblico ora è più difficile, nonostante i social. Non esiste più quel vuoto da colmare: sto aspettando il nuovo di Marracash, nel frattempo mi ascolto questo nuovo nome, Massimo Pericolo, niente male.

Il dissing più mediatico dell’album è stato senza dubbio quello rivolto ad Ultimo. Al contrario, con chi ti piacerebbe collaborare?

Il pubblico di Ultimo mi ha sommerso di messaggi, ma mi hanno scritto anche un sacco di esponenti importanti che non mi aspettavo fossero suoi fan. Quando fai rap se alla ricerca del bangerz, della rima ad effetto, ogni tanto vola qualche parolone. Può creare confusione. Ma mi hanno scritto anche il padre di Primo e Squarta, quei due messaggi valgono più di un disco d’oro. Primo è stata un’istituzione. Guè e Marra sono sempre stati nel mio immaginario, ma anche MadMan ed Emis Killa. Non posso ancora dire nulla, sicuramente qualcosa prenderà vita già nel prossimo album.

Se dovessi riassumere il senso del tuo album userei questa frase “dire meglio degli altri ciò che è stato già detto”. Cosa volevi comunicarci?

Io volevo fare un disco rap. Le basi sono moderne, “Canne” ha un andamento reggae, “Sul serio“ è una canzone trap (anche se noi ci rappiamo sopra). Non penso che ogni tema che ci colpisca debba per forza finire nei nostri testi, la musica diventerebbe troppo faziosa. I social sono molto funzionali sotto questo aspetto, forniscono uno spazio utile per esprimersi al di fuori delle strofe. Ho fatto per anni l’animatore turistico, al pubblico cerco di mostrarmi il più tranquillo possibile. Se mi segui su Instragam evidentemente vorrai conoscere qualcosa di me, della mia vita. Se qualcosa m’indigna e provo ad esprimermi – dai salviniani ai vegetariani- sembra sempre che stia a rosicare. Come quella volta che si alzò un caso nei confronti di una mia storia in cui dicevo di andare a votare -non cosa votare- rimarcavo semplicemente quanto votare fosse importante farlo. Ci sarà sempre qualcuno cui tirare pietre, ed è colpa dei genitori, fanno lo stesso davanti ai televisori, lo stesso atteggiamento riversato sui figli che a loro volta lo ripropongono sui propri idoli.

Sui social si è anche creato quel caso con la giornalista. A Rockit avevamo deciso di trattarlo schierandoci apertamente contro di te.

Se cerchi il mio nome su Google evidentemente esce prima lo stronzo che ha bruciato Roma, non sono stato furbo. L’articolo su Rockit s’intitolava “il rapper Nerone e il post sessista di cui non avevamo bisogno”, quindi, - se cerchi il mio nome come rapper- è uno dei primi risultati che compare. Con Valeria ora abbiamo risolto tutto, io avevo le mie motivazioni lei le sue ed è finita a scuse reciproche. Un giudizio artistico non dovrebbe essere inficiato da motivi personali. Lei è sola, è l’unica voce del suo blog, Rockit ha un organico tale da potersi permettere un’intervista con qualcuno che gli sta sul cazzo. È anche una questione di rispetto, Rockit esisteva già quando ho iniziato ad ascoltarmi questa roba, Guè vi aveva già dissato ai tempi dei Dogo, sono dinamiche che non finiranno mai.

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“Vieni da me” si apre con una sorte di attacco alla trap, più in generale, pensi che il rap si stia sempre più allontanando dalla strada?

I Dogo, quando hanno iniziato ad avere un certo successo, hanno dovuto combattere per attestarsi una certa credibilità. Con rap di strada intendi quando non si facevano soldi? Con la musica ora fai i soldi, ma fino ad un certo punto. Per mantenere un certo stile di vita devi intraprendere altre attività. Al giorno d’oggi, nessuno ti mette più alla prova. Quando facevo street rap beccavo la gente street che mi metteva alla prova, bravi o meno che fossero a rappare. La strada ti metteva alla prova in tanti modi. Quelli della mia generazione hanno preferito raccontarsi e intraprendere una nuova strada. Al giorno d’oggi nessuno ti mette più alla prova, per questo puoi permetterti di fingere. Guè è uno che finanzia la sua vita per avere cose fiche da raccontare. Non è facile inventarsele certe cazzate.

Tu, Lazza e pochi altri siete gli ultimi veri esponenti di una nuova scena Milanese. È più difficile emergere in questa città?

Decisamente. Milano è come la Champions, comprende le migliori di ogni campionato. I rapper che arrivano nel capoluogo ci arrivano col seguito della loro città, con le luci dell’etichetta puntate, noi milanesi siamo abituati a confrontarci con rapper di un’altra categoria. A livello umano li ho visti passare tutti, ma non a tutti è andata bene.

Il Freestyle è ancora una pratica per vecchi?

No, le ho prese da ragazzini ultimamente. Ma è diventata una cosa da nerd del rap, una specie di autismo. Nei freestyle ormai rappano tutti allo stesso modo, velocissimi. Ai tempi prendevi un treno per andare ad un battle, c’erano esponenti da tutt’Italia, ognuno aveva il suo stile, il suo flow diverso. Con il diffondersi delle sonorità trap i freestyle vanno tutti in extrabeat, un inanellarsi di parole senza senso “E vedi che alla fine quando arrivo l’hai capito”. Questo la prova che continuare a fare freestyle danneggia la musica, almeno come uso del flow, fare un disco è una cosa completamente diversa.

Parlando di “Tre goal”, i rapper sono i nuovi calciatori?

La strada, la voglia di rivalsa, è un parallelismo che regge sotto tanti aspetti. I big team ora sono tanti, ed ognuno può sognare di entrare nel roaster che più lo compiace, nella squadra che tifa. Io avevo una crew dove non c’era nessun leader, ho provato a trascinarla dopo il successo di Spit, ma, quando qualcuno ha iniziato a credere in me, il traditore ero io. Salmo attraverso la sua crescita personale ha coinvolto tutta la Machete, come nel calcio, quando una passione diventa professione si devono per forza compiere delle scelte. Come nel calcio, col freestyle puoi strappare qualche applauso ma non ti porterà mai a San Siro.

È la tua prima intervista su Rockit, dobbiamo necessariamente citare il riocontra.

Marracash, Guè, questa cosa è sempre esistita, non abbiamo fatto niente di nuovo. Certo, siamo stati i primi a sfornare lavori interamente composti con questa “lingua”, lavori in cui la gente non capiva le parole ma nei quali il flow non mancava mai, era come ascoltare un pezzo rap tedesco. Nel mio quartiere si è sempre parlato, mi è rimasta fin da quando ero piccolo.

Sei appena tornato dalla crociera organizzata da Salmo.

Ho fatto da maestro di cerimonia, ero il titolare dell’interfono, entravo nelle camere della gente. È stato figo, è un’idea che si era già diffusa in America, ma solo Salmo aveva la credibilità per metterla in atto in Italia. E tutti i ragazzi che hanno partecipato fin troppo rispettosi, avessero messo me su una nave a ventun' anni. Prima di partire pensavo ci perquisissero da capo a piedi, sai, eravamo attraccati in un porto con Gemitaiz, non penso Salvini ne fosse molto felice.

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L'articolo Nerone, col freestyle non si arriva da nessuna parte. di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2019-07-18 11:00:00

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