Don Joe: "Oggi si impara la musica con i tutorial, ma io non smetto di credere nella qualità"

L'epopea dei Club Dogo e il viaggio seminale con Danti a New York, il rap game ai suoi tempi e quello di oggi, dove tutti hanno un amico fotografo e i software fanno le basi al posto tuo. Il super produttore racconta il suo "Tocco di Mida"

Foto Beatrice Mammi/Rockit
Foto Beatrice Mammi/Rockit

Il tocco di Mida è il suo primo libro, un autobiografia in cui ha deciso di raccontare tutto: da Mi Fist fino al ruolo dei producer e le nuove leve di oggi. Abbiamo incontrato Don Joe, l'uomo che ha modellato il suono dei Club Dogo e del rap italiano, per farci raccontare tutto quello che ha segnato il suo passato e cosa di nuovo sta succedendo in questo presente, epoca che lo vede ancora dietro un mixer, a fare quello che gli riesce meglio: la musica. 

Don Joe/ Fotografie di Beatrice Mammi
Don Joe/ Fotografie di Beatrice Mammi

Partiamo dal tuo rapporto con le interviste. Leggiamo dal tuo libro: “... la maggior parte delle interviste sembravano esami e noi costantemente bocciati. In alcuni casi la polemica si trascinava per mesi, come capitò per gli scontri con le redazioni di XL e del portale Rockit: diventavamo delle belve”. 

Gli scontri capitano, e sono capitati, non solo con XL e Rockit: fa parte del gioco. Io non sono un rancoroso e preferisco mollare il colpo, e a quegli incontri/scontri non ho più pensato. Perchè alla fine, voi fate giornalismo musicale, io faccio un altro lavoro. Farvi ragionare su una cosa che dovrebbe essere vostra, non m'interessa e poi che battaglia è? Se mi parli di musica e sei un musicista, allora ok stiamo lì a parlare tutta la vita, ma altrimenti... Era giusto raccontarlo, visto che si raccontano tante cose del passato in questo libro, cose che sono succese, situazioni che hanno creato deviazioni, è meglio raccontarle. È una biografia, per far capire alla gente che noi facciamo musica; e se fai musica queste cose possono capitare, anche un'intervista superficiale.

Stai parlando delle interviste fatte in occasione dell'uscita di Dogocrazia?

Sai, in realtà, purtroppo, il life style dei Club Dogo e in generale tutto quello che hanno raccontato e quello che comunque raccontano (perché sono ancora in attività) sono sempre stati sulle palle a molti, per una serie di cose. La droga, le donne, cioè era un inferno, credimi. Poi oltretutto sono tutte cose che si possono chiarire, perché poi fai l'intervista e lì spieghi e chiarisci qual è il tuo punto di vista. Quando è uscito Sgrilla! è successo un casino; ma quante volte le donne sono state chiamate “puttane” nei dischi rock? Forse semplicemente, non capendo "la lingua", non si capiva il significato. Adesso la parola bitch è un'intercalare di uso quotidiano. Ora c'è gente che si scandalizza? 

C'è un'immagine nel tuo libro in cui scavi nelle vasche piene di vinili a 1.000 lire l'una.

Scavare nei dischi, sì era bellissimo; non era detto che trovavi qualcosa, io guardavo da chi era stato prodotto il disco perchè anche lì c'erano dei mostri della produzione, una volta quelli che erano i miei maestri andavano a loro volta a cercare le batterie o un determinato suono. Oggi ti va anche di culo e trovi un sample bello e pronto da usare. Il tempo stringe e siamo tutti di corsa. Ora si fa digging on line in ciabatte sul divano, e non va bene. Il digging è una parte fondamentale per chi fa il produttore, non lo fa l'artista, a cui non deve fregare niente in effetti, quella è una parte che interessa a chi fa il produttore nella vita.

Il disco oggi ha tutt'altri tempi e un altro significato.

Una volta si correva a comprare i vinili e un disco usciva in due anni. Quella cosa mi manca oggi, anche se capisco la nuova fruizione della musica, quella roba mi manca. Ormai è tutto un "voglio consegnare", uscire, cosa devi consegnare? Magari hai fatto un pezzo solo per stare su Spotify, poi vediamo se ci stai. Io credo ancora alla qualità, allo studio e alla ricerca.

Copertina del libro
Copertina del libro

Che successe in quel famoso viaggio con Danti a New York, quando eravate ragazzi?

Un viaggio da incoscienti, un investimento, avevamo aperto il nostro primo studio quindi ci siamo premiati in questo modo. Credevamo in quella roba lì e volevamo andare a vedere dove erano nate le cose. Ancora oggi vado a rivedermi alcune cose come sono dopo 15 anni; altre cose non ci sono più. Però ci sono esponenti storici del rap in America che fanno le guide. Fa un po' ridere, ma magari trovi MC Lyte che adesso è una signora, che ti porta nel Bronx o nel Queens e ti racconta storie e aneddoti.

Don Joe/ Fotografie di Beatrice Mammi
Don Joe/ Fotografie di Beatrice Mammi

Com'è stato aprire il tour L'albero di Jovanotti?

È stato gigantesco, io facevo il rapper e il produttore e anche il garzone. Siamo partiti che dovevamo fare un tour di due o tre date, invece alla fine abbiamo dovuto noleggiare un tour bus dei Casino Royale che non usavano, un'autista nostro e si partiva per tutto il tour. Ci hanno fermato mille volte, cani, finanza, fumavamo tutti, era così, è stato così per una settimana, è stato divertente. Mi sono un po' sverginato, passami il termine, con quella roba lì: salivi sul palco e c'erano 15 mila persone davanti a me che non ne avevo viste nemmeno mille. È stato un flash, uno shock, ma mi ha preparato e infatti sarò grato per tutta la vita anche a Lorenzo, che sento ancora adesso a distanza di tanti anni.

Ricordi il primo concerto sold out dei Club Dogo?

È stato nell'hinterland milanese, suonavamo in questo centro sociale, dal nulla, perché ci capitava a caso di suonare, ci chiamava, che ne so, il nostro amico di Lecce e noi prendevamo e andavamo, allo sbando, e lì non c'era nessun hotel prenotato, o dormivamo a casa degli amici o tornavamo indietro. Dormivamo in autostrada; questo è l'inizio dei Dogo, nel periodo di Mi Fist. Quando a Milano stavamo quasi già lavorando al disco nuovo, che era Penna Capitale, ci chiudevano le date così, oppure c'era questo nostro amico che ci faceva da manager, Emi Lo Zio, e che ci trovava date in giro. Così un giorno arriviamo in questo posto, ore prima e già c'era gente.

Cosa avete pensato in quel momento?

Che c'era qualche altro gruppo, noi eravamo nel backstage, il locale era pieno raso con la gente fuori. E invece erano solo lì per noi. Ecco, lì abbiamo iniziato a pensare che il Dogo era diventato una roba di culto tra le persone di Milano e dell'hinterland. Da lì in poi è diventata una roba seria, non potevamo piu fare cazzate, dovevamo stare più attenti. Penna Capitale è stato un disco fortunato, ma è stato un ulteriore shock; si sono allineati i pianeti e iniziavano a succedere cose grosse.  

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E oggi?

Oggi non succederà mai più quella roba lì, perché chi fa musica, anche a livello più basso, ha già l'amico che fa il manager e il fotografo; non si passa né dal centro sociale, né da niente. Uno che vive su internet e oggi decide di fare il rapper, oltre ad avere già la pagina con le foto fatte bene dal suo amico che sa scattare, ha un entourage di persone come un vero professionista. Poi, in realtà, arrivano schiaffi che sono delusioni grossissime. Il rap non è sinonimo di farcela sempre: se sei bravo a fare il rapper allora ce la fai, ma non è detto, altrimenti tutti mollerebbero il lavoro e farebbero rap.

Un tempo la musica hip hop bisognava andarsela a scovare...

I primi che facevano musica rap erano per prima cosa fan del rap, dei rapper americani e francesi. Ci si trovava in piazza, non c'era il cellulare come lo conosciamo oggi. Anche per beccarci e sentire la musica dovevamo andare nei locali. Tutti ci compravamo i dischi e poi c'erano luoghi di culto, come il Soul To Soul, il Bataclan, l'Acqua Potabile, un centro sociale fortissimo per il rap e la dancehall, facevano programmazione hip hop. Andavi là perché là c'era il dj che ti faceva sentire le robe nuove. Ora senti tutto e subito e i dischi poi durano una settimana.

Chiudiamo con il passato: scrivi che Penna Capitale è il "tuo disco".

Sì, Penna Capitale sanciva il passaggio da ragazzi veramente del quartiere a essere firmati, e avere contatti grossi. Nel bene e nel male. Dopo è stato tutto un work in progress e un palate in faccia in progress! Ma lo abbiamo fatto, la follia di questo disco è stata quella di averlo fatto in tre o quattro mesi, però è stato ed è un disco di culto. Ci abbiamo messo veramente pochissimo, forse era il momento di dire fermiamoci e facciamo un disco ragionato, invece no. Io riconosco tanti errori, tanti sbagli. 

Io mica tanto...

Ma io sento errori in tutti i dischi...

Don Joe/ Fotografie di Beatrice Mammi
Don Joe/ Fotografie di Beatrice Mammi

A un certo punto ti arriva la batosta del diabete. Che accade?

Ce l'ho da dieci anni, l'ho scoperto in tour. Staccare e risposare fa parte del life style, non puoi sempre stare a duemila, io per necessità ho dovuto mollare tante cose, fumavo, bevevo. Poi però ho dovuto mollare e trovare il mio equilibrio, trovare un equilibrio personale per tutto. Non ho mai avuto il momento da psicologo; dicono che quando succedono queste cose hai bisogno di qualcuno che ti sostenga, per lo shock di cambiare le cose da un giorno all'altro. Io ero in tour e non mi sono fermato, se mi fossi fermato avrei mollato, non lo so. Invece ho deciso di fare così, prendere la cosa di petto, andare avanti.

Hai usato qualche trucco?

La persona che più mi ha sostenuto, la diabetologa che mi ha seguito in quel momento, mi ha consigliato di non smettere di botto tutto e chiudermi in casa perchè col tempo ti ci abitui e vivi come una persona normale. Sì, hai bisogno dell'insulina, devi stare attento a mangiare, l'ho presa un po' come un Tamagotchi all'inizio: hai preso troppo zucchero, metti più insulina, all'inzio era quasi un giochino. Se la prendi troppo clincamente poi ti ammali di altro. Io almeno l'ho presa così e ha funzionato. Non mi sfondavo, ma facevamo concerti e serate, e io andavo. Ho reagito drasticamente. Ho un problema metabolico, ci sono i mezzi per vivere normalmente e così faccio, da più di 10 anni ormai.

Ora i producer, spesso senza gavetta, diventano superstar. Che effetto ti fa?

Non voglio prendermi completamente i meriti, ma questi produttori godono dei risultati del nostro lavoro. La figura del produttore era bella nascosta e spesso combaciava con il lavoro da dj. I produttori di allora, Fish, Gruff, Dj Jad, Ice One, non erano tantissimi, erano tutti molto nel background dell'artista, ma poi abbiamo sdoganato l'immagine del produttore. Non mi hanno mai considerato come il produttore dei Club Dogo, ma come uno della band, un elemento fondamentale del gruppo, che se lo togli è come se togliessi il batterista. Questo ha significato molto per la generazione nuova, che vede ora la figura del producer in un certo modo. In America la cosa era già arrivata, ma noi siamo 10 anni indietro rispetto all'America.

Oggi si fanno dischi in fretta, successo in fretta, soldi in fretta.

Non voglio penalizzare questa cosa che c'è oggi del fare successo molto in fretta, perchè se pensi a quello che usano per fare musica... Io dovevo mettere in moto tutta la macchina, ora accendi il computer che ha dentro il programma che fa tutto. Ci sono software apposta per fare musica. FL Studio, Fruity Loop, che è un software progettato e aggiornato nel tempo proprio per fare quella musica, quindi quando è arrivata la trap era perfetto. Tutto questo ha dimezzato, se non tagliato del tutto, il tutorialone, che dovevi farti da solo negli anni. Tra l'altro, a proposito di tutorial, tanti hanno imparato usando i tutorial di Youtube che noi non avevamo. Il mio tutorial era Roberto Baldi, una persona che mi ha insegnato; oggi vai su internet e trovi un tutorial per tutto, fotografia, cucina.

Però alcuni producer bravi ci sono.

Sono stati bravi Sick Luke, tha Supreme, Charlie Charles, a rendere personale questa roba qua, il che è fondamentale per il nostro lavoro; oggi riconosci i produttori perché c'è la tag iniziale, altrimenti sono tutti uguali. Se prendi i produttori della trap sono tutti uguali, mentre loro hanno diversificato e sono ad un livello ottimo anche rispetto agli altri paesi. Vale anche per i rapper comunque, alcuni vengono guardati da altre nazioni, come Sfera, ormai non c'è più la distanza di una volta e con i DM parli con artisti fuori dal mondo. Se hai qualcosa da dire, ovviamente.

Jake e Gué si sono aperti negli anni con i loro testi. Questo tuo libro era anche un modo per dire la tua oltre che una biografia?

Sì, con i Dogo abbiamo scritto La legge del cane, un racconto degli anni '90 scritto come se fosse un film, io ho racconato la mia parte, ci sono citazioni mie e di Emi, è un libro dei Dogo. Qui, nel Tocco di Mida, racconto molte cose mie, anche del periodo in cui non ci conoscevamo. È un racconto biografico più che di narrativa.

Cose come Thory e Rocce la rifaresti?

Non abbiamo inventato niente, era una cosa che faceva il punto della sitazione con la lungimiranza di capire quali erano gli artisti migliori. E infatti hanno spaccato tutti, anche Fedez. Per me e Shablo aveva un senso, ma ora non lo rifarei con 40 persone, perchè è un inferno. Però sono contento, per esempi,o che Night Skinny abbia iniziato ad avere riconoscimenti. Ma io lo ricordo da almeno 15 anni; il primo lavoro con Gué era il suo primo mixtape, 15 anni fa. 

Disco dell'anno appena concluso?

Persona di Marracash: sono affezionato a lui e contento che abbia fatto un disco del genere perche è reale. L'approccio è cambiato perchè il focus è stato fatto tutto su Marz, che è uno bello puro, un ragazzo che ha bisogno di esprimersi liberamente e quel connubbio è stato preciso. Ci sono altri bravi produttori nel disco, ma loro due hanno fatto un lavoro gigante. È il mio disco dell'anno, perché è anche tornato a quella roba lì degli inizi. Il suo primo disco, Marracash, nasce nel momento in cui J-Ax porta Marra in Best Sound (la casa discografica degli Articolo 31, ndr) e la produzione del disco viene affidata a Deleterio e a me. Eravamo presi bene, non eravamo famosi e il processo produttivo era molto naturale, come se dovevamo fare il disco di un nostro amico. Non c'era la percezione che Marra sarebbe diventato quello che poi è diventato. Oggi ha vissuto cose talmente reali di cui semplicemente e naturalmente ci ha fatto un disco.

Sono in pochi a raccontare qualcosa di profondo, oggi?

Quello che c'è oggi è wrestling, è tutto fatto in modo da associare il prodotto al personaggio di Instagram. Ora è tutto molto più superficiale, per quello escono pochi dischi belli oggi. E in America è anche peggio; magari sono usciti dischi che mi sono piaciuti e magari sono tanto trap, io faccio il dj e mi piace metterli nei locali, ma anche li c'è un bel fosso; lo riempie Kendrick Lamar.

Chi saranno le prossime star del rap game italiano?

Vegas Jones, spero che si allineino anche per lui i pianeti e arriverà il suo vero disco, sta crescendo, scrive meglio, ha cambiato tantissime cose, ha fatto scelte artistiche precise. Watze, trasversale, viene dalla scuola genovese, è un tipo assurdo, capisci che ha degli spunti anche suoi, è fuori di testa, mi piaceva, ma non lo conoscevo, poi quando l'ho conosciuto mi è piaciuto anche di più. È un personaggio e sta lavorando a cose nuove. La sua sfiga è che è arrivato in un momento in cui la sua generazione di Genova è uscita con Tedua e Izi e lui non ha fatto quello step in più. E sto puntando forte anche su Young Slash.

 

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L'articolo Don Joe: "Oggi si impara la musica con i tutorial, ma io non smetto di credere nella qualità" di Carlotta Fiandaca è apparso su Rockit.it il 2020-01-07 10:46:00

Tag: Libri

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