"Il nuotatore" dei Massimo Volume: un racconto sulla solitudine

Una canzone bella e struggente, tratta da un racconto degli anni '60. E che a sua volta diventa il pretesto per un viaggio in letteratura, nel libro "B-Side" di Doriana Tozzi

Vi siete mai fatti il proverbiale film ascoltando una canzone ed entrando nel suo mood? Il testo, la musica, il ricordo della prima volta che l'avete ascoltata, tutto concorre a rendere l'ascolto unico e personale.

Doriana Tozzi, collaboratrice di Rockit, ha scritto un libro su quel fenomeno per cui, ascoltando una canzone, ci perdiamo dentro la storia che racconta e proviamo ad allargarne gli orizzonti. Si intitola B-side: L'altro lato delle canzoni ed è edito da Arcana. Al suo interno, 21 racconti tratti dalle canzoni di Afterhours, Verdena, Marlene Kuntz, Ministri, Zen Circus, Fast Animals & Slow Kids, Bud Spencer Blues Explosion, CCCP e tanti altri.

Per darvi un’idea di questo libro vi regaliamo un intero racconto da esso estratto: Nuotando con il nuotatore, liberamente ispirato a Il nuotatore dei Massimo Volume. La particolarità di questo racconto è che il brano stesso dei Massimo Volume è nato ispirandosi ad un racconto degli anni ‘60, Il nuotatore di John Cheever. Doriana Tozzi trasporta la canzone e con essa il racconto di Cheever in un panorama futuro e ipertecnologico in cui, come si vedrà, la tecnologia ha semplificato le vite eppure i problemi dell’umanità (e prima tra tutti la solitudine) restano ancora gli stessi.

Qui sotto, il racconto integrale.

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NUOTANDO CON IL NUOTATORE

Ispirato a Il nuotatore dei Massimo Volume

La villa era stranamente avvolta dal silenzio e dall’oscurità. La luna proiettava sul giardino i diluiti echi dei raggi solari che l’appisolato sole non riusciva a contenere, illuminando le sagome dormienti delle siepi, degli alberi, della piscina e delle sdraio lasciate a bordo vasca. Di solito, appena spente le ultime luci del tramonto, Den accendeva tutti i led intorno alla casa e sul vialetto, ogni fiaccola da giardino al neon e pure le luci stroboscopiche dei due grossi igloo di vetro dentro i quali custodiva altrettanti banconi da bar, quello che aveva denominato “Dreamk”, con birre, vini e spumanti, e quello che aveva arditamente ribattezzato “Stoned”, con cocktail alcolici e sostanze psicotrope di ogni genere. Dopo aver acceso tutte le luci gli bastava urlare “Via!” e nel giro di cinque minuti arrivavano i ragazzi del catering, che cominciavano ad allestire tutto per l’arrivo dei suoi ospiti, mentre Den si occupava della musica, con le sue selezioni raffinate e innovative pompate sempre a grandi volumi per richiamare orgogliosamente l’attenzione di tutto il vicinato. Infine, immersi in questa straniante foresta di luci e suoni, cominciavano a sfilare tutti i suoi amici, umani e androidi, e anche amici di amici e amici di amici di amici, che dopo un paio di bicchieri e un ballo diventavano tutti semplicemente e indistintamente amici.

La villa di Den era sempre aperta a tutti e al padrone di casa non importava che i suoi ospiti avessero accettato di farsi installare il microchip, che ormai da più di due anni era diventato obbligatorio per legge, o che fossero tra i sovversivi che consideravano questa pratica un’invasione della privacy da parte del governo interno e quindi resistevano, a costo di essere scoperti e gettati a marcire in carcere.

Den aveva accettato di farsi microchippare perché non si faceva sfuggire mai nessuna novità, nel bene e nel male, ma non giudicava chi la pensava diversamente. Non era nemmeno diffidente nei confronti degli androidi, sempre più sviluppati e capaci di integrarsi pacificamente, al contrario di quello che volevano far credere certe sette estremiste di umani microchippati. Insomma, era un tipo colto, intelligente e di larghe vedute con cui era sempre piacevole avere a che fare.

Quello che a lui preoccupava maggiormente era che potesse arrivare una fine, o meglio la sua fine. Si rattristava soprattutto al pensiero che l’epilogo della sua vita potesse passare inosservato ai più e temeva che nessuno avrebbe preso parte al suo funerale, nessuno avrebbe versato una lacrima o dedicato una parola d’addio a quell’uomo senza storia e senza famiglia, e per questo amava far feste e circondarsi di individui di ogni genere e tipo e per una ragione non molto diversa amava condividere con i suoi ospiti tutti i suoi acquisti più sfrenati, dal caricatore di microchip a raggi solari alle due diverse automobili sportive doppia funzione (quelle con e senza ruote, per passare sulle corsie aeree privilegiate in caso di traffico sulla strada) entrambe SOE (Slim Optional Edition), sistema che permette di renderle grandi quanto un palmo di mano per non perder tempo con il parcheggio; dall’infinità di videogiochi di realtà virtuale aumentata al modificatore di cibo, che permette sia di liofilizzare il cibo salvandone il gusto e le qualità ma potenziandone gli effetti (per saziarsi con quantità inferiori) e sia di trasformare in cibo commestibile diversi tipi di materiali, dal legno alla carta, dai metalli alla terra o alla sabbia, con l’opzione “tabagist friendly” per permettere anche di fumarli. Den aveva proprio tutto e spesso prima di tutti gli altri. Nessuno sapeva quale fosse il suo segreto ma la sua ospitalità e la sua generosità mettevano a tacere ogni domanda prima ancora che fosse pensata.

A vederlo così, quest’uomo di mezza età poteva sembrare un impiegato di banca dalla vita seria e noiosa, invece Den aveva immolato tutto, qualunque cosa, per venerare il dio del divertimento e per permettere a chiunque di accedere, tramite la sua villa, al tempio del piacere.

Ma quella notte la villa era stranamente avvolta dal silenzio e dall’oscurità più totali. Den non aveva dato il via alle danze, non aveva chiamato il catering, non aveva aperto le porte né acceso le luci e diffuso la sua musica in giardino. Per la prima volta sembrava non importargli che qualcuno si stesse già affacciando, come ogni sera, al suo cancello, che restò inesorabilmente chiuso. La solita festa da sballo sembrava non provocargli più alcuno sballo. Se ne stava lì, pensieroso, seduto sul suo divano, facendo qualche tiro ogni tanto, con molta lentezza, dalla sua sigaretta-cena, al cui tabacco aveva aggiunto due uova strapazzate essiccate con la salsa al cetriolo piccante, e contemplava la parete di vetro del suo soggiorno, che dava proprio sulla piscina buia.

Da fuori poteva sembrare un uomo semplicemente assorto tra i suoi pensieri, in un momento di relax, ma conoscendolo era evidente che qualche preoccupazione più potente del solito era giunta a travolgerlo tanto da fargli dimenticare il resto. Era come se un pugno gli stesse battendo nel petto e volesse squarciarlo per uscirne, tanta inquietudine stava provando in quel momento, ma non riusciva a lasciarsi andare per liberare i pensieri e trovare pace.

Dopo l’ultimo tiro si alzò con movimenti stanchi e scoordinati e si preparò un gin tonic che bevve in un sorso, come fosse acqua. Se ne preparò quindi subito un altro e con il bicchiere in mano, sempre avvolto nella totale oscurità, cominciò a camminare avanti e indietro nella stanza guardando il pavimento e il divano e il resto dei mobili ma in realtà vedendo solo il labirinto del suo futuro. Aveva ormai una certa età e ogni bene materiale non riusciva più a dargli soddisfazione, alcol e droga non riuscivano a tranquillizzarlo e la frivolezza delle feste da qualche tempo ormai non bastava più ad alimentare la sua serenità: a venti o trent’anni bastava tutto questo per farlo sentire una divinità scesa in terra, ma da qualche tempo trovava tutto troppo passeggero per rasserenare la sua nefasta idea del futuro e troppo consueto per dargli ancora emozioni e distrazioni. Anzi tutto questo non faceva altro che far peggiorare il suo stato d’animo, benché continuavano a sembrargli ancora l’unico rimedio possibile. Ma questa volta Den aveva raggiunto l’apice del suo malessere, la sua solitudine aveva scavato troppo a fondo e non aveva alcuna intenzione di fingere di colmarla con tutti gli amici di amici di amici che finita la festa si ritiravano ciascuno nelle proprie dimore, incuranti del vuoto che lasciavano nel padrone di casa.ù

Terminato il secondo bicchiere, andò a preparare il terzo gin tonic continuando ad arrovellarsi sui suoi tormenti.

Improvvisamente ebbe un’illuminazione. Si ricordò di un apparecchio che gli avevano regalato alcuni anni prima, in cui si potevano caricare libri, film, canzoni o addirittura vecchie fotografie e permetteva di materializzare la propria mente all’interno delle loro storie, permettendo di viverle in prima persona. L’aveva sempre ignorato perché a lui piaceva vivere soltanto le sue stesse avventure, ma era arrivato al punto di considerare inutile ogni momento della sua giornata per cui pensò che, non avendo più una vita che lo appagasse veramente, avrebbe potuto provare a vivere almeno per qualche momento le vite e le avventure dei protagonisti dei libri, dei film o delle canzoni che amava.

Sempre immerso nel buio, salì le scale della villa fino al secondo piano, da cui si poteva accedere alla soffitta. Lì accese un piccolo led per poter rovistare meglio tra gli scatoloni e, dopo diversi minuti, da uno di quelli tirò fuori con soddisfazione una scatola non troppo grande, rossa, con su stampato il marchio “Io c’ero – Ltd”. La prese sotto il braccio, spense il led e tornò in soggiorno. Si sedette sul divano. Aprì la scatola e tirò fuori i due pezzi che c’erano dentro (un casco e un apparecchio) e i vari collegamenti. Passò un po’ la mano sull’apparecchio, per eliminare la polvere posatasi sulla superficie, poi lo sistemò sul tavolino accanto al divano e lo aprì, infine spinse il tasto d’accensione sperando fosse ancora carico. La consolle non dava segni di vita. Cercò di non cedere subito allo sconforto e guardò meglio la confezione: si accorse che era possibile collegare l’apparecchio applicando la sua superficie inferiore direttamente sui pavimenti attrezzati di tecnologia touch-line (e ovviamente il suo lo era). Posò quindi sul pavimento la base della consolle e con sua enorme meraviglia l’apparecchio si accese. Cliccò sulla modalità wireless e poi sullo schermo luminoso per consultare le opere già caricate, poiché non ricordava come fare per caricarne di nuove e non aveva voglia di leggere le istruzioni. Dentro ce n’era però soltanto una, “Il nuotatore”. Non ricordava bene quella storia ma dal titolo non gli sembrava qualcosa di sufficientemente adrenalinico e lui era alla ricerca di suspense ed emozioni forti, per cui ci ripensò un attimo.

Prese un altro sorso di gin tonic poi posò il bicchiere sul solito tavolino accanto al divano e si alzò per guardare di nuovo fuori dalla vetrata. Ebbe l’impressione di sentire il richiamo della sua piscina inconsolabilmente triste per esser stata abbandonata, dato che non era abituata a trascorrere un’intera serata senza festa. Sospirò. Riguardò l’apparecchio con il titolo de “Il nuotatore” che lampeggiava ancora a caratteri cubitali in attesa di esser confermato, e decise che ci avrebbe provato: avrebbe affidato a quella realtà virtuale la responsabilità di procurargli quel divertimento e quel piacere che la realtà tangibile non riusciva più a dargli. Selezionò l’opera, si sedette sul divano, infilò il casco dell’apparecchio, che gli copriva tutto il viso lasciando scoperte solo le narici e le labbra, e avviò il programma.

Per un po’ l’apparecchio gli sembrava non funzionare, perché aveva la percezione di se stesso ancora nel suo soggiorno, sul suo divano, e provando a guardare fuori vedeva ancora la sua piscina solitaria. Si accorse che però questa diventava pian piano sempre più luminosa, non di luci artificiali ma di raggi solari. Nel breve tempo che ci mise ad alzarsi e dirigersi verso la parete di vetro, il cielo si tinse completamente di azzurro e un sole accecante disegnava tutto intorno una splendida giornata estiva.

Lo splendore della bella stagione gli fece venir voglia di uscire di casa. Percorse tutto il vialetto del giardino osservando la luminosità del cielo con l’entusiasmo di un bambino. A un tratto udì delle voci non molto lontane, quindi proseguì fino al cancello per capirne la provenienza. Guardando fuori dalle grate non vide anima viva e gli sembrò di trovarsi in un’opera di Hopper, sebbene riusciva a riconoscere ancora il profilo del suo quartiere residenziale, adagiato tra la città, il deserto e la tangenziale. Gli edifici però non erano come quelli che aveva visto fino a quella stessa mattina bensì erano pieni di dettagli architettonici e oggetti che non si vedevano più da secoli, privi di qualunque barlume di tecnologia o d’avanguardia.

Uscì in strada, chiudendo dietro di sé il cancello con la serratura a impronta digitale, e seguì il piacevole suono di quelle voci, per scoprire che provenivano dalla villa accanto alla sua, dove si stava svolgendo una festa. “Una festa di giorno!” si stupì, lui che era così abituato alle feste notturne perché il giorno era fatto per dormire.

Lì tutti sembravano divertirsi eppure non vedeva nessuno in piscina, come se quella gente non avesse ancora imparato a riconoscere la sacralità dell’acqua. Avvicinandosi un po’ di più per osservare meglio, però, dovette ricredersi, perché guardando oltre le mogli in vestito da sera e i mariti con le giacche di lino che conversavano del più e del meno, vide che invece in piscina qualcuno c’era, anche se erano solo tre o quattro persone, che sguazzavano allegramente, incuranti del fatto che tutti gli altri invitati stessero festeggiando tra i bordi, il vialetto e il salotto della villa con le vetrate spalancate.

I tre o quattro individui in acqua talvolta chiacchieravano e scherzavano tra loro, tranne uno, un uomo dal fisico giovanile e sportivo, che gli sembrava molto simile a lui, anche per età. L’uomo era silenzioso ma non aveva l’aria timida né annoiata, piuttosto era immerso nei suoi pensieri, tutto intento a crogiolarsi in piscina con un sorriso compiaciuto e sereno di chi si sta godendo l’attimo fino in fondo.

Den continuava a sbirciare furtivamente la scena, sempre nascosto fuori dal cancello, finché non si ritrovò improvvisamente dentro l’acqua, immerso proprio accanto all’uomo. Ebbe un sussulto e cercò di uscire subito per scusarsi con i padroni di casa, ma nessuno sembrò essersi accorto di lui, neanche l’uomo che si sollazzava nell’acqua della piscina proprio al suo fianco. Fu in quel momento che si ricordò del programma che aveva avviato poco prima dalla consolle nel suo soggiorno e capì che evidentemente quel gioco stava funzionando e che tutto intorno a lui non era reale ma si trovava davvero all’interno de “Il nuotatore”.

“Che livelli di grafica altissimi e iperreali!” pensò tra sé. Sembrava tutto vero, non fosse che si rese conto di trovarsi dentro l’acqua della piscina ma di essere allo stesso tempo perfettamente asciutto.

Mentre si esaltava per gli effetti di questo videogioco e si chiedeva come mai non l’avesse utilizzato per tutti quegli anni (avrebbe potuto vivere tante vite emozionanti anziché intossicare la sua!), si accorse che l’uomo che prima era in piscina al suo fianco adesso era fuori e stava parlando con una donna. I due sembravano conoscersi bene ma non avevano l’aria di essere particolarmente in intimità. A un certo punto l’uomo salutò sorridente gli altri invitati e rientrò in piscina con un tuffo, questa volta con l’atteggiamento di chi non vi stava entrando solo per sollazzarsi ma stava andando proprio da qualche parte. Den decise di seguirlo: quella figura così poco integrata con il resto del gruppo, sebbene da tutti vistosamente rispettata, gli ricordava tanto se stesso durante le sue feste e quindi voleva scoprire dove fosse diretto con tanta energia e con quel fare così atletico.

Si chiese se avrebbe dovuto pronunciare qualche formula o fare qualche gesto o toccare qualche oggetto in particolare per far comprendere al programma le sue intenzioni (e pensò in quel momento che forse avrebbe dovuto prima leggere le istruzioni!), invece, appena si focalizzò sull’idea di voler seguire quell’uomo che nuotava a grandi bracciate in piscina, il programma lo sintonizzò direttamente con l’uomo, sincronizzandone i movimenti per permettergli di seguirlo più agevolmente. Comprese che quindi i comandi erano cerebrali, probabilmente collegamenti che dal casco che stava indossando traevano informazioni dal suo microchip, e ancora una volta gioì per le capacità di questo gioco, grazie al quale stava avendo davvero l’impressione di vivere completamente sulla sua pelle l’esperienza di quell’opera.

Il nuotatore sembrava ben allenato e, con foga atletica e con gran lestezza, una bracciata dopo l’altra si ritrovò a superare ordinatamente le ville dei vicini in un percorso che sembrava tracciare con perfezione meticolosa, come se volesse collaudare una mappa. Con lui, alla stessa velocità, procedeva anche Den, che però aveva il vantaggio di non sentire fatica, grazie alla virtualità.

Le ville sembravano tutte uguali ma uno dei piaceri che stavano affascinando Den in questo viaggio al fianco del nuotatore era scoprire casa per casa, piscina per piscina, come venivano davvero utilizzati quei cimeli antichi che gli era capitato di vedere in qualche museo archeologico, impolverati e a volte mezzi distrutti, che invece lì, in quella realtà virtuale, erano nuovissimi, perfettamente attivi e funzionanti. Alcuni vicini avevano, ad esempio, delle ingombranti scatole di plastica da cui usciva una musica spesso molto disturbata, praticamente un vecchissimo prototipo degli stereo che nella sua realtà tangibile erano ormai inglobati tra gli optional delle superfici virtuali (le pareti degli immobili, le carrozzerie delle automobili, le panchine d’attesa…); molti invitati avevano poi ai polsi dei grossi bracciali con dei quadranti numerati, perché prima dei microchip gli orologi erano oggetti da indossare e non si potevano illuminare direttamente sottopelle.

I rapporti sociali sembravano anche diversi rispetto a quelli dell’epoca di Den, perché, ogni volta che si accingeva a entrare in una nuova piscina, il nuotatore scambiava qualche parola con i proprietari, che generalmente erano stupiti ma cordiali nei suoi confronti, e a volte gli offrivano addirittura da bere. Se Den fosse entrato così nelle ville dei suoi vicini, senza invito e senza portare nemmeno qualche omaggio o oggetto di loro interesse in cambio dell’ospitalità, sarebbe stato certamente incapsulato e teletrasportato istantaneamente al comando di polizia più vicino, dove avrebbe dovuto dare spiegazioni puntuali o l’avrebbero rinchiuso per anni al fresco. Era stupenda invece quella cortesia disinteressata che i vicini sembravano avere nei confronti del nuotatore.

A un certo punto i due si trovarono quasi a ridosso della tangenziale ma il cielo stava diventando velocemente gonfio di nuvole grigie, per cui il nuotatore – prevedendo un uragano, tipico di quella stagione – corse a ripararsi sotto il portico dell’ultima villa attraversata, in cui i vicini non erano in casa. L’uragano non si fece attendere troppo e secchiate di pioggia accompagnate da violente soffiate di vento travolsero ogni cosa. Den in quel delirio di acqua violentissima e di potenti folate ululanti fu contento di esser protetto dalla virtualità ma vide il nuotatore accanto a sé più in difficoltà: stava tremando per il freddo mentre i brividi cominciavano evidentemente a congelargli l’entusiasmo nel sangue che solo fino a pochi istanti prima ribolliva per l’insolito percorso intrapreso. Ebbe voglia di aiutarlo ma sapeva di non poter interagire in alcun modo con lui, perché non esisteva. E in un certo senso questo pensiero lo tranquillizzò: non può davvero avere freddo un uomo che non esiste.

La tempesta passò e l’uomo riprese ostinatamente il suo viaggio, sebbene alla stanchezza per il percorso già affrontato e alle difficoltà dovute al freddo sopraggiunto dopo l’uragano, si aggiunse l’umiliazione di dover attraversare l’intera e affollatissima tangenziale solo in costume da bagno, a piedi nudi sull’asfalto e in mezzo ai rifiuti, completamente bagnato e con la pelle d’oca. Chiunque lo vedeva rideva di lui e agli occhi di Den ora non sembrava più l’uomo sportivo e giovanile nel quale gli era sembrato di riconoscersi poco prima e che aveva avuto tanta voglia di seguire.

In un modo o nell’altro, e in un arco di tempo che sembrò infinito, l’uomo comunque riuscì a superare la tangenziale e a raggiungere finalmente la piscina successiva tramite la quale continuare il suo viaggio, ma questa volta si imbatté in una piscina pubblica, per cui, non appena i bagnini lo videro entrare con addosso strascichi di lerciume della tangenziale e i piedi neri per lo sporco dell’asfalto, furono molto meno cordiali dei proprietari delle ville precedenti e lo obbligarono a una fuga che lo costrinse a bruciare velocemente anche quelle poche energie rimaste nel suo corpo ormai provato.

A quel punto Den provò a urlargli di fermarsi per un po’, di riprendere fiato perché andando avanti così avrebbe finito per farsi ammazzare. L’uomo però non sentiva le sue parole e Den cominciò ad agitarsi, a desiderare di tornare indietro, a casa sua, sul suo divano, nel suo soggiorno… ma non sapeva come bloccare il gioco, non sapeva come togliersi il casco dal momento che lo indossava il “vero lui”, quello seduto ancora sul suo divano in soggiorno, e non il “lui virtuale” che stava seguendo quell’uomo folle in questa sua folle impresa. Capì che, pur non sopportando di sentirsi inerme e inutile di fronte alle evidenti sofferenze i quell’uomo, l’unica cosa che poteva fare era continuare a seguirlo, perché se non finiva la storia il gioco non si sarebbe spento.

Con più lentezza e fatica, i due raggiunsero la villa successiva, in cui l’uomo mostrò ancora una volta di conoscere i proprietari. In quel momento Den si rallegrò per un attimo, pensando che finalmente questi avrebbero potuto aiutare l’uomo a riprendere le sue forze e terminare il suo viaggio con lo stesso vigore con cui l’aveva intrapreso; invece i proprietari di questa villa furono meno cordiali di quanto Den si aspettasse e con bracciate affaticate ma decise i due dovettero proseguire, senza trovare accoglienza migliore neanche nella successiva villa e nell’altra ancora.

Dopo un paio di piscine vuote, con tappeti di foglie cadute a far da fondo, l’uomo cominciò ad accelerare goffamente il suo passo, come un anziano affamato che si trova improvvisamente di fronte a una tavola imbandita, poi a un certo punto si fermò di scatto ed esclamò “Finalmente a casa!”.

Den portò lo sguardo nella direzione di quello dell’uomo e vide una villa abbandonata con i vetri rotti e la porta sfondata e girandosi di nuovo verso l’uomo intravide nei suoi occhi una luce di ingiustificata fiducia che si proiettava dal suo sguardo allucinato verso quel rudere fatiscente. Continuando a seguirlo notò che più si avvicinavano e più si affievoliva quella luce negli occhi dell’uomo, finché non la vide spegnersi del tutto di fronte all’amara realtà quando spinse il cancello, che cigolò sinistramente, e guardandosi la mano con cui aveva toccato le grate metalliche, l’uomo trovò strisce rossastre di ruggine che gli solcavano il palmo.

Sulla porta di legno dall’antica vernice verde scorticata, che doveva esser stata l’ingresso principale alla villa, qualcuno aveva intagliato il nome “Ned” seguito da offese piuttosto pesanti. L’uomo si avvicinò alla porta e con aria sconfitta accarezzò con il dito indice quelle lettere e quelle ingiurie che evidentemente erano rivolte a lui, poi si accasciò sulle ginocchia, con i capelli ancora bagnati, e divenne polvere sull’uscio, che il vento un attimo dopo spazzò via.

Den sgranò gli occhi spaventato e si accigliò affranto ma prima che potesse sentire nel suo cuore tutto il dolore di quell’uomo, si ritrovò improvvisamente proiettato nel suo soggiorno, sul suo divano…

Si tolse il casco e restò un attimo in silenzio guardando il vuoto poi spense la consolle. Era tornato alla sua realtà. Era di nuovo notte. Era di nuovo solo.

C’era ancora un sorso di gin tonic che lo attendeva sul tavolino accanto al divano.

Lo buttò giù e si alzò per riempire un nuovo bicchiere.

Estratto da "B-Side. L’altro lato della canzone" di Doriana Tozzi, Arcana Edizioni.

©2019 LIT EDIZIONI Srl.

 

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L'articolo "Il nuotatore" dei Massimo Volume: un racconto sulla solitudine di Redazione è apparso su Rockit.it il 2019-12-06 14:47:00

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